MILANO – Una veranda all’esterno, un’insegna gialla e una scritta in portoghese incastonata fra i complicati ideogrammi di empori e ristoranti cinesi. « Coraçào do Brasil » spunta così, all’improvviso in via Paolo Sarpi, 6. Ed è difficile non notare la macchina tostatrice che dall’esterno sembra un’antica locomotiva, tuttora usata per cuocere i chicchi di caffè.
di Daniele Monaco*
Coraçào do Brasil. Un tocco di amarcord e di artigianalità dei fratelli Paolo e Cesare Ghidini
Di 45 e 46 anni che dal 2003 gestiscono la torrefazione. Sin dagli anni Ottanta Cesare ha lavorato per diverse torrefazioni di Milano. «imparando ogni volta qualcosa di nuovo», ricorda.
Oggi, tre volte a settimana i due fratelli mettono mano alla tostatrice per creare le miscele. Il risultato è un caffè nuovo, insolito, al di là di ogni varietà da supermercato e dai prezzi normali. Così non solo i buongustai italiani, ma anche la clientela orientale dimostrano di gradire il sapore del cuore del Brasile.
Cesare Ghidini, siete un’enclave brasiliana nel cuore di Chinatown?
«Altro che brasiliani, io e mio fratello Paolo siamo italiani al 100% e lo erano anche i precedenti proprietari, la famiglia Scotti, che aprì il bar nel 1958. Gli italiani sono i migliori a fare il caffè».
A prima vista sembrerebbe un’operazione di marketing.
«Invece no, perché dietro questa insegna c’è una storia autentica. Coraçào do Brasil è qui dal 1962, prima che questa zona diventasse famosa per la presenza cinese e prima che nascessero i fratelli Ghidini. Tanto che abbiamo chiesto al Comune il riconoscimento di bottega storica, assegnato agli esercizi commerciali aperti da oltre 50 anni».
Come nacque questo marchio?
«Fu regalato al precedente proprietario, Luciano Scotti, dall’Istituto brasiliano per il caffè, un ente per il commercio istituito dal governo sudamericano di allora. L’ufficio di Milano si serviva di questo bar per tostare il caffè. Nel simbolo la sagoma del Brasile si trova accanto a un aereo e a una nave, che ricordano appunto l’esportazione dei chicchi».
Da allora è partito il commercio con il Brasile?
«Sì, ma non in maniera esclusiva, importiamo caffè anche da altre parti del mondo. Dai porti di Genova e Trieste ci arrivano il ‘Guatemala’, più dolce e con più caffeina, ‘l’etiopico’, più acido, il ‘Costarica’, usato per dare corpo alla miscela. L’abilità delle torrefazioni italiane sta nel creare le migliori miscele. Sono venuti persino dal Giappone per conoscere il nostro caso di Made in Italy».
Quali miscele vendete?
«Abbiamo la ‘Robusta’, (7 euro al chilo, nda), composta di chicchi indiani, una qualità che sta superando quella africana. C’è il Maragocipe, che significa gigantesco, un chicco messicano dolce e leggero. Il ‘Famiglia’, (13 euro al chilo) un mix al 70% di arabica e un 30% di robusta, indicata per la prima colazione.
C’è il Kaffee au deutscheart, 17 euro al chilo, dalla tostatura chiara e dolce, utilizzato per il caffè lungo all’americana, molto amato anche in Germania».
Qual è la miscela che vi rende più orgogliosi?
«Quella che serviamo al bancone, la ‘Top bar’ (16,5 euro al chilo). Ci abbiamo messo un anno per trovare la formula giusta. Tutte le torrefazioni sono gelose delle ricette».
Tutto grazie alla vostra macchina per tostare, un pezzo di modernariato attira gli avventori.
«Sì, la cottura a gas dura di solito 15 minuti per 20 chili. Lo versiamo nell’imbuto in alto ed esce nella vaschetta».
Quanto costa una tazzina?
«Ottanta centesimi, ma la vera offerta è l’abbonamento: 10 caffè a soli 6,5 euro».
*Fonte: Il Giorno