domenica 22 Dicembre 2024
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“Gruppo Cimbali, MUMAC Academy Arena a Host”: il futuro della caffetteria italiana

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MILANO – Tavola rotonda per l’ultimo degli appuntamenti organizzati nell’arena di Mumac Academy dedicata alla cultura del caffè. Una vera e propria orchestra moderata ancora una volta da Valentina Palange di Specialty Pal. A chiudere in bellezza, le nuove generazioni di gestori, uniti nel nome del futuro della caffetteria italiana. Presenti all’appello: Eleonora Bodini e Valentina Montesi di Filter Coffee Lab. Con Matteo Cecconi, Caffè dei Cavaglieri di Pisa e Davide Roveto de La Briocheria. Ancora una presenza femminile quella di Antonia Trucillo (Caffè Trucillo), affiancata da Alberto Nevola di Tostato Specialty Coffees. Con anche Luca Mortiliaro di Bar Nicol e Giulio Amorosetti di Tram Depot.

Dopo le dovute presentazioni si entra nel vivo della discussione

La domanda arriva da Specialty Pal e non è facile: perché avete deciso di aprire una caffetteria?

Davide Roveto apre le danze: “La briocheria nasce dall’esigenza di creare la colazione italiana. Nasciamo come caffetteria 21 anni fa, nel centro di Bari come locale familiare tradizionale. Cominciando a introdurre lo specialty a discapito dell’espressione facciale dei clienti. Un anno fa con mio fratello ci siamo chiesti, dopo un percorso di crescita professionale in Caffè Cognetti, come potessimo accompagnare il caffè di qualità al food. Diventato un best seller in tanti momenti della giornata.

Abbiamo identificato un punto al centro di Bari nel quale mancava la proposta di cornetteria di livello. Abbiamo pianificato tutto, studiando la zona. Abbiamo piazzato una macchina a due gruppi, un grinder con in mente il focus di servire un cornetto di alta qualità. Per far vivere al cliente anche nelle fasce orarie insolite, come il post cena, il caffè.

Che ci ha permesso di oltrepassare qualsiasi limite, potendo così proporre ogni tipo di caffè. Da novembre cominceremo con quello filtro.”

La sfida quotidiana del prezzo è sottolineata dal giovane imprenditore

Giovane, come sono tutti gli interlocutori del panel. Un segno che fa ben sperare per il futuro del settore che, soprattutto in Italia, non è particolarmente incoraggiante.
Prende la parola Matteo Cecconi, di Pisa, Caffè Cavaglieri: “La caffetteria è nata come quella classica italiana e in seguito, durante questi 4 anni, si è evoluta sino ad arrivare oggi esclusivamente allo specialty. Quindi non più miscele, ma solo single origin.”

Molti in effetti hanno effettuato questo switch un po’ categorico: si dice che quando si scopre lo specialty coffee, non si torna più indietro

Nonostante la sua difficoltà come prodotto da comunicare a un consumatore poco aperto.
Un lavoro che, come sottolinea Specialty Pal, deve partire dall’amore.

I baristi specialty sono dei veri e propri story teller.

Le due donne di Filter Coffee Lab di Pisa: “Abbiamo deciso di aprire una caffetteria perché vivevamo a Londra per cui avevamo un’esperienza del coffee shop a tutto tondo, dove bere il caffè in diversi modi. Nessuno si stupiva se alle cinque del pomeriggio bevevi un cappuccino. Ci piaceva l’ambiente e poi anche gli specialty e abbiamo cercato di trasferire quell’esperienza in Italia.

Proponendo un’idea diversa dal bar italiano: non vendiamo alcolici e non facciamo aperitivi. In stile Nord europeo. Da subito abbiamo inserito il caffè da quello filtro (con la filter coffee machines e Aeropress, Chemex…) cercando di creare un’atmosfera giovanile e familiare.”

La third wave è dei Millennials

Spiegare cosa ci sia dietro uno specialty coffee è un po’ l’approccio condiviso da questi giovani imprenditori. Alberto di tostato dice la sua: “Ho aperto a Brescia nel 2017, mio padre aveva una torrefazione e quindi rappresento la terza generazione che investe nel caffè. Io ho però pensato alla caffetteria, per la necessità di trasformare il core business proprio nel caffè.

