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CATENE DI CAFFETTERIE – Starbucks e l’Italia: Amore Impossibile? Sì, nonostante il successo McCafé

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Le prime città che hanno ipotizzato l’apertura di un punto vendita Starbucks, furono Milano, Venezia, Roma e Napoli nel giugno del 2012, celebrate anche in un celebre finto manifesto sui social network. A ottobre fu poi la volta di Firenze. Ora, a fine 2013, tocca a Milano e Bologna: breve cronistoria delle bufale circolate su internet riguardo le possibili aperture di punti vendita Starbucks in Italia.

Ma perché non esiste, ad oggi, Starbucks in Italia?

Premessa: fu proprio in un viaggio nella capitale commerciale d’Italia, a Milano, che Howard Schulz ( http://en.wikipedia.org/wiki/Howard_Schultz ) ebbe l’idea di Starbucks per come lo conosciamo ora. Interessanti sono quindi le ragioni del motivo per cui proprio nel nostro Paese manchino dei punti vendita.

Il primo motivo, ufficiale e dichiarato direttamente dal fondatore, è di carattere prettamente sociale: in Italia non c’è la cultura di bersi una bella tazza (rigorosamente grande) di caffè, magari davanti al proprio iPad mentre si leggono le mail.
 In Italia il caffè è rigorosamente ristretto e in tazza piccola, e ciò comporta un tempo di consumo brevissimo, al volo davanti al bancone o al massimo seduti al tavolino giusto il tempo di un’occhiata veloce alla prima pagina di un quotidiano.

Completamente l’opposto dell’esperienza di consumo di un caffè (o presunto tale) all’estero, pilastro della filosofia di Starbucks.

Il secondo motivo riguarda la rete distributiva: in Italia ci sono 170.000 bar, sarebbe a dire uno ogni 350 abitanti. Cifre folli, esattamente dieci volte rispetto agli Stati Uniti, dove c’è un bar ogni 3.500 abitanti. 
In un mercato così saturo, l’ingresso di una catena come Starbucks non potrebbe limitarsi solo a un paio di flagship stores, ma renderebbe necessaria una notevole capacità di investimento, con elevati rischi in un Paese dagli irrisolti problemi politici ed economici.

Terzo motivo, l’immagine: qualora Starbucks dovesse vincere la “scommessa Italia”, aumenterebbe e di molto il suo fatturato; qualora invece dovesse perdere, fallirebbe nella Patria dell’espresso, bocciato dai più grandi esperti di caffè nel mondo, con conseguente danno di immagine anche negli altri Paesi.

Da sfatare assolutamente il mito per cui Starbucks non avrebbe successo in Italia per la scarsa qualità del caffè: sarebbe come dire che McDonald’s non avrebbe successo in Italia perché i panini italiani sono più buoni, mentre in realtà il nostro rappresenta uno dei maggiori mercati nel mondo per l’azienda americana (circa il 4% del giro d’affari).

Giusto, quindi, non aprire in Italia?

No, se invece si pensa ai risultati ottenuti dai McCafè, i bar di McDonald’s che, intelligentemente, hanno unito un concept tipicamente americano con le abitudini di consumo italiane, servendo espresso e cappuccino in tazza di ceramica, servendosi di fornitori italiani di assoluto livello (macchine del caffè Cimbali, dessert Bindi, latte Granarolo), completando il tutto con location gradevoli e wi-fi gratuito.

Tutto ciò si è tradotto in performance di assoluto livello: anche grazie ai McCafè, McDonald’s in Italia ha chiuso il 2011 a +7,6% rispetto all’anno precedente, ciò nonostante l’Italia venga definito “un Paese dagli elevati problemi politici ed economici”, tanto per citare le esatte parole di Howard Schulz, CEO di Starbucks.

Personalmente ritengo che aprire un’altra sede di una multinazionale che tra l’altro vende caffè in Italia sia evitabile, ma se gli italiani, vittime della Globalizzazione, non attendono altro che l’apertura di un altro marchio noto in tutto il mondo, allora perché non dare spazio allo sfruttamento.

Fonte: http://scienzeumanemachiavelli2e.wordpress.com/2014/05/22/starbucks-e-litalia-amore-impossibile/

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