Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, si espone sulla situazione dell’ espresso e della sua percezione in Italia soffermandosi sulla sempre più presente carta dei caffè al ristorante e le proposte di miscele bio sostenibili. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.
Il caffè in Italia
di Mauro Cipolla
MILANO – “La scarsità degli ottimi caffè, le guerre, i costi di logistica sono scenari che sono sempre esistiti sin dagli anni ’80. Oggi queste situazioni sono peggiorate a amplificate anche a causa dei notevoli cambiamenti climatici che avvengono in modo non prevedibile, e a causa della deforestazione, la quale dal 2025 in poi avrà giustamente la sua protezione con le leggi in Europa che andranno tuttavia ancor più ad aumentare il costo del caffè crudo che appartiene ai grandi volumi di affari e quindi al costo di tutte le miscele come riflesso.
Negli Stati Uniti, e in altri Paesi occidentali, il caffè espresso si vende da decenni a prezzi molti più alti quando a confronto con i prezzi del caffè espresso in Italia.
Solo in Italia si è accettato un prezzo così basso sul caffè espresso per decenni e quindi anche la bassissima qualità che ne deriva.
Quell’Italia con tutta la sua storia e inutile snobismo sul caffè che è sempre stata strana e propensa al prezzo più basso del caffè espresso. Una Italia che ha ad oggi accettato di pagare il prezzo più alto del caffè espresso al bar solo se vi è una nota di elevazione di immagine, o di tendenze modaiole, senza badare alla vera qualità in tazza e al proprio piacere. Quell’Italia che continua ad essere diffidente sui prezzi più alti di 1.50 euro sul caffè espresso al bar o in caffetteria e che, anche se oggi passasse a euro 2,00 per ogni espresso, comunque sarebbe indietro come approccio mentale, culturale e economico ai fini gestionali per un’attività.
Il caffè crudo commerciale di ottima qualità, quelli che da sempre chiamo come caffè speciali, anche negli anni ’80 costava 0,90 centesimi di dollaro o molto di più al produttore in fattoria , per ogni 454 gr. quando invece a confronto i caffè commerciali terribili, i commodities, che all’epoca costavano molto meno della metà delle miscele commerciali speciali.
In merito al divulgare che il problema del caffè (in merito al prezzo) sarebbe collegato solo al prezzo di base dei commodity sul mercato di base negli scambi internazionali in borsa, non è assolutamente così.
Di fatto il valore del caffè specifico non è basato solo sugli scambi in borsa al momento della chiusura: questo è fuorviante come notizia e davvero banale.
La realtà è invece che i mercati di riferimento hanno da sempre avuto quelli che si chiamano differenziali sia al rialzo e come al ribasso sulla base delle chiusure dei mercati.
Questi differenziali al rialzo, nel caso dei caffè commerciali speciali, ( tra l’altro questi caffè sono spesso migliori o equivalenti agli specialty nelle lavorazioni in fattoria), sono da sempre più cari dei commodity, e sono stati pagati molto di più che i caffè commerciali commodities, proprio per l’esistenza dei differenziali, il quale valore è sempre dato dal produttore del crudo in merito ad ogni campione specifico.
Inoltre dobbiamo prendere atto una volta per tutte che i caffè specialty, ad oggi, anche a livello di sostenibilità sia della qualità e del lavoro delle persone nella filiera nei luoghi di produzione, non hanno di fatto aiutato quando vediamo i numeri del business del caffè nel mondo, la filiera ma hanno invece reso più ricchi i torrefattori, in particolar modo quelli che utilizzano la terminologia specialty per vendere i caffè nei grandi canali industriali e nella GDO.
La proposta ecosostenibile, o bio, o alternativa al commerciale di bassa qualità è una soluzione valida?
