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giovedì 21 Novembre 2024
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Mauro Cipolla che si occupa della cultura caffeicola: “Vi racconto storia ed evoluzione del chicco come le conosco io”

L'esperto: "I cambiamenti climatici, economici, politici e sociali, da sempre decidono il nostro destino. Alla fine noi siamo fiduciosi che si metta in atto della ricerca, delle politiche, degli associazionismi per salvarci e creare le migliori condizioni di vita per tutti. Siamo caffè da centinaia di anni e sappiamo che le migliori prospettive in teoria possono essere sfavorite poiché, per esempio, la Liberica benchè teoricamente atta al salvarci come specie potrebbe essere eventualmente esclusa di fatto dai nuovi presupposti se non sponsorizzata da chi davvero poi decide. L'incertezza è nella nostra natura, nel nostro dover reagire ogni giorno per sopravvivere, la certezza è che l'essere umano promette e si perde nella promessa, dando incertezze sul futuro"

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MILANO – Mauro Cipolla, il titolare di Orlandi Passion, professionista ben noto agli addetti ai lavori per la sua esperienza e conoscenza della materia, parla della storia del chicco di caffè dal proprio punto di vista, analizzando passo dopo passo la sua evoluzione e il viaggio migratorio che lo conduce fin dentro le nostre tazzine. Leggiamo di seguito il suo intervento originale.

Il viaggio del chicco di caffè

di Mauro Cipolla

“Nessuno ha mai chiesto al chicco di caffè cosa è accaduto nel suo mondo nei decenni e di come la sua vita sia stata condizionata.

Onde evitare di essere di parte, visto che si parla tanto di comunicazione oggi nella filiera, vi parlerò come se fossimo tutti dei chicchi di caffè per comunicare meglio la nostra storia e esistenza in questo mondo.

Per farvi capire meglio il mio racconto, utilizzerò dei temi molto importanti oggi nella società: immigrazione e migrazione, intolleranza, consapevolezza, politically correct, incertezze e certezze.

Vi darò, infine, la mia personale conclusione su come vorremo procedere nel caffè nel futuro”.

Caffè. Immigrato o migrato?

“Il caffè immigrato è per me una necessità al fine di continuare ad esistere come specie e varietà, come essere botanico e per continuare a evolvermi e a esistere in un mondo nuovo; mi dispiacerebbe essere sostituito dal tabacco, dalle fave di cacao, dall’olio di palma e dalla gomma. Certo è che non vorrei vedere il mio consumo e il mio commercio come contribuente alla deforestazione e al degrado degli ecosistemi delle foreste.

mauro cipolla
Patrizio Roversi, ex conduttore di Linea Verde, insieme a Mauro Cipolla (immagine concessa)

Il mio essere commercializzato comporta che sono da sempre limitato da accordi politici, economici e commerciali; e comporta anche che il controllo sul mio destino sia quantitativo sia qualitativo, e sul come sarò visto e pensato dalle persone nei mercati, sarà in mano a terzi. Alcuni accordi aiutano tutti, me compreso, e altri non proprio.

Eppure sono io che rischio di essere ancora una volta sostituito dal ginseng, dall’orzo e dal tè da parte dei consumatori per loro scelta, forse perchè non li ho appagati, coinvolti e emozionati.

Mi sento più a mio agio pensandomi come migrato poiché questo pensiero, benchè utopico e retrograde, emotivamente per gusti e affinità sociali, culturali e piaceri dei diversi gusti,  mi porta indietro alle mie origini, quando ero libero, selvatico, nativo di un territorio che ben conoscevo e al quale mi ero abituato, persone incluse.

Un territorio e delle persone che oramai mi conoscevano nei miei movimenti lenti e naturali, spontanei.

Avevo il grande piacere di vedere le diverse culture dei territori verso i quali mi spostavo casualmente.

Oggi invece vedo grandi cambiamenti in luoghi lontanissimi, come per esempio in Cina dove sostituiscono le loro tipiche piantagioni di tè con piantagione di caffè.

Il caffè in tazza però lì è molto diverso, così come è molto diversa la miscela prodotta nelle serre o nelle piccole piantagioni sperimentali e di ricerca in Sicilia.