Una caffetteria che allargasse il concetto di vendita, dedicata alla bevanda in tutte le sue forme. Stravolgendo anche il look del locale all’italiana. L’impostazione del bar è indirizzata all’assaggio, alla condivisione. Ponendo attenzione maggiore al tempo vissuto dentro la caffetteria.”

Antonia Trucillo, l’eleganza dell’azienda di famiglia non stona in mezzo agli altri suoi coetanei: “Come nasce il progetto delle caffetterie per Trucillo che nasce come torrefazione. Noi prepariamo e studiamo la miscela, tostarle e commercializzarle. Infatti mio padre era assolutamente contrario di aprire un franchising di questo tipo.

La terza generazione è entrata e quindi sono arrivati un po’ dei ribelli, io e i miei fratelli, portando qualche novità. Per il mio attaccamento al mondo dello specialty e della Third Wave, occupandomi in azienda di caffè crudo, ho iniziato a viaggiare nei Paesi d’origine. Questa mia passione ha fatto sì che, quando abbiamo dovuto spostarci in una nuova sede, nel quarto stabilimento e abbiamo voluto progettare un concept bar interno, ci siamo divertiti creando qualcosa di particolare.

Un coffee shop che varia dal mondo della tradizione sino all’innovazione e ancora in aggiornamento. Con diverse macchine espresso, tutti i metodi di estrazioni alternative fredde e calde. E’ una sorta di laboratorio. Quindi per caso ci siamo ritrovati nel progetto delle caffetterie: il nostro distributore di Dubai ci è venuto a trovare, ha chiesto di replicarlo da lui. Abbiamo risposto a questa esigenza. Ora ne apriremo 16 negli Emirati Arabi Uniti. I caffè speciali affiancano quelli commerciali. Il nostro concept educa a degustare il caffè in tutte le sue forme.”

Giulio Amorosetti, di Tram Depot: “La nostra esigenza non è tanto quella di fare caffetteria di qualità. Questo è stato quasi un risultato di quello che volevamo fare. Con il nostro marchio infatti, facciamo innanzitutto rigenerazione urbana in quartieri più o meno periferici di Roma. Per riqualificare però, dobbiamo portare cultura e qualità. Da qui abbiamo deciso di intraprendere la strada degli specialty. Su Testaccio non è stato così difficile, perché è frequentato da tanti turisti. Il chiosco che abbiamo aperto è di nove metri quadri e ci lavorano due persone. Riusciamo a lavorare sia con caffè filtro che con espresso, cercando di mandare via i nostri clienti con qualcosa per casa, inserendo dei macinati per moka. In modo che la cultura potesse poi entrare nelle case delle persone.”

Luca Mortiliaro, del Bar Nicol: “ Il nostro bar nasce nel 1992 come bar gelateria, aperto da mio prozio. Nel tempo è subentrato mio padre e nel ’96 sono arrivato io come ragazzino, a 15 anni. Qualche anno fa questo lavoro mi stava un po’ annoiando, perché non vedevo dei miglioramenti. Mio padre quindi mi ha lasciato il timone e abbiamo puntato più sulla qualità. Vado spesso in Olanda e nei primi viaggi avevo notato che erano molto indietro. Cosa che è subito cambiata: ci hanno superato. Questo mi ha fatto riflettere: noi pensiamo di esser più bravi ma dobbiamo rivedere tutto.

Ho fatto un corso al Mumac Academy e tutto ciò che pensavo di conoscere è stato rivoluzionato. Mi si è aperto un mondo. Da lì mi sono sempre più appassionato e ora vendiamo caffè di qualità a tutti gli effetti con una miscela specialty, tre o 4 mono origini a disposizione e le estrazioni alternative. Ora pensiamo di affiancarci la cucina.”

Una domanda per Alberto di Tostato e Daniele di Tram de Pot: come si raggiunge l’equilibrio tra innovazione e tradizione?

Alberto Nevola risponde subito: “Con la formazione. Mi sembra abbastanza scontato. Senza esser tediosi, si cerca di far capire che il caffè di qualità è un’opzione. Che le estrazioni alternative e gli specialty non devono sostituire la tradizione, ma esiste. E’ un processo lungo, in base alla clientela che si ha e che si vorrebbe avere. Bisogna scegliere un core business e riservarsi anche dei no, delle preferenze. Non bisogna certo esser troppo radicali, perché i conti si fanno con la carta e penna, ma comunque bisogna mettersi nei panni del consumatore finale che non conosce la Third wave.”

