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CINA – Caffetteria è sinonimo di lifestyle

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MILANO – Tutti marchi e i modelli di business stranieri – chi più, chi meno – hanno fatto fatica ad affermarsi in Cina, osservava in questi giorni Patti Waldmeir sul Financial Times.

Paradossalmente – aggiunge la giornalista di FT – il più improbabile dei format nel Paese del tè – cioè la caffetteria a marchio di stile americano – è tra quelli che hanno avuto maggior fortuna.

Lo testimoniano le cifre, che evidenziano tassi di crescita sorprendenti anche per il dinamico mondo del dettaglio cinese.

Secondo l’analista specializzato Euromonitor International, il fatturato delle catene di caffetterie è passato dai 10 miliardi di renminbi (1,32 miliardi di euro) del 2008 a livelli più che doppi quest’anno, con la prospettiva di un ulteriore raddoppio entro il 2018.

La quota di mercato di Starbucks – ormai leader consolidato di mercato – è cresciuta dal 12% del 2008 al 31,5% nel 2013. Alle sue spalle troviamo la catena taiwanese Ubc, con una share che è scesa invece dal 33% di 6 anni fa al 22,5% dell’anno scorso. Al terzo posto, il primo competitor cinese: C. Straits Café (Zhejiang LiangAn), che precede McDonald’s (6,1%) e Costa (5,5%).

Dall’apertura del suo primo locale – avvenuta nel 1999 – Starbucks è diventato uno dei marchi di lifestyle più prestigiosi in Cina, oltre che un emblema forte dello stile di vita occidentale. Con il suo successo, la catena di Seattle ha anche contribuito a educare le papille gustative dei cinesi favorendo il crescere dei consumi di torrefatto fresco in un paese dove, fino a pochi anni fa, caffè era soprattutto sinonimo di preparato istantaneo in polvere.

Un prestigio che non è stato scalfito nemmeno dalle polemiche, come quella sui prezzi eccessivi, lanciata l’anno scorso dalla tv di stato CCTV. Nonostante alcuni prodotti di casa Starbucks risultino più costosi in Cina che a Londra o a Chicago, il caffè della sirenetta mantiene intatto tutto il suo appeal.

Tanto che Starbucks intende raddoppiare l’attuale numero di locali nell’arco dei prossimi 5 anni, con l’obiettivo di tagliare il traguardo delle 3mila unità entro il 2019. È noto d’altronde come la catena statunitense consideri già tempo la Cina come il proprio secondo mercato più importante dopo quello nord americano.

Il 100% di crescita di qui a fine decennio non è soltanto un’ambizione di Starbucks. Anche Costa punta a moltiplicare per due le sue caffetterie entro il 2018 portandole un totale di 700 unità. Ancora più impegnativa la sfida lanciata dai sud coreani di Maan Coffee, che puntano al raddoppio del numero di locali (dagli attuali 100 a 200) nell’arco dei prossimi 12 mesi.

Alcuni grandi competitor sono stati in grado di costruirsi posizioni rilevanti in pochi anni. È il caso di McDonald’s, che ha aperto 800 punti McCafé all’interno dei propri ristoranti tra il 2008 e il 2013, raggiungendo una share di mercato del 6%. Molto rapida anche la crescita di Costa, che nello stesso periodo è passata dall’1% al 5,5% del mercato.

Target e offerta possono essere significativamente differenziati da catena a catena. Emblematico – in questo senso – l’esempio portato dall’articolo, che ha posto a confronto la diversa atmosfera che si respirava – durante un normale pomeriggio lavorativo – in un locale Maan Coffee e in uno Starbucks situato a poca distanza, nello stesso sobborgo di Shanghai.

Nel primo la clientela risultava composta soprattutto da vocianti compagnie di amici. Nel secondo si osservavano principalmente professionisti o uomini d’affari intenti a lavorare ai loro portatili o a discutere con i colleghi. In entrambi i locali – comunque – i posti a sedere (svariate centinaia di posti) risultavano quasi tutti occupati, con pochissimi tavolini vuoti.

E gli italiani? Nell’articolo – e questo è un ulteriore paradosso – non figura alcun riferimento alle aziende del nostro paese. Si citano brand britannici, americani, cinesi e sud coreani. Ma nessun cenno all’Italia, che pure è la patria dell’espresso, bevanda senza la quale il format delle caffetterie “all’americana” non sarebbe mai nato.

Nessun riferimento nemmeno ai grandi nomi di casa nostra. Come illy – ad esempio – che già nel 2006 ha aperto a a Shanghai una delle sedi internazionali dell’Università del Caffè e che sta diffondendo i locali Espressamente illy, in collaborazione con il partner cinese Cafe de Coral Group.

Oppure Lavazza, sbarcata in Cina nel 2011 con il format Espression, con in progetto l’apertura di 200 locali in 5 anni.

O, ancora, Segafredo, sempre molto attiva in terra cinese: è notizia di meno di un mese fa l’inaugurazione di due nuovi locali Segafredo Espresso Café allo Shanghai Pudong International Airport.

E la lista potrebbe continuare con molte altre aziende.

Un’omissione sorprendente, vista la tradizionale considerazione del quotidiano della City per il made in Italy e per i torrefattori di casa nostra, spiegabile comunque con il fatto che l’articolo ha voluto concentrarsi soprattutto sui primi 4-5 competitor di mercato in un segmento specifico.

Con l’affacciarsi di un numero sempre maggiore di competitor sulla scena cinese aumenta anche la concorrenza, ma a giudizio degli analisti c’è posto per tutti.

Perché il mercato – oltre a crescere – continuerà ancora a evolversi e differenziarsi.

Ma soprattutto perché i margini di espansione sono enormi, in un paese dove i consumi pro capite di caffè sono di appena quattro tazze all’anno.

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