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Cerimonia giapponese del tè: ecco cosa la rende un’esperienza spirituale

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Il cuore della cerimonia del tè consiste nel preparare una deliziosa tazza di tè; disporre il carbone in modo che riscaldi l’acqua; sistemare i fiori come fossero nel giardino; in estate proporre il freddo; in inverno il caldo; fare tutto prima del tempo; preparare per la pioggia e dare a coloro con cui ti trovi ogni considerazione

Sen no Rikyû

Cosa c’è di più squisitamente giapponese della cerimonia del tè? Un rigoroso rituale, un gusto per la bellezza e per l’armonia, un’esperienza al limite della meditazione da assaporare magari vestiti con un abito tradizionale come il kimono.

Derivata dai rituali zen cinesi, la cerimonia del tè è diventata parte integrante della cultura nipponica, integrando in sé la cucina kaiseki, l’ikebana (l’arte di creare composizioni floreali) e i dipinti. Scopriamo quindi insieme cosa c’è dietro una semplice tazza di bevanda calda.

Fondamentalmente la cerimonia giapponese del tè comprende la preparazione, il servire e il degustare una tazza di tè verde di qualità matcha; diversi sono i nomi con cui si può identificare questa pratica: sadô, chadô, chanoyu o o-cha nel linguaggio più comune.

Le sue radici affondano nella filosofia zen buddista a fonde perfettamente arte, contemplazione delle meraviglie della natura e interazione sociale.

Come molte cose, anche il tè è giunto in Giappone dalla Cina, intorno al VIII secolo di pari passo con la diffusione della religione buddista.

In particolare, fu durante il periodo Kamakura (1185-1333) che Eisai, fondatore della scuola buddista zen Rinzai, portò nel Sol Levante oltre ai semi della pianta anche il metodo di macinazione per ridurre il tè in polvere e ottenere appunto il matcha. La bevanda conquistò rapidamente i monaci e da lì si diffuse in tutto l’arcipelago.

Nell’era Muromachi (1336-1573) iniziò il cambiamento: poiché spesso il matcha era consumato durante i chakai (sontuosi e soprattutto alcolici banchetti durante i quali le classi più ricche sfoggiavano il loro lusso, esibendo ceramiche cinesi di inestimabile valore, rotoli dipinti e accessori molto costosi), Murata Shukô, maestro di tè, impose un limite al consumo di sakè e al gioco d’azzardo durante queste feste e propose invece un approccio più spirituale, denominato wabi-cha.

Fu poi Sen no Rikyû a dare la forma attuale alla cerimonia, elevandola ad un vero rituale, solenne e codificato, in cui diventarono centrali i concetti di armonia, rispetto, purezza e tranquillità, concetti che sono arrivati intatti ai giorni nostri.

Sen no Rikyû pose poi l’accento soprattutto sull’essere in grado di apprezzare le piccole cose, quelle semplici, dalla bellezza rustica, concetti riuniti sotto il nome di wabi-sabi.

Per far sì che i partecipanti si potessero concentrare meglio su questi aspetti e non fossero distratti, Rikyû prima di tutto faceva preparare i partecipanti lasciandoli a godersi l’atmosfera calma e naturale del roji, cioè il giardino ispirato ai templi di montagna.

Inoltre iniziò a tenere le cerimonie in stanze molto piccole (2-3 tatami. pari a circa 2-3 metri x 2,8-5,7 metri), disadorne, con una sola piccola e bassa entrata detta nijiriguchi, concepita per costringere i partecipanti ad inginocchiarsi in segno di umiltà (ma pare che fosse stata fatta anche per impedire ai samurai e ai soldati di entrare con le spade, in modo da preservare il senso di pace all’interno della sala).

Tutto questo e molto altro fu tramandato ai discepoli di Rikyû e nel corso dei secoli diede vita a tre scuole di tè: la Omote-Senke, la Ura-Senke e la Mushakoji-Senke che, pur mantenendo in comune i principi base, si differenziano per metodi di preparazione del tè e strumenti usati.

Chi vuole imparare l’arte della cerimonia del tè seguirà dei corsi sotto la guida di un maestro esperto che insegnerà i gesti e le frasi da usare.

Fra gli strumenti necessari, gli studenti devono acquistare un ventaglio (che sarà posto davanti a loro al momento di salutare gli altri partecipanti), un fukusa (cioè un tessuto in seta usato per pulire e così purificare gli accessori usati), un kaishi (una sorta di fazzoletto di carta su cui sono appoggiati i dolci che accompagnano il tè) e gli yôji (piccoli bastoncini di legno con cui mangiare i dolci).

Forniti invece dalla scuola sono le chawan (cioè le tazze), il chasen (lo strumento simile al nostro pennello da barba, in bambù, per mischiare la polvere di matcha), il chashaku (un cucchiaio in bambù) e il kama (un bollitore per scaldare l’acqua).

Se decidete di prendere parte ad una cerimonia del tè, ricordate di indossare abiti dai toni delicati e sobri. Evitando di usare profumi troppo intensi che potrebbero confondere l’olfatto e non farvi apprezzare l’aroma del tè.

Inoltre sarebbe opportuno togliere orologi o gioielli di metallo che potrebbero scheggiare le tazze. E, al fine di mantenere la purezza della stanza, prima di entrare mettere un paio di calzini bianchi puliti.

La cerimonia più semplice alla quale potete partecipare è il servizio di usucha. Cioè il tè leggero.

Dopo che gli invitati si sono accomodati, seguendo un ordine rigorosamente precostituito, con la persona più importante o particolarmente prediletta posta al primo posto, si apre la porta scorrevole e appare il teishu (cioè chi prepara il tè) inginocchiato in posizione seiza, con le punte dei piedi rivolte verso l’esterno.

A questo punto sono posizionati i vari utensili e si prepara il tè nella tazza. Ogni commensale (cominciando da quello principale) viene invitato a consumare il dolce con la formula rituale. “Okashi o dōzo” (che tradotto significa “servitevi del dolce, prego”).

Successivamente viene posta dinanzi la chawan. Il primo invitato si scusa col vicino e gli chiede il permesso di servirsi per primo. Presa la tazza, la fa ruotare per esporre lo shōmen (cioè la parte di finitura che fa da riferimento). Quindi beve con brevi sorsi, esprimendo il suo gradimento. Poi pulisce il bordo della tazza e la posa in modo che il teishu la possa lavare.

La cerimonia procede così con gli altri ospiti e al termine. Quando tutti hanno bevuto il tè, il primo ospite chiede il permesso di esaminare gli utensili. Per ultima viene osservata la tazza. Rigirandola tra le mani e chiedendo informazioni sul maestro che l’ha creata, l’epoca e lo stile.

La cerimonia si conclude col teishu. Che ritorna alla posizione iniziale. Si inchina profondamente all’unisono con gli ospiti e richiude la porta scorrevole.

E voi? Avete mai partecipato ad una cerimonia del tè? Bevete abitualmente il matcha?

Scrivete la vostra esperienza a info@comunicaffe.it

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