Il caffè migrato sono io, con la mia nascita spontanea e un altrettanto spontaneo processo sociale e culturale.

Mi ricordo bene quando eravamo in 124 specie diverse native non domesticate con le specifiche origini in Etiopia nella regione Abissina di Kaffa.

Alcuni di noi, di queste vecchie specie, hanno resistito ai tempi e ai viaggi, altri sono morti o sono andati dimenticati, persi.

Le migrazioni naturali mi facevano conoscere persone nuove, luoghi nuovi; certo, realtà molto simili tra loro viste le distanze di piccola entità che costituivano i miei spostamenti; ma poi da lì iniziò il mio percorso migrativo che si trasformava in una prima immigrazione verso Yemen, Egitto, Arabia.

Furono proprio gli Arabi, i quali mi amavano così tanto, che decisero di farmi viaggiare sempre di più per mille ragioni. Ed è così che mi trovai nel Sud Est Asiatico e nelle Americhe.

Non fu facile climatizzarmi, capire come modificarmi per continuare a vivere e resistere, anche perché le malattie, i microbi, infezioni, ruggine, CLR, i funghi, i parassiti, gli insetti, gli acari di ragno e larve diverse, i diversi climi, le altitudini, il terroir topologico, culturale e sociale era molto diverso dalle mie origini.

Gli olandesi li conobbi quando mi portarono in giro per il mondo in forma di pianta, partendo dai giardini botanici di Amsterdam verso le loro colonie e dunque le Indie, i Caraibi e altre località a me all’epoca non conosciute, e le quali facevano parte dell’Impero Coloniale Olandese.

Ed ecco che nel tempo da migrante divenni immigrato”.

Caffè. Intolleranza selvaggia impermeabile?

“L’intolleranza si manifesta tra voi umani, tra il mondo degli animali in natura, e anche nel mio mondo botanico.

Il concetto dell’intolleranza è però trasversale poiché dove vi è vita e dove si dà vita al nuovo, si ha sempre a che fare con il concetto di territorialità, terroir botanico, sociale e culturale.

L’intolleranza può nascere sia perché si va contro la natura selvatica e si entra in quella addomesticata ibrida, sia per mille altre ragioni legate a nuove situazioni ambientali e sociali che mi sono state buttate addosso senza darmi il tempo di adeguarmi alle nuove condizioni di vita.

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Mauro Cipolla

Pensate che una volta contai circa 90 specie di noi caffè create come ibridi dall’uomo. Questi ibridi li riconoscevo vagamente come parti di noi, un caffè di questa o quell’altra specie, ma le differenze, seppur condivisibili nel ragionamento pensato, erano di fatto incompatibili.

Alla fine dei conti solo 10 delle 90 specie sono sopravvissute. Oggi siamo rimasti solo in due specie importanti commercialmente: l’Arabica e la Robusta.

La sopravvivenza è andata dove vi è stata tolleranza nel sistema terroir, dei processi dati dall’umanità, dalla topologia e dal microclima.

Pensate agli ibridi di Arabica e Robusta. Questa sì che è immigrazione controllata. Il risultato di questa immigrazione controllata è la Arabusta ibrida.

Il fatto è che l’Arabusta esiste nel mondo selvatico naturale, ed è molto più resistente di quella ibrida, costruita e pensata, visto che la stessa è stata costruita modificando le barriere delle differenze cromatiche tra le specie dal sistema del raddoppio cromosomico.

Queste specie ibride di Arabusta hanno resistito poco però anche commercialmente.

E che dire della Liberica, “la terza specie” e della sua varietà Excelsa (una volta considerata una specie, oggi invece declinata come una varietà della Liberica ).

Oggi rappresenta solo l’1% dell’offerta globale.

Nel 14° secolo, però, la Liberica rappresentava la seconda specie più importante al mondo per gli scambi commerciali globali.

Perchè la Liberica oggi è quasi totalmente sparita?

La colpa della sua sparizione è stata l’intolleranza al suo sapore”.

