MILANO – Cecafé – il consiglio brasiliano degli esportatori di caffè – è stato creato nel luglio 1999 e da allora rappresenta il settore con i suoi 122 membri e il 96% del totale delle esportazioni di verde dal Brasile in 147 paesi negli ultimi 5 anni. Abbiamo avuto l’occasione di confrontarci con il direttore esecutivo Cecafè, Marcos Matos, in un incontro riservato a Milano, rispetto alla scena internazionale e al contesto critico determinato da diversi fattori, tra cui il cambiamento climatico, la pandemia, la crisi logistica e l’aumento dei prezzi.
Il Brasile è il primo produttore ed esportatore di caffè verde al mondo, ma anche il secondo mercato mondiale di consumo della bevanda
Che tipo di sfide sta affrontando l’industria brasiliana per essere in grado di rifornire sia il mercato interno che quello internazionale, considerando il basso ciclo del raccolto dello scorso anno e la ripresa solo parziale prevista per quest’anno a causa delle condizioni meteorologiche non proprio favorevoli?
Marco Matos: “Il Brasile storicamente investe in ricerca, sviluppo e innovazione. È importante però contestualizzare per capire cosa stiamo vivendo oggi: per esempio, negli anni ‘60 il Brasile produceva 6 sacchi per ettaro su una superficie di 5 milioni. Oggi invece, parliamo di 33 sacchi in 2,1 milioni di ettari. Che rappresenta lo 0,2% del territorio brasiliano.
Negli ultimi 20 anni il Brasile ha incrementato la sua presenza sul mercato, raggiungendo il 40% del venduto globale, considerando il consumo interno e le esportazioni. Attualmente il Brasile, essendo un paese continentale, soffre l’effetto delle anomalie meteorologiche. Il 95% della produzione è concentrata nel sud est brasiliano, la zona che è maggiormente soggetta ai cambiamenti climatici.
Il raccolto del 2020 ha registrato volumi e qualità maggiori: abbiamo prodotto 63 milioni di sacchi con 70 milioni esportati secondo le stime del mercato, una cifra da record. Ma nel 2020 abbiamo riscontrato anche dei problemi climatici che si sono prolungati sino a tutto il 2021. Il caffè è un prodotto biennale: a due anni di alta corrispondono due anni di bassa. Già si era preparati e quindi a un raccolto minore nel 2021, che però si è rivelato ancora più basso di ciò che ci si aspettava. Si è passati da una produzione di 63 milioni di sacchi a una di 45 milioni di sacchi.
L’interferenza climatica avrà effetti anche sul raccolto del 2022.
Nel grafico sopra, che mostra l’andamento della produttività nell’arco dell’anno, il verdino indica i raccolti più alti, il rosso quelli più bassi, indicando la presenza di problemi sino al 2013, ben tre raccolti che sono stati influenzati dunque dal clima. Nel 2017, c’è stata una secca nella regione dell’Espirito Santo, che ha riguardato il Connillon.
Il dato di 55.7 suggerisce ancora una volta un raccolto basso, perché si è registrato un consumo molto alto e delle esportazioni elevate anche in periodo pandemico. Dobbiamo affrontare la sfida climatica e anche quella logistica. L’anno passato per esempio, il Brasile non ha esportato 3 milioni di sacchi di caffè per mancanza di spazio nei containers.”
E infatti, sempre più esportatori brasiliani spediscono il loro caffè in grandi sacchi e optano per il sistema “break bulk” per evitare le impasse logistiche che continuano ad affliggere l’intero settore del caffè
Tuttavia, gli esperti dicono che questa è una soluzione efficiente solo a breve termine. Quanto tempo ci vorrà per riportare le cose alla normalità? Quanto durerà la crisi logistica globale?
“Pensiamo che il problema logistico si trascinerà per tutto il 2022. E quindi vogliamo che il break bulk venga modernizzato. Per cui intendiamo procedere con l’esportazione nelle stive della nave ma con un metodo più tecnologico: oggi si usano delle navi dedicate, con dei break bulk nelle stive. Ma adesso i caffè sono blend di qualità e quindi tutte le procedure si appoggiano all’uso della tecnologia sia nell’imbarco che nello sbarco. Abbiamo effettuato 5 grandi spedizioni da novembre, da 100mila sacchi in media ciascuno, e ne
prevediamo ulteriori, dato che molte aziende hanno iniziato a studiare questa modalità.