Giullio Amorosetti: “Condivido: la formazione e la cultura sono la chiave. Molto probabilmente l’innovazione dà l’equilibrio alla tradizione. Mi è capitato di bere un caffè non specialty erogata da una macchina importante e riuscire a berlo, una cosa difficile quando si va in giro. Bisogna che noi facciamo cultura. Noi ci teniamo tanto a non allontanare il consumatore dal fatto che il caffè è anche una bevanda molto veloce. C’è il momento social in cui si resta due ore, oppure quello in cui si beve in 4 secondi. Il banco è molto importante. E’ la nostra voce per arrivare al consumatore, dove avviene il numero maggiore del consumo.”

Il banco è comunicazione a 360 gradi

Una domanda a Luca Martiliaro e a Davide Roveto: quali sono le difficoltà che avete affrontato?

Risponde per primo Luca Mortiliaro: “Il primo è il prezzo: far capire al cliente che vari tipi di caffè hanno prezzi diversi, così come il vino. Tutti pretendono di avere il costo fisso di un euro. Un’altra difficoltà è nella miscela. Mi sono voluto allontanare da quella che servivo prima, peggio di una commerciale. Dopo aver fatto il corso ho chiesto al torrefattore quali fossero le origini della miscela. E lui si è scocciato. Quindi abbiamo cambiato. E così abbiamo avuto paura di perdere i clienti perché sentivano un gusto diverso. Forse è successo, ma ne abbiamo anche trovati tanti altri.”

Davide Roveto: “Difficoltà? Ne esistono diverse tipologie a seconda di come si è intrapreso il percorso della caffetteria specialty. Infatti, per chi l’ha aperta così dal principio e per chi invece l’ha fatta diventare specialty, i problemi sono differenti. Per chi fa il passaggio, il prezzo è il primo ostacolo e si deve lavorare sulla comunicazione con il cliente. Il barista fa fatica a parlare con il consumatore.

Come risolvere questo punto? Sempre si torna alla formazione. E con la scelta di attrezzature di qualità che incuriosiscono lo sguardo del cliente. Tante volte abbiamo applicato degli scaglioni di prezzo come per il vino, a seconda delle varietà di caffè, coprendo così tutti i target.”

Per i ragazzi di Pisa: come si comunica il caffè specialty?

Inizia Matteo Cecconi: “Ci sono vari aspetti sia visivi, come l’atmosfera del locale, sia legati alla conoscenza dell’operatore. L’esperienza inizia già dall’approccio del barista, da come si muove dietro al bancone. Deve comunicare un senso di ospitalità. E poi anche capire che tipo di clientela si ha di fronte e non farli scappare. E poi è importantissima la collaborazione tra colleghi anche della stessa città.”

Eleonora Bodini: “La comunicazione è molto importante. Come diceva Matteo, non tutti i clienti sono disposti ad ascoltare. Si parte da quelli più aperti: come chi non zucchera l’espresso. Ma anche cercando di proporre lo specialty attraverso le ricette con latte, è un modo di avvicinare il cliente a questa materia particolare. E’ un lavoro quotidiano, che passa anche da un menù che scrive “espresso a un euro e espresso monorigine a un euro e 50”: il cliente verrà a chiedere la differenza.

Ultima domanda per Antonia Trucillo: come vede il futuro della caffetteria italiana?

“Soprattutto mi viene da dire: ci vorrebbero più ragazzi come loro. Nel senso che è bello, emozionante, vedere come la nostra generazione si avvicina a questo mondo e investe. La caffetteria italiana, ne sento un po’ la responsabilità, ha bisogno di più torrefattori con meno miscele segrete. L’informazione da parte del torrefattore è essenziale quanto la formazione degli operatori.

E anche l’ambizione: una volta formati, continuiamo ad aggiornarci, e ad esser sicuri del nostro lavoro. Perché c’è tantissima confusione tra specialty e caffè commerciale: è bella la volontà di differenziarsi, ma da parte della torrefazione ci deve essere l’obiettivo di informare su quello che c’è dietro anche al caffè commerciale. La caffetteria italiana dev’esser a 360 gradi: con un espresso di qualità affiancato agli specialty. Un primo passaggio deve esser quello della convivenza delle due forme. Procedendo a piccoli passi. E facendo magari procedere la qualità del caffè commerciale.”

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