La consapevolezza del caffè

“Se si è consapevoli però si capisce che l’intolleranza alla Liberica del passato era dovuta al concetto errato del “più grande, più bello, più buono”, nel quale il seme del caffè era coltivato per produrre drupa o ciliege molto grandi con una polpa esterna ai chicchi molto spessa e resistente. Questa polpa spessa andava ad influire negativamente sul ciclo di produzione e sulle note finali aromatiche e degustative.

La Liberica e la Excelsa oggi hanno drupa molto più piccola, le lavorazioni sono cambiate, e i risultati sono caffè dolci e aromatici, non aciduli e non amari.

Certo che per noi caffè la specie regina per aromi ed eleganza è l’Arabica.

Anche lì dipende, però, da quale fattoria, da quale micro lotto, da quale annata di raccolta e da come ti hanno “cresciuto i contadini”, dipende dai processi e procedure, e da quale dna si ha sia nelle varietà e nell’età, e nel dna del terroir topologico, culturale e sociale.

E’ normale che come in ogni famiglia se i soldi sono pochi, se socialmente non si è tranquilli, se la salute non è quella che dovrebbe essere, non si possono sfamare, educare, vestire, e crescere i figli come si avrebbe potuto fare con più soldi e più risorse e in buona salute.

La scelta è spesso quindi fare meno figli ( in questo caso meno caffè di qualità ad un prezzo molto più alto, o fare il contrario).

Pensate che alcuni di noi sono raccolti con molta cautela a mano sul punto corretto di maturazione tornando sul ramo 4 o 5 volte per cogliere la maturazione giusta mentre si lavora su pendii difficili da percorrere.

Altri caffè sono invece raccolti in modo dozzinale , con drupa sovra matura, o non maturata al punto giusto, oppure ancora non affatto pronta per essere colta o, al contrario, così matura che è colto da terra.

Alcuni sono essiccati al sole dove nessuna parte della drupa ( buccia, polpa, mucillagine ) è rimossa prima dell’esposizione ai raggi solari, e dove abbiamo una fermentazione spontanea naturale.

Altri ancora scelgono di proseguire con fermentazioni controllate, addirittura con fermentazioni tecnologiche anaerobiche in ambienti controllati.

Noi, come caffè, riconosciamo sempre il chicco vero naturale in merito alla fermentazione, poiché quello modificato e controllato nella sua fermentazione è senza dubbio innovazione e progresso ma è stato creato dalla volontà dell’uomo di avere un certo aspetto, gusto e aromaticità finale.

Nel mondo umano questo percorso sarebbe simile a quanto avviene con la chirurgia plastica, quando tutta l’essenza delle fattezze umane naturali si appiattiscono e si cancellano le rughe anche quelle belle e vere, modificandone gli elementi con la mano e la volontà controllata dell’uomo.

In sintesi è la stessa cosa che accade a noi caffè in natura e cioè modificandoci troppo ci appiattiscono, ci tolgono l’anima e ci danno volti, gusti e aromi perfetti per i loro obbiettivi individuali e specifici ma ben lontani dai nostri dna e diciamola tutta spesso non ci riconosciamo dopo essere stati non solo controllati ( il che sarebbe anche utile probabilmente ) ma addirittura altamente modificati.

E poi fatemelo dire: la raccolta che non è eseguita a mano ma, al contrario, con i macchinari, ci fa molto male (sia alle ciliegie raccolte, sia danneggiando la pianta e il futuro della stessa).

Una volta che siamo stati raccolti, c’è chi sceglie di svestirci della polpa, del cappotto naturale zuccherino, sdraiandoci su un telo rialzato da terra con i flussi di vento che ci accarezzano, o su un patio, e ci muovono spostandoci e massaggiandoci con amore avanti e indietro per tre, sei settimane, facendoci riscaldare al sole appunto con questa lavorazione chiamata naturale.

C’è invece chi sceglie un po’ il sole e di andare verso i corsi d’acqua a nuotare con quello che è definito il sistema “semi” dove una parte della polpa della drupa è rimossa e rasata meccanicamente a diverse rasature per i diversi gusti e aromi voluti, e l’altra parte viene tolta invece dal sole e dal movimento dell’acqua.