Quindi il break bulk ha effettivamente aiutato nelle esportazioni. Sappiamo che abbiamo problemi logistici, così come conosciamo l’uso del break bulk, e nel 2022 riusciremo a soddisfare la richiesta di esportazione ma in un quadro molto stretto: offerta e domanda con bassissimo livello di stoccaggio.”
Cosa possiamo aspettarci quindi in termini di livelli di stoccaggio e quantità di esportazione per il 2022?
“La base di informazione di Cecafé è la certificazione d’origine, che esiste negli accordi internazionali dei Paesi produttori. Il governo brasiliano ha affidato questa missione a Cecafé che rappresenta gli esportatori e fornisce il mercato interno ed estero. Sotto la nostra sigla ci sono cooperative, imprese nazionali e internazionali, il 96% delle esportazioni. Questo significa che Cecafé riporta ciò che il mercato ha realizzato.
Sappiamo che il 2022 sarà un anno molto freddo, così come lo è stato il 2021, in cui però siamo riusciti ad esportare comunque 40.6 milioni di sacchi: il terzo maggior risultato che siamo stati in grado di ottenere storicamente. Non possiamo paragonare ovviamente il 2022 con il 2020, quando abbiamo esportato 44.7 milioni di sacchi.
Assisteremo sicuramente ad un anno più limitato ma con ottime esportazioni e un basso stoccaggio, e speriamo in un raccolto del 2023 migliore. Il 2023 può essere un anno molto importante per l’esportazione, perché nell’estate del 2022 abbiamo assistito a sufficienti piogge nel Paese. Abbiamo ancora qualche mese per analizzare meglio la situazione: dopo la raccolta del 2022, ci sarà la fioritura del 2023. Perché il caffè è una pianta perenne, e c’è bisogno di più di un anno per analizzarne l’andamento.”
Cecafé ha recentemente annunciato una sinergia per la mitigazione del rischio nelle esportazioni. Può dirci qualcosa di più su questa iniziativa?
“Abbiamo diverse iniziative per mitigare i rischi. Ne racconto qualcuna: uno dei punti focali è la trasmissione di migliori pratiche agronomiche, attraverso l’attivazione di programmi che ne promuovono l’applicazione insieme a strumenti più efficaci come l’assicurazione rurale. Tutte queste operazioni insieme possono ammortizzare l’impatto: l’uso di materiali di copertura del suolo, paraventi, il consorzio cultura con alberi, nuove tecnologie, aiutano a ridurre i rischi. Dal punto di vista del flusso di commercio, Cecafè e la Serasa Experian (global company) hanno registrato una piattaforma per la gestione dei rischi che possa esser un punto di riferimento per tutti i contratti futuri, per produttori ed esportatori, entrambi presenti su questo sistema consolidato.
E così facciamo della gestione una forma educativa per valutare i rischi e portare i produttori a utilizzare questi strumenti nel modo più efficace possibile. Il Brasile è riconosciuto come un Paese che rispetta i contratti, sia dagli esportatori sia dai produttori, anche nei tempi in cui i prezzi salgono in modo anomalo. Il problema con i raccolti brasiliani e con un forte consumo è che possono insieme determinare un aumento naturale dei prezzi.
Abbiamo riscontrato feedback positivi rispetto a questa piattaforma che si è dimostrata uno strumento che ha aiutato molto.
Cecafé ha dialogato quindi con il governo, il sistema finanziario, le autorità del caffè, ed è riuscito a far capire a tutti che la filiera produttiva può sviluppare una gestione di rischio moderna che premia il produttore che veramente rispetta i suoi compiti. Abbiamo più dell’80% dei volumi dell’esportazione su questa piattaforma consolidata. Per conto della legge generale della protezione dei dati, i produttori non sono esposti, è un sistema chiuso.
