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Chiara Bergonzi: «Le vittorie nei campionati di latte art hanno cambiato tutta la mia vita»

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MILANO – Chiara Bergonzi parla a 360 gradi di latte art, competizioni e formazione ripercorrendo il suo percorso professionale e di vita, che l’ha portata sino in Giappone, per imparare delle tecniche particolari, all’epoca poco note. E ancora, del suo nuovo brand Lot Zero, nato per valorizzare piccoli lotti di caffè di altissima qualità. Il tutto in un’intervista realizzata da Luigi Cristiani per il sito Food Makers, che vi proponiamo di seguito.

Ciao Chiara, lei è barista sin dai tuoi 18 anni, come nasce questa tua passione per il caffè?

Nasce per caso, perché dai 18 ai 22 anni ho avuto il mio primo bar; poi ho gestito un’attività importante con Costa group, che era una Boulangerie francese a Piacenza, con mobili di design. Qui ho conosciuto Luigi Lupi, trainer e padre della Latte art, così mi sono avvicinata a questa attività ed è nata la curiosità di provare ad intraprendere questa strada, stiamo parlando di circa 10 anni fa

Per implementare il servizio di caffetteria ai clienti, ha iniziato a frequentare corsi Scae, cosa le hanno lasciato?

Mi sono avvicinata per iniziare i percorsi dei campionati, quando ho iniziato a capire che poteva essere una passione da coltivare in maniera più seria. Stiamo parlando del 2011, quando ho provato a partecipare ai campionati italiani; poi sono stata in Giappone dove ho imparato delle tecniche nuove di “versaggio”, che in Italia erano praticamente sconosciute. Poi, nel 2012, ho vinto a Rimini il mio primo titolo italiano. Ma sino a qual momento mi ero occupata solo di latte art. Successivamente mi sono accostata al mondo di Scae, per le certificazioni, e quindi a studiare la materia prima caffè!

Fa il tuo primo training in latte art con Luigi Lupi, precursore della disciplina in Italia, poi si perfeziona in Giappone, che esperienze sono state e cosa porta con lei di queste?

Sicuramente senza Luigi non avrei mai intrapreso questo percorso, oggi sono conscia di essere una trainer di buon livello, ma senza di lui tutto questo non ci sarebbe stato. Quindi, pur avendo io e Luigi, intrapreso strade completamente differenti, per me è stato fondamentale averlo avuto al mio fianco. La scelta del Giappone mi venne consigliata da Luigi. Lì trovai Chihiro Yokoyama, grandissimo campione e assoluto maestro nel realizzare figure animali, amico di Luigi.

Andai in Giappone da sola, con grandi difficoltà, soprattutto linguistiche. Rimasi con lui in fiera per 7/8 giorni lavorando 12/13 ore al dì, per me era tutto nuovo, cercai di carpire i suoi segreti e le sue tecniche di “versaggio”. Inizialmente sarei dovuta restare 18 giorni, ma al dodicesimo scappai. Devo dire che è stata comunque un’esperienza molto positiva, perché mi ha permesso di capire cosa volesse dire affrontare un viaggio importante per intraprendere una disciplina che oggi è il mio lavoro.

Che cos’è la Latte art?

La Latte Art è una disciplina che con il latte ed il caffè ti permette di creare delle figure “impressionanti” sulle tazze di cappuccino o espresso. Ci sono in sostanza due tecniche, Free Pouring ed Etching. La prima è il versaggio libero dalla lattiera: quindi, tutta una questione di manualità. Mentre l’etching comporta l’utilizzo del pennino dalla punta sottile e per alcuni disegni anche del topping, al cacao che verrà poi modellato proprio con l’aiuto di questi strumenti.

Lei è stata Campionessa Italiana Latte Art 2012-2013-2014 e vice Campionessa mondiale a Melbourne, sono grandi soddisfazioni, come le ha vissute?

Sicuramente le vittorie nei campionati mi hanno cambiato la vita, anche se oggi rappresenta la quotidianità. Se penso ad allora, ho vissuto un sogno e che mi ha permesso di trasformare la mia passione in un lavoro. Sono state delle emozioni incredibili, grossi pianti di felicità, anche perché è grazie ad anni di grandi sacrifici, che ho potuto coronare questo sogno. Poi sono stata a Melbourne, nel 2014, dove sono arrivata al secondo posto ai Mondiale. Ed è stata una delle emozioni più forti che abbia mai provato come competitor. Sicuramente un’altra esperienza molto forte l’ho provato quest’anno, quando Manuela Fensore, di cui sono stata coach, ha vinto il titolo mondiale di Latte art a Berlino.

Dopo una carriera da competitor, ora si trova dall’altra parte della “barricata”, cosa prova?

Ormai sono dall’altra parte da 5 anni. Sono due esperienze completamente differenti. Perché prima ti senti il performer, il leader di quella disciplina, però sei sempre tesa nel dover dimostrare qualcosa. Lato coach invece ti senti più “mamma”, chioccia, diventi il mentore per i tuoi discenti e comunque senti grandi responsabilità, perché fin quando partecipi alle gare ti autogestisci sia le glorie che le sconfitte, mentre come coach ti senti responsabile di un’altra persona. Anche come giudice internazionale senti la responsabilità di essere oggettiva e obbiettiva, perché in un certo qual senso puoi influenzare il loro futuro.

Come è cambiato il panorama italiano delle caffetterie negli ultimi anni?

Diciamo che nella stragrande maggioranza, il cambiamento non è visibile: agli occhi del consumatore, poco è cambiato. Ma in diverse città italiane si stanno aprendo dei coffee shop dove è possibile provare dei caffè specialty, con una tracciabilità del prodotto, delle schede tecniche ed un barista che spiega le differenze. Inoltre, li puoi trovare diverse bevande vegetali e non solo il latte, diciamo che in questi locali il cliente può avere un’esperienza diversa e più soddisfacente.

E oggi la formazione è diventata a tutti gli effetti la sua professione: come sono cambiati in questo periodo i frequentatori dei corsi?

La formazione occupa il mio 70% della mia vita lavorativa: chi frequenta i corsi ha un’età tra i 20 ed i 35 anni e si rende conto che deve fare un passo ulteriore per trasformare il proprio lavoro in qualcosa che abbia quel quid in più.

È compatibile la latte art con i ritmi di lavoro serrati di un bar che fa molte colazioni?

Effettivamente per chi ha una grossa mole di lavoro (attorno ai 7 chili di caffè), risulta un po’ complicato coniugarla con la latte art, mentre la cosa è più fattibile per chi ha una attività meno gravosa. Vorrei però aggiungere che la latte art al lavoro quotidiano è diversa da quella delle competizioni. Nella prima non occorre essere perfetti come in gara: bisogna innanzitutto dare al cliente una texture del latte corretta e non una semplice schiuma: Ma la cosa più importante è fare sì che rimanga qualcosa di piacevole, anche esteticamente, al cliente finale.

Ha scritto per Hoepli il libro Latte art, che esperienza è stata?

È stato realizzato due-tre anni fa e ha riscosso un grosso successo. È un libro semplice e abbastanza didattico, che introduce al mondo al mondo della Latte art. Avrei voluto farlo anche in inglese. Comunque ritrovare il proprio libro nelle librerie è sempre molto gratificante.

Quali sono i suoi prossimi progetti?

Da circa 18 mesi abbiamo aperto Lot#0 con l’obiettivo di rispondere alla crescente domanda di specializzazione da parte di un’utenza evoluta e alla ricerca di prodotti distintivi di alta fascia. Mi occupo di speciality coffee, che sono il risultato di una selezione attenta.

Luigi Cristiani

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