Paola Campana, marketing communications specialist dell’azienda Campanacaffè, si unisce alle riflessioni portate dalla visione del programma d’inchiesta REPORT sullo stato del caffè in Italia, analizzando la situazione attuale del chicco. Leggiamo di seguito le sue considerazioni pubblicate sul portale social Linkedin.
Il caffè in Italia dopo 10 anni dalla prima inchiesta di REPORT
di Paola Campana
MILANO – “A dieci anni dalla prima inchiesta sul caffè di REPORT, trasmessa su RAI Tre, la situazione sembra essere immutata. Dalle caffetterie di Napoli, dove il caffè è un istituzione, a quelle di Trieste, capitale storica del caffè in Italia, emergono gli stessi problemi già evidenziati nel 2015.
Caffè rancidi, tostature eccessive che mascherano difetti e un livello di preparazione dei baristi ancora largamente insufficiente, tracciano una fotografia aggiornata di un paese che nonostante la tradizione e l’immagine iconica dell’espresso, continua a soffrire di gravi lacune, tanto nella formazione dei baristi quanto nella cura degli strumenti e della materia prima.
Un viaggio tra caffè rancidi e cattive abitudini
Già nel 2014, Report aveva denunciato l’uso di materia prima di scarsa qualità, caffè vecchi e tostature esasperate che, invece di esaltare gli aromi naturali dei chicchi, li coprono, uniformandone il gusto e nascondendo i difetti.
A questo si aggiungeva l’assenza di una cultura della manutenzione degli strumenti: macinini e macchine da espresso trascurati, incrostati di residui di caffè che finiscono inevitabilmente nella tazzina servita al cliente.
Le puntate successive hanno rafforzato questo quadro sconfortante, coinvolgendo esperti del settore per analizzare caffè estratti nei bar più rinomati d’Italia, da Milano a Firenze, da Napoli a Roma. I risultati?
Nella maggior parte dei casi, difetti evidenti dovuti non solo alla qualità del caffè, ma anche a una preparazione tecnica insufficiente. Tazze dal sapore bruciato e rancido sono la norma, non l’eccezione.
Un problema centrale è la scarsa attenzione alla pulizia della “tramoggia” (il contenitore dei chicchi nel macinino) e dei gruppi erogatori della macchina espresso. Il mancato lavaggio e l’assenza di pratiche fondamentali, come il “purge” (il risciacquo dei gruppi prima di ogni estrazione), portano a un accumulo di residui che compromettono il sapore del caffè.
Caffè sporchi: rischi per la salute e il gusto La trascuratezza non è solo un problema di gusto. Come ha evidenziato il giornalista Bernardo Iovane durante l’inchiesta, il semplice gesto di far scorrere l’acqua dai gruppi erogatori ha rivelato uno scenario inquietante: acqua scura e sporca, piena di residui. Questa stessa acqua è quella che molti di noi bevono ogni mattina, senza rendersene conto.
I residui di caffè che si accumulano nei filtri e nelle macchine possono, se sottoposti a bruciature ripetute, generare composti chimici come i furanici e tracce di acrilamide, sostanze potenzialmente cancerogene. Servire un caffè in queste condizioni è non solo un’offesa alla tradizione italiana, ma anche un potenziale rischio per la salute.
Riscattare il caffè italiano: un dovere culturale
Se il caffè è un simbolo dell’identità italiana, è inaccettabile che venga trasformato in una “ciofeca”. Servire un espresso di qualità non è solo una questione di orgoglio nazionale, ma un dovere verso i consumatori e verso una tradizione che ha reso il caffè italiano famoso nel mondo.
È necessario un cambio di mentalità, a partire dalla formazione dei baristi. Non basta l’esperienza dietro il bancone: occorrono conoscenze tecniche, attenzione ai dettagli e consapevolezza di ciò che si sta servendo. Allo stesso tempo, i consumatori devono diventare più esigenti, chiedendo trasparenza e qualità.
Bere un caffè preparato in una macchina sporca è come mangiare un piatto cucinato in pentole non lavate. Per evitare che il nostro rito quotidiano si riduca a un’abitudine senza gusto, bisogna dire basta alle “ciofeche” e riscoprire il piacere di un espresso fatto a regola d’arte”.
di Paola Campana