Ogni suo membro ed i suoi contratti negoziati, così come tutti i mercati membri sono tutelati. Si accede appena ci si associa a Cecafè, e chi vuole fare il suo ingresso è già stato trovato conforme per entrare nella piattaforma. Noi ovviamente verifichiamo le condizioni individuali dei produttori che negoziano con gli esportatori o con tutti gli associati.
In aggiunta a questo Cecafé ha dialogato con il ministero delle Infrastrutture in Brasile, creando e coordinando un gruppo di lavoro che ha coinvolto altre catene dell’agro-negozio, tutte quelle che usano i container per esportare: il ministero tutte le settimane convoca gli esportatori e gli armatori.
Si è consolidato un team per trovare soluzioni, anche se non sul breve periodo, per la redazione di un piano di emergenza contingente. Gli armatori con noi hanno mostrato una grande apertura e disponibilità, tanto che i numeri di gennaio e febbraio, mostrano un risultato ottimo, per quanto riguarda proprio la riduzione dei problemi logistici: l’impatto della carenza di container è ora più limitato.
C’è ancora, ma a un livello ben più basso rispetto all’anno scorso. Il problema resta globale, tra pandemia e post-pandemia, ma con la ripartenza delle economie, le principali vie mondiali sono congestionate e il Brasile resta un po’ fuori dalle rotte principali. Quindi siamo maggiormente colpiti.”
Cecafè è famosa per la raccolta dei dati e delle statistiche: quali sono i criteri con cui vengono raccolti e compilati?
“Il certificato d’origine è la nostra base di informazione, come accennato prima. Al suo interno vengono raccolte tutte le esportazioni. Esiste una direzione di Cecafé che è responsabile di questo segmento di rilevamento dati e statistiche. Tutte le informazioni sulle esportazioni e ogni certificato hanno dei parametri: vendita del Paese, qualità, i certificati di queste vendite in termini di qualità e sostenibilità. Sono informazioni strategiche: tutte le logistiche, la forma di condizionamento del carico, suggeriscono un’intelligenza di mercato. Cecafé possiede inoltre tutti i dati sul porto di origine e di listino.
I cosiddetti caffè differenziati per esempio, sono di qualità superiore o legati a brand di qualità e sostenibilità. Ne abbiamo esportato l’anno scorso quasi 8 milioni di sacchi, con un valore del 40% superiore agli altri caffè.
Di questi, il 60% per qualità, il 40% per la sostenibilità. Per esempio dei certificati come Fairtrade, Rain Forest, e non dimentico illy, ne rappresentano il 20%. Ma quando consideriamo mercati più importanti come l’Unione Europea, il 50% di tutte le nostre vendite è caratterizzata per il 30% da questi caffè differenziati.
Queste informazioni ci aiutano in questo momento a comprendere questo mercato e come gestisce le importazioni di commodity: qualsiasi commodity non può esser associata alla deforestazione, in quanto necessita una tracciabilità.
Insieme alla piattaforma che abbiamo creato con Serasa, stiamo lavorando sullo sviluppo di un’altra per il tracciamento a disposizione di tutti i nostri associati. Una forma standardizzata per soddisfare tutte le esigenze in forma organizzata.
Ma i dati di Cecafè non sono gli unici…
“Cecafé è responsabile dei dati sulle esportazioni. Per il consumo interno, esiste invece un’associazione che si chiama ABIC, (Associazione brasiliana internazionale del caffè) e ABICS per quello solubile. Le stime che loro fanno si basano su delle analisi di mercato e non su fonti istituzionali come invece sono i certificati di origine.
Loro hanno una stima del consumo interno, mentre Cecafé ha dei documenti precisi di esportazione, tanto che è in grado di pubblicare un report ogni mese che è la fonte principale che i giornalisti specializzati cercano.
Dal lato della produzione, contano su degli organi pubblici come la Conabi (compagnia nazionale di fornitura) che rileva la quantità dei sacchi: è una stima, perché sono delle proiezioni, e ci rende difficile analizzare le statistiche consolidate.
