domenica 22 Dicembre 2024
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Bar Project Academy, a Bari: “Futuro horeca è l’all day bar”

Il fondatore: "Il nostro cash flow deriva da tutto, non solo dal caffè, che non può esser il tema unico da sviluppare. Oggi il personale vuole esser completo. L’imprenditore chiede un professionista che sa fare tutto nel mondo dell’hospitality. Al Sud c’è sempre più una maggiore attenzione prima di aprire il proprio locale, e si desidera comprendere cosa ci sia dietro la tazzina"

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MILANO – La formazione del personale nel mondo horeca è un tema che è particolarmente dibattuto soprattutto negli ultimi tempi. I ragazzi che vogliono lavorare e farlo con le giuste competenze ci sono, sono tanti, e sviluppano le loro abilità grazie a realtà strutturate e poliedriche come la scuola Bar Project Academy Bari.

Fondata da Claudio Lepore, con un’esperienza nell’hospitality di parecchi anni, tra gestione, ruolo di responsabile, cocktail bar e infine, creatore di un progetto didattico che è stata una vera e proprio esplosione di adesioni.

Al sud, il bisogno di diventare professionisti del fuori casa ha trovato una risposta.

Bar Project Academy Bari, entriamo nel mondo della professionalità

Bar project Academy Bari è formazione, consulenza, grandi eventi: Lepore ha creato un meccanismo ben congeniato, al punto dall’esser riuscito ad avviare anche una filiale in Africa, attraverso dei suoi contatti con imprenditori del posto che gli hanno dato in mano tre locali da seguire e dei suoi anni di vita vissuta in Kenya. In Italia, la Bar Project procede a gonfie vele, nel suo locale di 200 metri quadri sul lungo mare: una scelta premiata dall’alta frequenza.

Maturati, quasi 15 anni di attività e di espansione, con un team formato da 5 dipendenti tra
amministrazione/ trainer/ office manager, e in aggiunta 10 free lance e 8 trainer esterni. Il responsabile trainer e didattica si chiama Andrea Salamida, mentre la coordinatrice iscrizione corsi e amministrativa Valentina Modugno.

Dal 2008 a oggi com’è cambiato il mondo della formazione sia dal punto di vista dei formati che dei formatori?

“Bar Project Academy non entra nel merito di una specifica professione: abbiamo a che fare con tantissimi trainer e iscritti con i quali si parla e ci si prepara all’all day bar. Non solo alcolici quindi, ma tutto il servizio dalla mattina alla sera dietro al bancone. Abbiamo sedici corsi diversi, lavoriamo molto anche in modalità online (inviamo delle box a casa alle persone che non possono venire in presenza, con una regia di lezioni one to one).

Ad oggi è cambiato tanto questo settore: prima si formava e si parlava solamente di coffee caffetteria e bartending. C’è stata un’evoluzione nella conoscenza dei consumatori, che spesso si dimostra più competenti di chi sta al bar. L’ho notato perché sono in tanti che vengono da noi ad acquistare i nostri caffè nel corner shop e selezionano anche materia prima di livello.

I trainer adesso devono mostrarsi aperti rispetto alle esigenze del mercato: da Bar Project Academy i nostri formatori devono saper parlare di tutto, sempre con estrema competenza. I 15 anni di crescita con i nostri trainer interni, ci hanno permesso di assumere docenti settoriali e uno completo. Questa è la nostra mission. Poi ci sono professionisti esterni che hanno creduto nel nostro nome, come Luigi Paternoster che poi è entrato a tutti gli effetti nel nostro team: sei corsi da esterni e gli altri tenuti dal nostro personale.

Roberto Galiano (degustazioni), Enzo Scivetti (vino), Fabio Bacchi (bar manager), Eligio Romanazzi (birra), Bea e Andrea Di Terza Luna (detox Bar), Mariano Tetro & Alfio di Mro ( Flair): tutti esempi di trainer esterni che hanno creduto nel nostro progetto ad oggi come Luigi Paternoster, pluricampione che segue il comparto caffè.