Infine, ci sono quei caffè che sono esposti solo all’acqua in generale; e in questo caso si opta per il sistema Lavado dove la buccia e la polpa sono eliminate da uno spolpatore e poi si è messi a fermentare per 12-24 ore nei corsi d’acqua, e lì vediamo subito chi nuota meglio e chi no poiché le ciliegie mature vanno verso il fondo e quelle che non lo sono galleggiano, salvandosi.

Alla fine dei conti, se i contadini ci hanno cresciuti bene e se abbiamo un ottimo dna, se siamo belli giovani e freschi, e se non abbiamo difetti primari e pochi difetti secondari, tutti saremo forti e pronti nel dare la migliore esperienza gustativa.

Alcuni di noi avranno un gusto più fruttato, acidulo; altri un gusto più rotondo, dolce e meno profumato, ma comunque sarà sempre presente una parte del nostro vicinato, per chi il gusto della pianta di banana o della pianta di cacao, della pianta di tabacco e così via.

Ci ricordiamo però che la nostra vita di adattamento ai cambiamenti non è mai stata semplice. Ci viene in mente un libro scritto dai bambini di un paesino in Italia “Io speriamo me la cavo”.

Questo è proprio il caso del caffè Arabica e Robusta.

Oggi, sembra essere sempre più importante sopravvivere ai cambiamenti climatici e non solo.

La specie Arabica per il futuro non è favorita. Chissà cosa avverrà nei decenni alla specie Canephora comunemente conosciuta come Robusta?

In crescente introduzione sono i nostri distanti cugini della specie Liberica e la varietà della Liberica, la  Excelsa.

Queste due riescono a resistere con maggiore grinta ai cambi climatici, alle malattie e ai parassiti.

Sappiamo bene che l’economia e la finanza nei mercati vincono poiché pochi vi direbbero che la Liberica e la Excelsa sono più facili da coltivare dell’Arabica e della Robusta, sono più resistenti alle malattie e rendono 4 volte l’Arabica e 2 volte la Robusta ( circa 8 kg per anno per ogni pianta per la Liberica).

Caffè: politically correct

Un concetto umano nato in origine per promuovere la tolleranza e il riconoscimento di ogni differenza.

Nel caffè questa era la storia dello specialty negli anni 80 e poi nei decenni quest’ultimo ci ha cambiato, ma lui stesso non è più il medesimo.

Ci chiediamo se oggi i veri specialty sono davvero pochissimi, rispetto a ciò che è pubblicizzato da alcune caffetterie e bar come un’esperienza Specialty?

Non capiamo perché alcuni di noi sono caffè speciali e altri no, anche se abbiamo le medesime condizioni di specie o comunque condizioni molto simili, varietà, raccolta, essiccazione, lavorazione, selezione.

Forse è solo perché qualcuno decide chi è da considerarsi specialty e chi invece non lo è nel mondo botanico.

Oppure è perché alcuni abusano, e non dovrebbero, del nome specialty e dicono che lo è ma di fatto non lo è.

Comunque sia noi, come caffè, siamo in grado di capire se siamo specialty e che questa nuova forma di politically correct o politically connected è in alcuni caffè vera e in altri una farsa, dove le parole e le terminologie sono sfalsate o strumentalizzate portando fuori rotta chi legge e degusta.

Capiamo quando queste terminologie sono utilizzate male e dove siamo proposti in modo errato o in modo che esclude e non include, che crea divisione, che lavora forse troppo sulla comunicazione e, forse, troppo poco sulla sostanza come percepita da persone differenti con diverse voglie e aspettative anche culturali.

Come caffè ci riconosciamo come lavorati bene o male; e quando lavorati bene non capiamo perché per essere considerati speciali dovremmo avere un punteggio, un voto da parte di alcuni professionisti che sono pagati per dare il loro voto e che spesso fanno diversi lavori in conflitto tra di loro.

Non capiamo perché il nostro gusto così personale e vero nel nostro carattere dovrebbe appagare solo alcuni, solo quelli che cercano un gusto definito e avere gusti e aromi che rientrano nelle loro scelte e non in quelle di tutti.