Se facciamo uno studio di 10 raccolti, con produzione in una colonna, consumo interno in un’altra, esportazioni, mancherebbe ancora una parte della produzione totale del Brasile.
Ci sono sempre delle carenze nei dati per poter dare un quadro completo e omogeneo. Anche le statistiche globali soffrono dello stesso problema.
E anche l’USDA, il Ministero dell’agricoltura statunitense, che svolge questo stesso tipo di raccolta, ha delle difficoltà.
Nel 2020 abbiamo prodotto 60 milioni di sacchi con Conabi, secondo USDA invece sono stati riportati 70 milioni di sacchi. È un problema su cui stiamo lavorando, per risolverlo attraverso la geolocalizzazione. Un privato ha creato un gruppo di lavoro che insieme a Conabi vuole trovare modi migliori di raccogliere dati. Inoltre la Guardia di finanza del Brasile dice che il certificato d’origine dev’esser accompagnato dal documento di esportazione.”
Quali sono le politiche messe in campo da parte del governo brasiliano per migliorare le condizioni dei contadini nelle piantagioni?
“E’ un lavoro che si articola sul piano pubblico e su quello privato. Dal lato pubblico esistono delle forme di fiscalizzazione del ministero del lavoro. Esistono delle leggi specifiche sul lavoro tra il campo e la città e noi abbiamo una “lista nera” che contiene i produttori e imprenditori rurali collegati a condizioni di lavoro degradanti dei loro funzionari.
Ma abbiamo in Brasile secondo l’ultima raccolta dati, 265 mila produttori e di questi, solo undici nomi da mettere nella lista nera. Quando il governo la pubblica, noi la condividiamo con i nostri associati.
Nel campo del privato invece, abbiamo alti codici etici e di condotta firmati dai nostri 122 associati. Che immediatamente non commerciano quanto prodotto dagli appartenenti alla lista nera. E condividono con i loro stessi partner commerciali questi referenti, affinché che anche loro li escludano dai loro business.
Ogni associato, ha anche dei codici etici firmati con le principali torrefazioni globali. Ancora sul piano del lavoro, abbiamo iniziato un programma con le torrefazioni internazionali che hanno scritto accordi con gli esportatori, coordinato da Cecafè, dalla piattaforma globale del caffè e una Ong che si chiama Impacto, responsabile per migliori condizioni lavorative per tutte le filiere produttive del Brasile.
Quindi in base a questo lavoro riconosciamo due grandi attività: lavorare nel concetto di miglior reddittività e un’azione di prevenzione.
Osserviamo prima le migliori pratiche e usiamo il lato educativo e non punitivo, non essendo noi il governo. Inoltre identifichiamo le regioni con maggiore rischio in base agli indici di vulnerabilità usando dei dati ufficiali.
Sappiamo già dove dobbiamo intervenire e può verificarsi il problema e attuiamo già un’azione educativa, trasferendo le migliori pratiche possibili. Vorremmo così eliminare lo sfruttamento nella catena produttiva. L’obiettivo è di raggiungere 5.000 produttori.”
Si parla sempre di più dei giovani che abbandonano le coltivazioni: com’è la situazione in Brasile?
“In base ai dati ufficiali, di indice sviluppo umano, dove il caffè è presente, questo elemento che misura l’aspettativa di vita, reddito, educazione, lo sviluppo è maggiore. Per esempio il Minas Gerais, che corrisponde a metà della produzione nazionale, ha un indice medio secondo la Om. Ancora nello stato del Minas Gerais, dove l’indice è medio, nelle regioni interne dove c’è la produzione di caffè, il livello è più alto.
Ci sono diversi meccanismi che sono stati creati per generare questo sviluppo. Eccone alcuni: il caffè ha un fondo proprio nel Brasile chiamato Funcafè, che sono di sei miliardi di reales. Oltre a questo, esiste il sistema di credito rurale che è a disposizione di tutti: il produttore ha quindi modo di finanziarsi con costi di credito agevolato.
Il credito è valido per sostenere i costi di produzioni, gli investimenti, stoccaggio e anche quando un problema climatico colpisce la produzione.