Queste proposte commerciali oggi, per diverse ragioni ma in sostanza quasi esattamente come lo specialty (che oggi è in mano anche sia alla GDO e come alle grandi industrie e agli Spa, sia come come terminologia di proposta e sia come proposta di fatto ), spesso non riesce a comunicare il valore aggiunto alla clientela perché il gusto e l’approccio di marketing della propensità al puntare così tanto sul “racconto delle procedure e sulla tracciabilità” ( come se altri caffè non specialty non avessero da sempre la tracciabilità nelle schede tecniche) , sull’educazione del cliente finale in modo troppo complessa, forzata e aulica, non è coerente con il response del dopo degustazione da parte della clientela italiana.
Di fatto, questi caffè specialty in estrazione espresso, il loro gusto in tazza come caffè espresso, i risultanti aromi e struttura, sono quasi sempre fuori target come gusto, quando a confronto con usi e costumi con la cultura antropologica dell’espresso italiano, (ovviamente quello buono e non quello imbevibile, il quale ha rovinato la nostra reputazione italiana nel caffè espresso).
Queste offerte commerciali alternative, esattamente come gli specialty, ovviamente funzionano meglio, all’inizio delle proposta come novità, curiosità, cambio culturale radicalizzato, dove si espone una comunicazione esclusiva e di appartenenza, come a dire che i caffè ottimi non specialty non esistessero, e come se ogni torrefattore di qualità eccelsa che non utilizza esclusivamente la terminologia specialty è considerato come uno che lavora male: ed ecco che questa filosofia e approccio funziona come novità, questo soprattutto nelle grandi città internazionali come Firenze, in alcuni vicinati di Roma e Milano, ove troviamo un turismo internazionale o giovani universitari rivoluzionari o cultori.
Se guardiamo invece i Bio o i caffè che appartengono al voler salvare l’habitat, si nota di fatto che anche questi sono a volte stati riscontrati come caffè dannosi dalle prove in laboratorio, contenenti per esempio in alcuni l’acrillamide ad alti livelli: questo dovuto alle erosioni del suolo e alla vicinanza di altre raccolte vicino agli stessi che andavano a contaminare il loro raccolto.
È importante capire che lo specialty in espresso, per il mercato italiano, rimane molto difficile da far capire ovunque ma soprattutto nelle province.
Non possiamo puntare solo sulle grandi città internazionali e sul GDO e neanche solo sulle nuove generazioni che chiedono cambiamenti nelle ideologie.
Per arrivare davvero a qualità eccelse democratiche e aperte, disponibili a tutti, serve condivisione, non chiusura. Non servono certamente divisioni e ostacoli impenetrabili per ideologia, neanche quelle nobili nell’approccio dell’offerta basata sul gender, oggi a mio parere un concetto davvero antiquato poiché esiste l’umanità e non i diversi gender.
Se non stiamo attenti andremo a cannibalizzare ancor più di quanto già accaduto i mercati: da una parte lasciando che le grandi industrie Spa e la GDO si appropriano del lavoro degli artigiani e dall’altra che anche tra di noi ci dividiamo con situazioni che non sono assolutamente veritiere e comunque non connesse alla felicità del consumo reale di ogni diversa cultura nel gusto.
La medesima affermazione di diversità del gusto e di richiesta culturale, sempre se consapevole però, può essere certamente suggerita, anche con riferimento alla differenza tra Londra Sud e Londra Nord, proprio ai fini dei diversi piaceri nel caffè espresso.
La carta dei caffè nella ristorazione è solo marketing?
Il problema nella ristorazione con così tante scelte non è legato alla cialda, come si pensa erroneamente, ma è invece legato al grano e anche alle troppe offerte di filter coffee, moka, o i grani, che dovrebbero invece essere fresche di tostatura.
Quindi il problema è in primis uno di freschezza (visto il poco volume dei caffè venduti nella ristorazione e di turn over. Questo problema esiste di fatto sia con il caffè espresso in cialda e come con i grani e con i filter). Inoltre i filter nella ristorazione richiedono troppo tempo per le preparazioni.