Anche chi viene ad imparare è cambiato. Prima la richiesta principale si orientava sulle lezioni di cocktail: su 200 corsisti il 50% è per il bartending, il 30% segue il modulo barista-espresso-sommelier. In precedenza si poteva frequentare solo un corso, legato un unico argomento. Da tre anni a questa parte però, siamo riusciti a far comprendere che un master completo dovesse esser la via: il primo è l’Abc del mondo bar, ed è basic (bartending cocktail, barista espresso sommelier, detox bar, degustazioni di prodotti alcolici). È una proposta che dà un quadro completo e permette di muoversi dietro al bancone su tutta la giornata.

Ora la clientela vuole poter vivere un’esperienza ampia anche in caffetteria, dall’aperitivo agli incontri di business, dalla colazione al cocktail. C’è poi un secondo master plus poi che comprende tutti 16 corsi, adatto a chi sa già che vuole investire e diventare imprenditore. I corsisti stanno rispondendo bene a questa nostra offerta didattica, perché sono più esigenti e disposti a scommettere il proprio tempo, risorse ed energie.

Il mercato ha ripulito chi faceva questo mestiere come piano b e ora chi resta prende seriamente la professione. I nostri corsisti riescono anche a restare a lavorare qua, senza dover andare all’estero.

La didattica si è evoluta quindi molto, sia da parte del formatore che del corsista: non si può più parlare solo di cocktails, ma anche di caffè. Noi siamo partiti dalla cultura della coffeea e molti brand ci hanno supportato dalla nostra partenza. Le partnership sono state fondamentali per la nostra crescita (Elektra, PierreCaffè e Bonaventura maschio, ad esempio).”

Come si sviluppa la parte di caffetteria di Bar Project? C’è anche qualcosa di dedicato allo specialty e ai metodi alternativi all’espresso?

La latte art nella scuola di Bari (foto concessa)

“Abbiamo un intero comparto dedicato alla coffeea: dal corso barista espresso sommelier a quello della latte art (Korean style, con tessiture da gara della nostra campionessa Haneul Lee e anche da bar) con un occhio sull’aspetto strategico imprenditoriale e social di questa tecnica. Poi proponiamo un corso sul filtered coffee, tra aromi, texture, estrazioni alternative. Infine una parte dedicata alla fase di roasting, in cui si tosta sotto la guida di Luigi Paternoster. Andrea Salamida interviene nella fase orale della didattica. Quindi 4 percorsi formativi che rispondono alle diverse esigenze di mercato.”

Le scuole che si sono moltiplicate, spesso interne alle stesse torrefazioni, come commenta?

“Sono scelte aziendali. Personalmente sono contro questa moltiplicazione se questo significa che all’interno delle torrefazioni si erogano dei corsi gratuiti che però sono in realtà degli aggiornamenti professionali di qualche ora o giornata, dedicati più che altro allo staff, e sono dei cross selling. Questo perché, quando il corsista non paga, generalmente non mette troppa attenzione al suo percorso. Noi promuoviamo la cultura, senza esser legati ad uno specifico brand.

Le scuole private sono una realtà piuttosto diversa, con l’amministrazione che si occupa dei corsisti, dà garanzie e accompagna il corsista nel mondo del lavoro con consigli e grandi opportunità, siamo delle aziende vere e proprie e non sottoscala o associazioni culturali. Abbiamo manuali 2.0 in qr code, discutiamo liberamente anche di temi che magari sono poco piacevoli ma che esistono all’interno della filiera, ci assicuriamo che i nostri corsi siano seguiti alla perfezione ed attenzione senza sovraccaricare il numero dei corsisti mantenendo l’attenzione sempre alta.

Ci sono poi anche dell’Associazioni internazionali che hanno un proprio linguaggio e un protocollo interno che viene utilizzato: questo è ancora una volta differente. Noi ci collochiamo in mezzo, come ibrido, tra torrefazione e associazione, senza associarci a dei marchi specifici.”

Il personale che manca: ci spiega questo fenomeno dal punto di vista di chi agisce sul territorio?

“Ci siamo ampliati perché abbiamo creato una banca dati sui ragazzi e sulle richieste del personale: abbiamo sviluppato uno spazio di incontro tra i corsisti e gli imprenditori. Noi abbiamo il personale, in abbondanza e lo vogliamo tutelare. Chi vuole assumere, trova i candidati divisi in tre categorie: base (un anno di esperienza), medio (due anni di esperienza), professionista (più di tre anni), che corrispondono a tre tariffe differenti.