Per esempio nel 2021 i produttori sono stati colpiti dalla secca e anche dalla gelata: Funcafè ha stanziato 1,3 miliardi di reales per i farmer colpiti, dando loro anche molti anni di tempo per ripagare.
I produttori hanno ricevuto metà di questo valore. Inoltre, sappiamo che molti coltivatori hanno anche avuto accesso a diversi fondi di credito oltre quelli del caffè.
Questo è uno dei punti che noi riteniamo importante con la piattaforma dei contratti futuri: per merito della nostra super raccolta del 2020, a partire dal 2019, quando il mercato già prevedeva un gran raccolto, i prezzi sono scesi. 100 a libbra/peso. Ma le Borse hanno un momento di alto anche in un periodo di basso valore.
Dalla fine del 2019 al 2020, ci sono stati 4/5 momenti in cui la Borsa ha reagito. In ogni momento i produttori hanno venduto milioni di sacchi, perché i produttori in Brasile sono vicini alle cooperative e agli esportatori.
Il Brasile è l’unico paese produttore che fa uso di contratti a lungo termine per la cultura di mantenere e rispettare gli accordi. In questo momento siamo riusciti a ottenere una buona reddittività.
Abbiamo anche un altro esempio: da 15 anni monitoriamo e comunichiamo il transfert price per l’esportazione di Fob, al produttore. Questo è un indice che si chiama IPEP: da 15 anni oscilla dall’80% sino al 92%/93%.
Significa che la trasmissione è veloce ed efficiente in Brasile: qualsiasi variazione di prezzo, o contrattazione più produttiva di caffè differenziati con valore aggregato, viene ricevuto al produttore immediatamente. Abbiamo iniziato a studiare questo indice per la difficoltà di ottenere questi numeri in altri paesi.
Inclusi quelli dell’America centrale, questo indice oscilla dal 40 al 60%: ci sono più agenti nella filiera e il processo non è così diretto. In Brasile il trasferimento è più veloce e il produttore ne è il più grande beneficiario. Hanno le ferie, la tredicesima, la licenza di maternità e il salario minimo. La politica di incremento degli stipendi minimi considera l’inflazione e l’accrescimento del Pil. Ogni anno la regola matematica si aggiorna.”
È importante anche raccontare la legislazione incentrata sulla questione della tutela ambientale, che è molto rigida rispetto ad altri paesi. Che cosa sta facendo Cecafé? A che punto siete?
“Noi consideriamo l’ambiente. Il sociale e l’economico ha fatto grandi progressi negli ultimi 20 anni. Per il punto di vista ambientale il Brasile ha approvato nel 2012 il codice forestale.
Le riserve preservate variano dal 20 all’80% in accordo con il bioma. Le regioni consolidate al sud al 20%/25% e l’Amazzonia, 80%. E l’entroterra, la Savana, il 35%. Il caffè è quasi tutto consolidato nella parte sud del paese e ha esigenze del 20%.
Nella nostra presentazione insieme al codice forestale è stato costituito il catasto ambientale rurale, che mostra la geolocalizzazione delle proprietà e dove stanno le aree protette e i fiumi. Hanno fatto la convalida di questo catasto con strumenti più moderni.
Gli ultimi dati dell’Endrapa, l’ente di ricerca brasiliano, che ha condotto l’analisi del catasto, mostra che i produttori brasiliani si trovano al di sopra dei livelli richiesti. A San Paolo, Minais, Espirito Santo e Bahia, ha il 40% in più di preservazione. Sono molto virtuosi.
Analizzando Minais Gerais che è stato recentemente aggiornato, solo nelle zone della produzione di caffè, Matas de Minas, Sud de Minas e il Serrado Mineiro, analizzando le proprietà e le aree protette, abbiamo come risultato in totale 1,25 volte la superficie della Svizzera.
Infine un altro tema poi sarà la carbon balancy: stiamo concludendo l’ultima fase di questo progetto, analizzando 45 aziende per ciascuna regione analizzando la produzione di gas derivanti dalla coltivazione del caffè. Questo mese li riveleremo.”