Se poi mettiamo in conto che, nella ristorazione, ti puoi ritrovare facilmente con 4 persone che rimangono a fine cena a sorseggiare uno o due filters e con lo staff di sala che è costretto a rimanere ad attendere… si ha un aumento dei costi del personale notevole. A quanto dovrebbero vendere i filters nella ristorazione per coprire questi costi?
La moka nella ristorazione è ancora peggio dei filters, poiché a parte i tempi delle preparazioni, vi è anche un problema di saperla fare bene, di essere certi che non si utilizzano macchine in allumino per la salute e anche di servizio e sicurezza; e comunque nè la moka nè i filter sono caffè espresso e il cliente della ristorazione in Italia richiede l’espresso.
La moka e i filter sono più appropriati per il consumo famigliare o nelle attività per momenti di relax.
Se la carta dei caffè è un concetto terribile in merito alle troppe referenze e alla freschezza del caffè dalla data di tostatura, questo concetto presumibilmente errato non è causato dal monoporzionato ma è fuorviante e falloso per un qualsiasi tipo di estrazione viste le troppe referenze.
Di fatto è proprio il contrario e cioè che il monoporzionato, in particolar modo la cialda è l’unico approccio possibile in un concetto di avere diverse referenze per il caffè espresso nella ristorazione, poichè, se proposta in due o tre varianti, la cialda può aiutare a rendere il menu dei caffè espresso proponibili con maggiore facilità e con ottimo risultato in tazza.
Ovviamente la cialda è solo un “involucro e non una categoria”, quindi la cialda deve essere analizzata, non su preconcetti pilotati per interesse di vendere il filtro o la moka o i grani ben sapendo che con quest’ultimi nella ristorazione è difficile avere la migliore qualità in tazza in modo costante, ma al contrario, si deve valutare l’esperienza in tazza, cialda per cialda, campione per campione, poichè le cialde sono tutte diverse in funzione a come sono state prodotte nella scelta delle materie prime e negli sviluppi in torrefazione.
Ci sono grani, filters e moka che sono buoni e anche davvero terribili. Quindi non capisco perchè discriminare se non per collusioni di parte.
Se non fai specialty lavori male?
Se la cialda, per esempio, utilizza materia prima nobile, 100% Arabica, di fresca raccolta, colta a mano sulla appropriata maturazione, esente da difetti in selezione e se è tostata appropriatamente, se è fresca nel crudo e nella tostatura, e se viene consegnata in piccoli lotti prodotti su misura il problema non si avverte, ma al contrario, si arriva ad una tessitura davvero incredibile e con una struttura esente da bolle e bollicine, ( vellutata ) che non si apre in tazza per 6 minuti, il tutto senza Tobusta.
Nella ristorazione dove vi è poco volume, dove molti non hanno La Marzocco GS3 o macinini On Demand (con o senza bilance incorporate), è sempre meglio un’ottima cialda poichè lo staff della ristorazione, spesso non è preparata a fare lavorare bene queste tipologie di macchinari per grani e a mettererle a punto diverse volte al giorno.
Spesso anche con la cialda ( e non invece al contrario la capsula ) si riesce a battere un caffè Specialty o un ottimo caffè commerciale Specialty, estratto in espresso da macchine a grani nella ristorazione, perchè la cialda se davvero ottima , elimina tutti i problemi legati al non aver il volume di caffè espressi estratti nella ristorazione e al non avere macchinari di ottima fattura o precisione e/o, uno staff adeguato.
Pensate che spesso trovo macchine a grani importanti con macinini On Demand importanti nella ristorazione, ai quali il torrefattore ha messo una vite per fissare la ghiera della macinatura in un punto specifico, rendendola non regolabile, visto che forma lo staff del ristorante con la convinzione che la macinatura può essere controllata ogni due o tre settimane o affinchè passerà a consegnare il caffè la prossima volta.