Premesso che lo Specialty ha un valore enorme se utilizzato bene e non strumentalizzato,  non capiamo perché, anche se lavorati benissimo ad origine e in tutta la filiera, dovremmo avere “un uniforme da indossare, un costume, un look personale” che ci fa rientrare in un certo movimento ideologico e non, invece, nel piacere di tutta l’umanità che vorrebbe capire meglio cosa diamo loro.

Ciò che è accaduto ai caffè è un po’ come il politically correct nel mondo umano, che ha lavorato molto per fare capire le differenze e ha fatto molto per creare un grande valore aggiunto ma, alla fine, il messaggio non arriva a tutti e il tempo ha invece cambiato rotta lavorando più sulla lettera, sulla comunicazione che sulla sostanza, di fatto portando spesso così solo confusione.

I caffè eletti sono pochi.

Concentrando il piacere delle persone sulla comunicazione, sulla neurolinguistica, sull’appartenenza a discapito dello spirito e della causa comune, dell’inclusione e protezione delle differenze, non si aiuta la nostra causa come caffè.

Caffè tra certezza e incertezza

I cambiamenti climatici, economici, politici e sociali, da sempre decidono il nostro destino. Alla fine noi siamo fiduciosi che si metta in atto della ricerca, delle politiche, degli associazionismi per salvarci e creare le migliori condizioni di vita per tutti.

Siamo caffè da centinaia di anni e sappiamo che le migliori prospettive in teoria possono essere sfavorite poiché, per esempio, la Liberica benchè teoricamente atta al salvarci come specie potrebbe essere eventualmente esclusa di fatto dai nuovi presupposti se non sponsorizzata da chi davvero poi decide.

L’incertezza è nella nostra natura, nel nostro dover reagire ogni giorno per sopravvivere, la certezza è che l’essere umano promette e si perde nella promessa, dando incertezze sul futuro”

Conclusione

“Ricordatevi da dove siamo nati e perchè.

Non svendeteci a nessuno per nessuna ragione.

Non svendete la nostra anima e il nostro spirito, dna e terroir.

Quando fate troppi esperimenti lontani dalla nostra natura, chiedetevi a cosa dobbiamo rinunciare per essere uguali, piatti, o per non farci riconoscere diversamente.

Chiedetevi, invece, se dovremmo capire meglio cosa ci rende unici naturalmente.

Siamo felici di vedere alcuni di noi rappresentati nelle competizioni di estrazione nei vari paesi del mondo ma ricordatevi che le competizioni non rappresentano tutto il nostro mondo e certamente non rappresentano i gusti e le affinità aromatiche di tutte le persone presenti nei mercati consapevoli.

Accettate le differenze e capite che armonia non significa uniformità, artigiano non significa industria, e che ogni artigiano non può e non dovrebbe utilizzare le stesse e medesime materie prime con profili di gusto tutte simili e piatti, perché un gusto umano globale semplicemente non esiste.

Non ci piace essere una copia l’un dell’altro in tutti i sensi, e francamente essere tutti uguali non equivale affatto ad essere aperti, inclusivi e democratici.

Come caffè, guardando al presente e alle prospettive del futuro, non siamo scontenti di essere oggi cresciuti anche in luoghi come la Cina; ricordiamoci però che i saggi cinesi scrivevano “l’armonia fa prosperare le cose mentre l’uniformità le fa deperire”.

Attenzione al piacere personale nel caffè

Non possiamo essere felici di vederci utilizzati come un mezzo per rendere a tutti i costi il gusto un piacere forzatamente universale tra i diversi vissuti antropologici e svenderci giocando con molta cura sulla scelta del linguaggio comune mentre, al contempo, troppo spesso non accontentiamo per davvero le persone bensì si vede ogni cultura del caffè svestita del suo nucleo centrale connesso al vissuto antropologico, e mentre neutralizziamo il corso della nostra storia e dei nostri piaceri passati come chicchi e miscele per generazioni in tutto il mondo”.

                                                                                                         di Mauro Cipolla

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