domenica 22 Dicembre 2024
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REPORTAGE – Cina, da dove parte la via del tè

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MILANO – Lo Yunnan (in basso in rosso nella cartina della Cina) è una vastissima regione del sud della Cina che confina con Vietnam, Laos e Birmania. Il bel reportage sotto parla soltanto di tè e cavalli, ma lo Yunnan è oggi un grande produttore di caffè, anche Arabica di qualità. Soprattutto sull’onda dei massicci investimenti di Nestlé e Starbucks.

di Francesca Bottari*
SHAXI (Yunnan) – La Via del tè è meno conosciuta della Via della seta, ma non per questo di minor importanza. Per secoli ha ospitato storie e commerci, ha fatto incontrare persone, religioni e prodotti che hanno influenzato luoghi e genti dalla Birmania, alla Cina, all’India.

Una strada lunga 3.000 chilometri che ha iniziato ad essere frequentata con l’avvento della dinastia Tang (960 – 1279). Uomini e donne che l’hanno percorsa hanno incontrato fauna e flora di ogni tipo: dalla giungla ai laghi racchiusi in colline di riso cinesi, fino alle imponenti cime himalayane, inospitali d’inverno e magnifiche d’estate.

Per capire da dove stiamo scrivendo occorre risalire dall’India verso nord: dopo aver oltrepassato il Nepal si giunge in Cina nella regione del Tibet.

Girando verso est e prendendo in mano una immaginaria matita si disegna la stanghetta portante di una “Y” che poi si divide in due braccia: verso sud est si dirige verso la Birmania, verso nord est fino alla provincia dello Sichuan.

Noi siamo nella provincia dello Yunnan, nella parte sud della Cina verso il confine con la Birmania, sperduti in una zona poco conosciuta ma appunto attraversata dalla via del tè. Lungo questo itinerario anche altri prodotti venivano commerciati, come sali, tabacchi e zucchero; ma, accanto alle piccole foglie di tè, furono i cavalli i veri protagonisti: non a caso il nome ufficiale della bretella indocinese è “la Via del tè e dei cavalli”.

Il Tibet era dipendente dalla bevanda calda tanto quanto la Cina lo era dai suoi cavalli. Per dare un’idea – dai dati di alcune guide locali – dall’anno 1000 per circa 300 anni furono circa 20 mila i cavalli commerciati o scambiati, e nel corso di soli due anni, fra il 1660 e il 1661 vennero venduti un milione e mezzo di chilogrammi di tè. Shaxi è un villaggio che conserva strade, case, templi e mercati (ogni venerdì) esattamente come erano in passato.

Una delle vie centrali e la piazza principale, un tempo snodo cruciale di commerci e di incontri, grazie al loro inesauribile profumo di quel tempo antico, nel 2001 sono state inserite nella lista del WMF fra i 100 luoghi da vedere al mondo.

Nella piazza ogni sasso è uno scrigno di fragranze, impronte, scambi e dialoghi. Piccola ma graziosa è un rettangolo di case in legno minuziosamente lavorate a mano: porte e finestre sono delle vere e proprie sculture che raffigurano paesaggi e testimonianze.

Un tempio buddhista dell’epoca Ming appartenente alla minoranza Bai su un lato della piazza – l’unico del genere rimasto in Cina – e di fronte una casa a tre piani della stessa epoca – una rarità in un villaggio così piccolo –.

Superata la piazza si incontra l’omonima via– Sideng street – che scende come il piccolo ruscello che la segue prima di ricongiungersi con il fiume Hui. Questo corso d’acqua scorre fuori dalle piccole porte ad arco che proteggono la cittadina.

Dalle sedie di legno dei bar – scolpite a mano dagli artisti che vivono nel paese – è possibile sentire il rumore dell’acqua che avanza. Dal centro bastano pochi passi per raggiungere il fiume, è altresì possibile attraversarlo grazie al vecchio ponte Yu Jinche connette le due sponde, una volta l’arrivo e la partenza d’innumerevoli carovane.

La bicicletta mi ha guidato fra risaie e piccoli villaggi che inseguendosi si ripetono nella tipologia. Ad ogni ingresso una pietra verticale con scolpito il nome del paese, case bianche dipinte da detti confuciani che si esauriscono con l’inizio dei tetti lavorati all’insù fino a toccare il cielo.

Le terrazze di riso sono modeste, non si estendono verso l’alto, ma orizzontalmente, sembrano limate dalle mani volanti di cinesi che mattina e sera praticano il Tai Qi Chuan.

Il fiume taglia in due questa vallata, seguendolo s’incontra quel che resta dell’antica via fatta di piccoli sassi, scomoda da percorre, rossa per il colore della terra, che connette remoti villaggi con il resto del mondo.

Sono arrivata a Shaxi quasi per caso e dopo due settimane riparto conoscendo passato e presente di un luogo incantevole. Ogni sera Xi Lu mi prepara una tazza di tè mentre il marito sistema con cura i resti dei clienti venuti a mangiare.

Davanti ad una tazza di Pu’er – tè dell’omonima città dove ebbe inizio la via – l’ospitale signora mi ha fatto guardare nella scatola dei suoi ricordi, accompagnandomi nella scoperta di questo angolo del mondo. Come la maggior parte degli abitanti anche lei fa parte della minoranza Bai.

Da un po’ di giorni, in attesa della festa della luna, nel giardino di casa sua si provano canti e balli in costumi tradizionali Bai. Mentre osservo le anziane donne danzare, penso che se la Repubblica Popolare fosse un fiore, questa casa sarebbe un petalo. Qui ogni cosa conserva tradizioni, usanze e linguaggi che narrano una delle tante cine possibili.

*Fonte: unimondo.org

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