Le cialde se ben prodotte dovrebbero dare un risultato in tazza come, o meglio, di uno specialty o un ottimo caffè commerciale speciale selezionato.
Questo dettaglio del barista non ben formato, (seppur è più semplice formare con la cialda quando a confronto con il grano), credetemi esiste anche con le cialde, poichè anche con le cialde ci vuole formazione. Si: il barista può fare la differenza in bene o in male anche con le cialde.
Pane e vino: la loro storia è comparabile all’espresso?
La storia di questi due alimenti, ove si stressa l’importanza del concetto di nutrizione, è vera sia nel vino e come nel pane e come nel caffè. Io da sempre parlo di caffè espresso in termini di nutrizione, alimentazione e salute ma nel caffè, se si vuole godere di queste affermazioni, si deve porre l’attenzione al fatto che le procedure a valle per arrivare al godimento nel caffè espresso sono molto diverse quando messe a confronto con il mondo del vino e del pane.
Il pane e il vino sono prodotti finiti e non semilavorati e sono quindi più facilmente utilizzabili nel migliore stato finito.
Il caffè espresso invece è altamente modificato in male o in bene, in funzione a mille variabili anche da tazzina a tazzina, immaginiamoci da attività a attività, se solo prendessimo un esempio dall’acqua utilizzata, dalle differenze dei macchinari, del caffè utilizzato e dei diversi baristi e non dimentichiamoci dell’altitudine e della pressione barometrica oltre all’umidità.
Inoltre il caffè espresso è molto identificato nel gusto con una cultura locale antropologica e nella memoria olfattiva esperienziale, (quando a confronto con il pane e il vino) i quali si prestano molto più facilmente alla scoperta del nuovo e del diverso.
Se parliamo poi solo degli specialty, come materia prima, come stile di tostatura e come aroma, struttura e gusto, questi, mi preme ricordare, che sono stati creati ad origine per i soft coffees e non per l’estrazione con il caffè espresso.
Se inoltre parliamo di fermentazioni controllate aerobiche o anaerobiche ( anaerobiche ancora peggio, poiché la fermentazione è molto più lenta, si tirano fuori più alcol, zuccheri e acidi), allora ancor più, questo tipo di prodotto, oltre alla novità del racconto, di fatto in tazza possono andare più che bene con i soft coffee per alcuni palati, ma con gli espresso questi stili di caffè anglosassoni, vengono esasperati non piacciono a molti in Italia.
Quando nel sistema di estrazione specialty , inerente agli espresso, si utilizzano i sistemi ibridi pensati e insegnati dalla Sca, (che i sistemi di estrazione del caffè espresso hanno totalmente modificato i parametri fisici della macinatura, del volume del macinato nel filtro, della pressatura e delle tempistiche di estrazione ), il problema è ancora maggiore poichè il nostro dna seppur volendoci migliorare e divenire più consapevoli e aperti, respinge il consumo frequente di questi gusti e aromi esotici che non appartengono al nostro piacere quotidiano della cultura antropologica del caffè.
La situazione in Italia sul gusto risultante può parlare di diverso, perché da una parte il Bel Paese ha davvero tanti caffè penosi da decenni e decenni, e dall’altra è rimasta nostalgia di caffè imbevibili per mille ragioni e dall’altra ancora l’italiano ama le tendenze o le mode, ma….le innovazioni e le novità devono portare piacere.
L’innovazione da sola, questo è certo, alla lunga non è preferita, né in gusto né in retrogusto, nè in prezzo a giustificare un utilizzo di frequenza giornaliera e in diversi momenti della giornata a cambiare una cultura del gusto; anche perché l’espresso così estratto spesso non è riconoscibile né come tale né come moka, né come filter, è un espresso ibrido, un caffè Hot Rod, che piace agli anglosassoni con poca cultura sul caffè espresso.
Le piccole macchinine con macinini integrati che macinano dal fresco sono meglio delle cialde?
