Le carrube stanno vivendo un nuovo periodo di splendore. Grazie alla polpa di questo particolare legume si ricava una farina che funge da surrogato del cacao. Considerando l’improvviso aumento delle quotazioni del cacao in questo momento, non desta stupore il rinnovato interesse verso le carrube. Anche in Italia se ne producono circa 35mila tonnellate di media annua.
Ma il carrube è richiesto anche nel mondo gluten free e nei prodotti a valore aggiunto, filone in cui sono inseriti diversi produttori, soprattutto in Puglia, come l’Amaro d’Itria o Freecao (qui la nostra intervista), il cioccolato (ma per legge non lo si può definire così, ndr) ottenuto riducendo del 90% il consumo di acqua e dell’80% le emissioni di CO2 rispetto alla produzione di cacao. Leggiamo di seguito parte dell’articolo di Manuela Soressi per Il Sole 24 Ore.
Il ritorno delle carrube
MILANO – Le carrube sono tornate d’attualità. Prima la ricerca di superfood e prodotti più naturali, poi l’esplosione delle quotazioni del cacao (da inizio anno + 170% a Londra e +169% a New York secondo Areté) hanno riacceso i riflettori su questo legume “ancestrale”, citato già nel Vangelo, dalla cui polpa si ricava una farina che è considerato un ottimo surrogato del cacao e dai semi un addensante molto usato nell’industria alimentare (indicato sulle etichette come E410).
E così nell’ultimo triennio la domanda è letteralmente esplosa ma si è presto trovata a fare i conti con un’accentuata e generalizzata scarsità di prodotto. Il che ne ha rialzato le quotazioni, facendole quintuplicare fino a oltre 30 euro al kg.
Anche in Italia, Paese che, con le sue 35mila tonnellate di media annua (fonte Ismea), si gioca con il Portogallo il secondo posto nel ranking dei produttori mondiali, dietro il leader Marocco. Gli effetti sono stati disastrosi: le quotazioni andate alle stelle hanno innescato nel 2023 la riduzione della richiesta da parte delle aziende del food, che hanno ripiegato verso sostitutivi del cacao e addensanti più economici (come il guar). Risultato: domanda ferma, crollo dei prezzi e grandi difficoltà per i trasformatori di carrube, concentrati in Sicilia, dalle cui province di Ragusa e Siracusa arriva il 95% della produzione italiana.
“Il 2023 è stato un anno di crisi, come non si vedeva dai tempi della lira –spiega a Il Sole 24 Ore Lorenzo Antoci, proprietario di Sicilian Carob Flour, che lavora 4mila tonnellate annue di bacelli, perlopiù destinate alla produzione di mangimi e petfood, e che ha chiuso il 2023 con circa 4 milioni di euro di fatturato – ma ora stiamo assistendo a una ripartenza della domanda, soprattutto nel food, settore in cui siamo entrati da pochi mesi, dopo aver ottenuto le necessarie autorizzazioni”. Che l’alimentazione umana sia lo sbocco più promettente lo pensano in molti, anche per la crescente richiesta di prodotti clean label e adatti ai celiaci. Ma il made in Italy non riesce a cavalcarla.
Quello dei prodotti a valore aggiunto è un filone in cui sono inseriti diversi produttori, soprattutto in Puglia, come l’Amaro d’Itria o Freecao, il “cioccolato” (ma per legge non lo si può definire così, ndr) ottenuto riducendo del 90% il consumo di acqua e dell’80% le emissioni di CO2 rispetto alla produzione di cacao.
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