lunedì 23 Dicembre 2024
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Claudio Corallo: ecco la storia di uno dei migliori cioccolatieri di tutto il mondo

Perito agrario aveva scelto di coinvolgersi nella filiera del caffè prima come broker poi acquistando una piantagione nel cuore del Congo per oltre 20 anni. Di quel periodo racconta che «la foresta è stata una grande maestra che mi ha insegnato come un terreno si possa sviluppare nel tempo solo se è in perfetta armonia con l’ambiente che lo ospita, persone incluse». Ma la situazione politica del Paese lo costringe a emigrare, per la seconda volta

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FIRENZE – Si chiama Claudio Corallo ed è uno dei migliori cioccolatieri sul mercato internazionale. Ma la sua qualità distintiva non è solo la maestria nel trattare questo prodotto: la sua attività spicca per l’attenzione verso una filiera sostenibile e che abbia anche un impatto positivo sulla società dei coltivatori. Leggiamo la sua storia dall’articolo di Laura Aldorisio su corriere.it.

Claudio Corallo, il rivoluzionario del cacao: circolare, sostenibile, sociale

Claudio Corallo è stato incoronato tra i migliori cioccolatieri al mondo. Ha scelto una produzione in una filiera corta, dalla materia prima al prodotto incartato tutto nella sua piantagione

«Il cioccolato? Non volevo nemmeno produrlo», dice Claudio Corallo, incoronato tra i migliori cioccolatieri al mondo. Dalla sua Firenze raggiunge l’Africa per la prima volta nel 1974 all’età di 23 anni e da allora non è più ripartito.

Perito agrario aveva scelto di coinvolgersi nella filiera del caffè prima come broker poi acquistando una piantagione nel cuore del Congo per oltre 20 anni. Di quel periodo racconta che «la foresta è stata una grande maestra che mi ha insegnato come un terreno si possa sviluppare nel tempo solo se è in perfetta armonia con l’ambiente che lo ospita, persone incluse». Ma la situazione politica del Paese lo costringe a emigrare, per la seconda volta.

Lo accolgono le isole di São Tomé e Principe, nel Golfo di Guinea, un paradiso naturale, che nasconde una piantagione abbandonata di piante di cacao dello stesso ceppo di quelle importate nel 1800 dai portoghesi. «Mi hanno attirato le cabosse di un colore dorato. Volevo fare un cacao straordinario al pari della qualità del caffè che curavo prima. Nel mio immaginario c’erano i sacchi di cacao da esportare, i classici sacchi da 60 chili». Ma il suo destino aveva in mente altro. Per la sua formazione, pone molta attenzione alla materia prima. Alle prove nei campi seguono le prove in laboratorio, che Corallo aveva deciso sin da subito di creare.

«Assaggiavo il cacao e non mi piaceva, era amaro, ma ero sicuro che quel gusto derivasse non dalla natura, ma dai difetti di produzione, stoccaggio, trasformazione. Quindi ho cercato di osservare e di capire non come togliere l’amaro, ma come evitare l’insorgere dei difetti». Corallo reintroduce alberi da ombra che erano stati tagliati negli anni per la qualità del loro legname. Un’accurata potatura e un lavoro di pulizia anche delle piante permettono al vento di arieggiare la piantagione riducendo l’incidenza di muffe. «E piano piano mentre cercavo di capire come rispettare il prodotto della natura, che per me era totalmente nuovo, è nata questa cioccolata. Abbiamo ottenuto un frutto saporito, pulito, gradevole, pieno di profumi. Nella trasformazione ho capito che dovevo lavorarlo il meno possibile per non rovinarlo».

E per rispetto sceglie di produrlo in una filiera corta, dalla materia prima al prodotto incartato, tutto nella sua piantagione. Ed è un caso unico al mondo

«Il nostro non è migliore, è semplicemente un’altra maniera di interpretare il cacao». Un’interpretazione che gli è valsa innumerevoli premi e che sta dando lavoro a duecento persone del posto. Il cacao Corallo fermenta naturalmente all’interno di casse in legno che lui stesso ha costruito. Poi viene passato su un essiccatoio con una temperatura mai superiore ai 48°C e viene regolarmente rigirato per una settimana. Le fave, una volta essiccate, vengono tostate secondo tempi e modi nati dalla sua esperienza sul campo. Infine, il cacao viene sbucciato a mano.

«Per noi lavorare con la natura significa avere una filiera sostenibile. Ora si parla così tanto di sostenibilità che è divenuta un rumore di fondo. Mentre è fondamentale perché solo quel che è sostenibile non decade. Non è un concetto, è realtà: se si invade la natura o non si ha un rapporto franco con la gente allora non c’è sostenibilità. Non è una questione di cuore buono, se non si trova un equilibrio siamo destinati a finire. Solo così si può coltivare indefinitamente sullo stesso terreno per sempre».

Ma le difficoltà non mancano. Il Covid ha rallentato la raccolta delle fave, la cui lavorazione avrebbe comportato il ritrovo di più persone in uno stesso spazio. E non solo. Persino la logistica ha frenato il cioccolato di Corallo: «Per spedire il cioccolato dall’Africa che sia un chilo o mille chili è richiesto lo stesso numero di documenti e ci sono solo due voli alla settimana verso l’Europa. Ecco, siamo rimasti bloccati per oltre un anno perché l’unico aeroporto qui disponibile non poteva esportare merce perché non rispondeva alle norme internazionali antiterrorismo. Paradossale, io avevo gli ordini e non riuscivo a spedirli. È stato un anno più che difficile, la nostra pagina shop è rimasta vuota per un anno, ma in questi giorni stiamo riprendendo a pieno regime». Alla fine Corallo confessa: «Ammetto che a me non è mai piaciuta la cioccolata. Ho cominciato a mangiare la mia, con molto piacere», dice sorridendo.

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