“Cìchira” è un sostantivo ormai desueto, ma fino a pochi decenni fa accompagnava le pause caffè in gran parte della Sicilia, e la cui etimologia è da ricondurre addirittura alla lingua azteca. Leggiamo di seguito la prima parte dell’articolo pubblicato sul portale The Sicilian Post.
Le origini del termine “Cìchira”
MILANO – Le generazioni più recenti non lo utilizzano quasi più, ma basta entrare in un bar gestito o frequentato da persone più grandi per ritrovare questo termine in punta di bancone. Altrimenti, per restare fra le mura domestiche, si possono chiedere lumi ai propri nonni, ai fratelli maggiori dei propri genitori, a chi ancora oggi vive lontano dai grandi centri urbani in cui l’italiano e i forestierismi hanno spesso soppiantato il dialetto.
In tutti questi casi, se ci si sta chiedendo cosa sia ‘a cìchira (o cìcara, in base alle zone), ci si sentirà rispondere all’unisono che questa strana parola desueta non rappresenta altro che una comune tazzina di caffè.
Oggi, come anticipavamo, è un lemma sempre meno comune, che però non è ancora scomparso del tutto e di cui sarebbe un peccato perdere ogni traccia, dal momento che vanta un’etimologia a dir poco affascinante.
Prima di cominciare, va però sottolineato che il sostantivo in questione è in uso in diversi altri dialetti italiani e che esiste perfino nella nostra lingua nazionale nella variante cìcchera, che ha la stessa origine e per la quale dobbiamo guardare al mondo sudamericano precoloniale.
Laggiù, infatti, le popolazioni azteche chiamavano xicalli in lingua náhuatl “il grande frutto sferico della Crescentia cujete, una sorta di curiosa zucca verde brillante che cresce su alberi ampi e frondosi. Tali frutti erano infatti seccati e tagliati a metà, ottenendo così due ciotole emisferiche che tutti i mesoamericani utilizzarono, per millenni, come bicchieri per sorbire le bevande più diverse, tra le quali le molte preparazioni a base di cacao”, come si legge sul portale Una parola al giorno.
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