Quando riceviamo le chiamate, innanzitutto filtriamo i gestori che sono disposti a pagare il giusto e dopodiché li mettiamo in contatto con i nostri ragazzi. Dopo qualche settimana, dedichiamo loro un momento per fare il punto della situazione. Collaboriamo anche con altre realtà come Jo Jolly, organizzazione milanese che si occupa proprio di inserimento del personale.

Seguiamo un determinato protocollo e facciamo servizio di consulenza: in questo modo non si perde tempo da entrambe le parti. Lo staff del futuro deve aver la possibilità di non lavorare solo di notte ma anche il pomeriggio o durante la mattina grazie alla sua completezza. In questo modo le 3 fasce orarie permettono di avere momenti per
godersi la propria vita privata.

Inoltre con questa modalità, c’è la possibilità per chi riesce, far lavorare il team per non più di 4 giorni a settimana ribilanciando la qualità della vita del personale con il lavoro. Un assioma che per tanti anni nel comparto hospitality è stato sottovalutato. Un esempio di questa nuova organizzazione è il nostro locale www.bplab.club, aperto dal giovedì alla domenica.”

E a proposito di territorio: il mondo della formazione, le opportunità e il livello della proposta, com’è?

“Se parliamo di formazione sul mondo del caffè, tantissime scuole private aprono e non solo al Sud e ne chiudono altrettante, perché molti sottovalutano il compito di gestire un’attività e dei ragazzi. Noi insegniamo non solo la tecnica: diamo anche un sostegno psicologico. Non è facile incassare subito e tanto da subito. Facciamo almeno due corsi di caffetteria al mese, con circa 100 ragazzi che vengono formati all’anno nel settore caffè.

Un numero questo che è in aumento (quest’anno probabilmente chiuderemo con 50 posti in più). Il nostro mercato è dunque in crescita. Abbiamo creduto sin dall’inizio nel nostro territorio e questo ci ha premiato. In Puglia effettivamente le torrefazioni si occupano di fare formazione nel mondo del caffè e noi siamo gli unici probabilmente a dare un percorso completo senza avere un brand dietro.

Il nostro cash flow deriva da tutto, non solo dal caffè, che non può esser il tema unico da sviluppare. Oggi il personale vuole esser completo. L’imprenditore chiede un professionista che sa fare tutto nel mondo dell’hospitality. Al Sud c’è sempre più una maggiore attenzione prima di aprire il proprio locale, e si desidera comprendere cosa ci sia dietro la tazzina.

Ora almeno il 50% degli imprenditori vuole formarsi, acquistare i giusti macchinari senza appoggiarsi al comodato d’uso. Adesso è diventato più semplice confrontarsi con qualcuno che chiede di seguire i corsi e avere in proprietà le attrezzature, con la possibilità di scegliere il caffè da servire. C’è fame di sapere, voglia di crescere e di avere un indipendent cafè, collaborando magari con le micro roastery sul territorio regionale e nazionale.”

Come vede il futuro prossimi dei giovani dietro al bancone?

“Un futuro fatto di completezza. Oggi le città accolgono non solo i locali ma tanti turisti, che bevono il cappuccino anche alle 21 di sera con la pizza. Bisogna esser quindi pronti a riceverli, poter diversificare la proposta. In un termine: il futuro è all day bar. Il locale aperto dalla mattina alla sera in grado di soddisfare tutte le esigenze, grazie a un bartender che non sa fare solo cocktail, ma che si occupa del bancone al 100%, dall’espresso allo smoothies, dalla latte art al drink. Il futuro è la competenza. Il futuro è scartare gli improvvisati.

Dopo il Covid si è imparato che non si può andare avanti senza competenze. Un aspetto che deve cambiare è la formazione, così come la tutela. Chi apre un bar deve esser preparato ad affrontare la complessità del mercato. Le scuole in risposta devono esser libere da logiche di marketing, così da fare divulgazione, cultura e saper educare il cliente senza però chiudersi in eccessi di nicchia: ci vuole lo specialty così come la miscela.”

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