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Berlino: tutti pazzi per il cappuccino italiano

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BERLINO – Il problema con i tedeschi è che sono perfezionisti. Niente di male, è un pregio, non un difetto. Ma a volte esagerano. Appena scoprono che sono italiano, cominciano a farmi domande sull’olio di oliva, dove lo compro, come lo conservo, a quanti gradi di temperatura ambientale, al buio, in penombra? Sanno tutto su grado di acidità e colore. Hanno ragione, ma ti estenuano. Fino a pochi anni fa, tranne rari intenditori, ignoravano l’esistenza dell’aceto balsamico. In una storica trasmissione, Alfredissimo, che aprì la moda alle rubriche di cucina in tv dedicate quasi sempre all’Italia, il conduttore Alfred Biolek invitava vip di ogni genere a preparare il loro piatto preferito.

Un’attrice cominciò a parlare dei suoi crauti all’aceto balsamico. Alfred commentò ironico: «Come facevamo a vivere quando non sapevamo che cosa fosse?». Oggi i tedeschi hanno imparato a cucinare gli spaghetti al dente, producono pasta di grano duro made in Germany, e anche il parmesan, con buona pace degli emiliani. E ti offrono un espresso da fare invidia ai napoletani. Non sempre, sempre più spesso. Ma hanno sempre il vizio di mischiare arte a tecnologia. Il mio difetto è di mettermi a scrivere, al mattino, in attesa che il caffè sia pronto. E brucio le macchinette. Ne ho sempre una di riserva. Ora ho bruciato anche la seconda.

Come fare a comprarne una in Germania?

È come cercare un nastro per macchina da scrivere in un negozio di computer. Certo che ne abbiamo, si è quasi offesa la commessa in un negozio di casalinghi. Mi ha mostrato la sua collezione: fuoriserie dell’espresso da 2 mila euro. Probabilmente servirebbe una patente per mettersi ai comandi. Oppure, un’utilitaria: 80 euro, e potevo anche prepararmi un cappuccino, altra mania teutonica. Macchine per tutte le borse, quasi professionali e per dilettanti, di ogni forma e colore, macchine come capsule spaziali, ideate da designer o da artisti visionari.

La mia macchinetta del caffè, quella classica, sembrava estinta. Mi guardavano come un relitto della storia. Il caffè è la mia unica droga. Come sarei sopravvissuto? Infine l’ho scovata. Una superstite, occultata tra colleghe avveniristiche. L’ho presa, ma sono stato fermato alla cassa. Non riuscivano a identificarla al computer. Quanto costava? Ho atteso una decina di minuti finché sono riusciti a vendermela. Meno cara che in Italia. Tanto, chi le vuole più?

Le macchine elettroniche per preparare il caffè all’italiana, ristretto, super-ristretto, doppio, lungo, come vi garba, le acquistano i miei amici tedeschi

A mezzanotte pretendono di dimostrarvi come sanno preparare un cappuccino «come piace a te». Io, l’italiano, sono il giudice supremo per assegnare l’Oscar del cappuccino, con schiuma, poca schiuma, quasi senza schiuma. In biblioteca hanno perfino il manuale per il cappuccino perfetto ed elettronico.

Una moda che ha cambiato il mercato. Il tipico caffè tedesco, che non è male e contiene più caffeina di un espresso, quello in tazza grande, filtrato, subisce una dura concorrenza. I produttori si sono adattati ai gusti dei connazionali per non fallire. La domanda è: perché i nostri si lasciano sfuggire questo grande affare? Pizzerie e ristoranti su cui sventola il tricolore sono in maggioranza. I caffè no.

Li gestiscono i tedeschi o le catene americane. Il caffè potrebbe fare da apripista ad altri nostri prodotti. Peccato, siamo sempre sicuri di essere inimitabili fin quando i tedeschi ci dimostrano il contrario. Il cuoco Heinz Beck da un decennio è il miglior chef «italiano» a Roma. A quando un barista teutonico sul Vomero? * fonte: Italia oggi

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