MILANO – I nuovi piani economici cinesi, che puntano a privilegiare la qualità dello sviluppo e i consumi interni, dischiudono opportunità eccezionali anche all’industria del caffè. Lo afferma un recente rapporto di Barclays, secondo il quale il caffè è in cima alla lista dei prodotti di base destinati a beneficiare dei cambiamenti in atto nei modelli di sviluppo del paese.
Davanti agli altri prodotti agricoli e alle stesse commodity minerarie, compresi oro e argento. La banca britannica azzarda anche qualche cifra e sostiene che le importazioni di caffè cresceranno, di qui al 2020, a ritmi pressoché tripli rispetto a quelli, già elevati, dei 5 anni trascorsi.
Un’affermazione che ha fatto saltare sulla sedia gli analisti.
Tradotto in cifre, l’import cinese passerebbe dal dato di 1,9 milioni di sacchi, stimato per il 2014, ad almeno 7,2 milioni di sacchi a fine decennio. La Cina diverrebbe così il quinto consumatore mondiale, alle spalle di UE, Usa, Brasile e Giappone.
Pur non negando il potenziale di crescita del mercato cinese, questi valori ci lasciano alquanto perplessi e cercheremo dunque di verificare più da vicino le cifre del report.
A titolo di raffronto, l’analista specializzato Euromonitor prevede, tra il 2014 e il 2019, un tasso di incremento medio annuo (comunque ragguardevole) del 18%, che proietterebbe i consumi a oltre 4 milioni di sacchi in tale arco temporale.
Al di là delle cifre le cifre – da prendere tutte con beneficio di inventario – l’espansione del mercato del caffè e delle caffetterie è innegabile, soprattutto nelle metropoli.
Quali i driver di questo successo? Valgono le considerazioni già fatte più volte in passato, anche su queste colonne, relative al vissuto di consumo.
Il caffè è un simbolo del lifestyle occidentale e beneficia dunque di un’immagine di prodotto più moderna e accattivante rispetto a quella del tè, considerato una bevanda tradizionale.
Tale valore aspirazionale spiega anche il successo “interclassista” del caffè.
Come scriveva pochi giorni fa il Wall Street Journal, citando le parole del manager di una caffetteria alla moda di Shanghai, la clientela spazia dai giovani ai meno giovani e appartiene un po’ a tutte le fasce sociali, tanto che “risulta difficile definire un identikit del cliente medio”.
E ciò nonostante il prezzo di un latte (38 yuan, ossia 5,2 euro) risulti elevato persino per gli standard occidentali e lo sia, ancora di più, se rapportato al tenore di vita di un paese dove gli stipendi medi del settore privato sono attorno ai 300 euro mensili.
Intanto, il business delle caffetterie a marchio continua a crescere in Cina a ritmo accelerato.
Emblematiche le cifre di Starbucks, che conta attualmente oltre 1.700 locali in Cina continentale e punta raddoppiare questo numero – avvicinandosi alle 3.500 unità – entro il 2019.