Alcune nuove aziende hanno dato vita ad un nuovo tipo di cioccolato coltivato in laboratorio nel quale non c’è traccia della pur minima fava di cacao. Questa tecnologia innovativa, più sostenibile e green, potrebbe mettere in crisi le coltivazioni di cacao del Ghana e della Costa d’Avorio. Riportiamo di seguito la prima parte dell’articolo di Peppe Acquaro per il Corriere della Sera.
Le nuove start up del cioccolato sintetico
MILANO – Nessuna magia alla Willy Wonka, il proprietario della “Fabbrica di cioccolato”, titolo del celebre romanzo scritto da Roald Dahl all’inizio degli anni ’60 del secolo scorso e portato al cinema con successo, nel 2005, dalla coppia Burton-Deep.
La magia, se di magia si può parlare, è tutta nella capacità innovativa delle start up (ma che si contano sulle dita di una mano), abilissime nel realizzare un non-cioccolato che sa di cioccolato ed in grado di fare sentire perfino quel classico rumore, lo snap sordo, quando lo si spezza.
Un prodotto “coltivato” in laboratorio nel quale non c’è traccia della pur minima fava di cacao. E qui viene il problema.
Il 70% della produzione mondiale di cacao proviene dalla fascia occidentale del Continente Nero.
Ma le fave di cacao del Ghana e della Costa d’Avorio potrebbero essere messe in crisi dalle imprese europee del cacao da laboratorio: teoricamente più sostenibili e green. Un non-cioccolato di nicchia. Le nuove aziende si difendono: “Noi non sfruttiamo il lavoro minorile”.
Questo esperimento da laboratorio — in Olanda, hanno addirittura creato recentemente un meta-materiale commestibile al sapore di cioccolato — rischia, come sottolinea un’inchiesta di “Quartz”, di mandare a gambe all’aria i piccoli produttori dell’Africa occidentale, del Ghana e della Costa d’Avorio, da dove proviene il 70 per cento della produzione mondiale del cioccolato.