Per cominciare, queste macchine non offrono macinini e pompe importanti sia come tipologia di materiali e costruzione e come controlli.
Su questi macinini, inseriti (o meglio integrati all’interno delle carrozzerie delle macchie del caffè), oltre al problema della temperatura al quali i grani sono esposti mentre nelle campane, non si riesce a controllare la macinatura in modo millesimale e neanche la dose del caffè macinato nel portafiltro.
Le lame di taglio di queste tipologie di macinini, per tipo di metalli, durezza e angoli di taglio, non donano una macinatura costante e fine abbastanza per il caffè espresso.
I pressini idraulici o idromeccanici e /o elettrici inseriti in queste piccole macchine, non pressano con i kg al cm2 necessari per l’estrazione corretta del caffè espresso.
Le pompe hanno spesso sistemi pulsanti, On e Off, o altri sistemi, i quali in qualche modo gonfiano i caffè per dargli più corpo inteso come quello che l’occhio vede snaturandoli sia in gusto e come in struttura e tessitura.
In queste tipologie di macchine inoltre, (rimuovendo loro in automatico la posa del caffè estratto), non si può andare fine come si dovrebbe in macinatura perché, se lo si facesse, le macchine e i loro sistemi di evacuazione della posa, sarebbero sempre da pulire per sbloccare il caffè macinato estratto, poichè appunto otturate.
La data di torrefazione è indispensabile?
No. Quanti caffè sono presenti con date di torrefazione ( vedi gli Specialty nella GDO ) e poi li andiamo ad aprire e sono ossidati o sono vecchi per decomposizione organica?
Ciò che conta è che il caffè sia tostato solo su ordinazione e se ciò fosse davvero eseguito, seguirebbe come logica che la data di torrefazione deve essere quella appena dopo la data di ordinazione.
Inoltre si deve dare uno shelf life molto ristretto in numeri di giorni e si deve vendere poco caffè alla volta per ogni cliente.
Quindi se ci tieni davvero alla qualità non tieni conto solo della comunicazione fuorviante della data di tostatura ma, al contrario, non vendi alla GDO e non hai caffè tostato in inventario, e fai attendere la clientela per ricevere il loro caffè ordinato fresco solo per loro .
Le valvole unidirezionali funzionano davvero per mantenere la freschezza?
Le valvole unidirezionali (che da una parte consentono di introdurre il caffè tostato nelle buste immediatamente dopo la tostatura, e da una parte rilasciano il CO2 dall’interno della busta facendo uscire l’aria dall’interno del sacchetto e non facendo entrare l’aria nel sacchetto dall’esterno), sono teoricamente corrette ma nella realtà sono estremamente fuorvianti.
Intanto portano il consumatore a pensare che con le valvole sulla busta il caffè rimane fresco a lungo, cosa non vera.
Di fatto a parte il problema dell’ossidazione esiste anche il problema fisico chimico della decomposizione organica del tessuto vegetale del caffè tostato, il quale non è fermato dal non avere l’ossidazione.
Inoltre mentre queste valvole unidirezionali fanno uscire il CO2 , portano al di fuori della busta oltre al CO2 anche il 50% del valore del CO2 espulso in aromi volatili.
Negli anni ’80 facemmo una prova comparativa con queste valvole andando a confezionare il caffè appena dopo la tostatura in una sacchetto senza valvola applicando con degli aghi un sistema con la foratura dei sacchetti con dei piccoli fori mirati e equilibrati in funzione al tipo di tostatura e al volume del caffè nella confezione per agire come valvole naturali.
Questo tipo di pack, se lo gestivamo bene nella tempistica del prodotto inteso come fresco, funzionava molto meglio delle valvole unidirezionali anche in merito all’estrazione del caffè espresso.
Ovviamente rimaneva di fondamentale importanza tostare all’ordinazione e non vendere alla GDO o avere caffè tostato in magazzino.
