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sabato 02 Novembre 2024
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CAMBIAMENTI CLIMATICI – Il tè rischia di scomparire nel 2030

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MILANO – Beviamo 3 miliardi di tazze di tè ogni giorno e nel mondo se ne producono 4,8 milioni di tonnellate l’anno. Però il tè, una delle bevande più antiche e amate, rischia di affrontare seri problemi nel prossimo futuro.

L’allarme arriva da un nuovo rapporto, il Tea 2030 del Forum for the Future, che riporta l’attenzione sui numerosi problemi legati al cambiamento climatico, al consumo di acqua ed energia e alla competizione per la terra che i maggiori paesi coltivatori di te’ affronteranno.

Il rapporto segnala come “molti dei principali paesi dove si coltiva il tè – come Kenya, Malawi, India, Sri Lanka e Cina – siano anche tra i più vulnerabili ai cambiamenti climatici”.

Il tè, inoltre, è una coltura che – tradizionalmente – viene irrigata dalle piogge, “ma i continui sbalzi climatici stanno costringendo a sostituire questa pratica con l’irrigazione”. Se questo da una parte risolve un problema immediato, dall’altro porterà anche “un incremento della pressione sulla domanda di acqua nelle aree già vulnerabili”.

Il tè, poi, è anche una mono-coltura “e come altre mono-colture si troverà ad affrontare in futuro la crescente erosione del suolo”.

Ma il rischio climatico non è il solo nemico delle coltivazioni di tè: ci sono anche le scelte produttive ispirate al solo profitto. Ad esempio, “tra il 2005 e il 2010 in Sri Lanka un decimo delle coltivazioni di te’” è stato soppiantato da coltivazioni più redditizie come “gomma, olio di palma e frutta” e , si legge nel rapporto, “l’ultima cosa che vorremmo è che il tè fornisse un incentivo alla deforestazione negli altopiani tropicali”, che potrebbe essere incentivata dalla ricerca di altri spazi per reintegrare quelli sottratti.

Ma c’è anche un altro tema: quanta energia serve per il te’? Come segnala ‘Tea 2030′ del ‘Forum for the Future’, per coltivare il tè non serve consumarne molta, ma alla fine si crea “un consumo di energia tre volte più alto che per l’acciaio”.

Infatti, anche se non è una coltura che necessiti di molta energia sono invece i processi di trasformazione ad essere energivori: “appassimento, asciugatura, selezione, impacchettamento richiedono 18 kiloWattora per 1 kg di te’” mentre “per fare un kg di acciaio servono solo 6,3 kWh”, sottolinea il rapporto.

La notizia positiva è che molte compagnie hanno però iniziato a scoprire il grande ruolo che potrebbero svolgere le energie rinnovabili nel settore.

Comunque, nonostante gli impatti ambientali descritti finora, la parte più ‘carbon intensive’ (ad alta intensità di carbonio) di tutta la catena del tè rimane il suo consumo, cioè proprio il momento in cui lo beviamo. Molti, ad esempio, scaldano troppa acqua, più di quella necessaria; altri buttano via quella in eccesso dopo averla scaldata consumando energia, o buttano quella diventata troppo fredda.

E la valutazione dell’impatto ambientale del tè si conclude con le bustine che finiscono tra i rifiuti: “Negli Stati Uniti la quantità di tè usato gettato annualmente ha una massa equivalente a quella dell’Empire state building”, e gli Usa non sono nemmeno lo Stato dove si beva più tè al mondo che è la Cina seguita dall’India.

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