Le confezioni in lattina rigide con valvole unidirezionali di maggiore struttura quando a confronto con una qualsiasi busta, funzionavano molto meglio delle buste flessibili con valvole, in merito al mantenimento degli aromi.
Questa miglioria si aveva soprattutto se si utilizzava un sistema per evacuare l’aria e sostituirla con azoto ad alte pressioni, per l’appunto con un involucro molto rigido e strutturato il quale aiutava a respingere il CO2 all’interno del grano.
Così facendo più aromi erano mantenuti, meno si riscontrava trasudazione, e i pori del grano venivano aperti di meno quando in confronto con il sacchetto pouch con valvola.
I miglioramenti dei contenitori rigidi con valvole funzionavano e funzionano molto meglio dei sacchetti flessibili con le valvole ma solo se si considerava il profumo all’apertura del barattolo o confezione poichè la verità era e rimane che pochi minuti dopo l’apertura della confezione , i meravigliosi aromi scaturiti all’apertura svanivano totalmente appiattendo il caffè.
Nulla sostituisce la freschezza e nulla più aiutare la freschezza che si esprime in quell’esperienza meravigliosa durante la logistica e nei grandi volumi.
Il caffè espresso fresco appena dopo la tostatura è il massimo dell’esperienza?
Non proprio. Se parliamo di estrazione in espresso, il caffè deve riposare per qualche giorno ( 1-2 ) prima di essere confezionato: questo per rendere l’estrazione del caffè espresso più controllabile e qualitativa negli aromi, nel gusto e nella struttura.
Il numero di giorni di attesa varia dalla materia prima utilizata, dalla curva di tostatura e dalla curva di raffreddamento.
Sarebbe auspicabile quindi di accogliere l’ordine, produrre il caffè tostato fresco, confezionare appena dopo aver tostato e utilizzare i giorni di logistica o di inventario disponibile dal cliente finale per fare “curare il caffè e perdere una buona parte del CO2 creato durante la composizione organica durante la tostatura”.
In caso si utilizzasse un gas inerte ( ai fini di mantenere quasi completamente inalterato il caffè fresco per qualche giorno ) durante il confezionamento, si necessiterà di attendere 24 ore prima di estrarre il caffè espresso.
Il costo degli strumenti e macchinari è il minimo che un professionista dovrebbe pensare di investire per se
Non dimentichiamoci il costo della manutenzione e pulizia appropriata, della qualità dell’acqua e dei sistemi di filtraggio, dei ricambi costosi, della revisione annuale, della formazione. Fosse solo il costo degli strumenti il problema!
Se il torrefattore ti da la macchina a grani in comodato d’uso non avrai la macchina migliore e non avrai la migliore manutenzione della macchina.
In sintesi pagherai un tot al kg per il costo di finanziamento sulla macchina del caffè e sugli accessori e non sarai libero di cambiare il caffè quando vorrai.
Oggi purtroppo anche i grandi industriali, le Spa, danno in comodato d’uso macchine di pregio come per esempio la La Marzocco andando ad aggiungere poi una comunicazione del tipo; “caffè solo per la ristorazione…oppure caffè solo per la pasticceria…”, e poi assaggi il caffè e sa esattamente come un caffè industriale può essere ….con tutta la macchina e il macinino di pregio.
Concludo comunicando che i macinini On Demand sono una grande opportunità ma anche un grande problema se non si presta attenzione. Di fatto questi macinini hanno una relazione inversa tra macinatura e dosaggio del caffè macinato nel portafiltro e spesso i baristi modificano la macinatura e non modificano invece la dose macinata.
I nuovi macinini On Demand con bilance integrate per il peso aiutano non poco, ma anche lì ci vuole attenzione: questo perchè basta che si tocca la bilancia mentre si lavora sfiorandola con il portafiltro ed ecco che si compromette la dosatura e di seguito l’estrazione del caffè espresso”.