venerdì 21 Febbraio 2025
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Pasquale Calderone, finalista del Gran premio della caffetteria italiana Aicaf: “Ho vinto utilizzando una monorigine Robusta, una specie denigrata ingiustamente da REPORT”

Calderone: "Consiglio alle persone di non limitarsi ad ascoltare solo un parere, ma a fare le proprie ricerche e trarre le proprie conclusioni. Bisogna capire e conoscere le cose nel dettaglio e non soffermarsi all’apparenza. Mi piacerebbe che un giorno le degustazioni di caffè fossero comuni come quelle del vino. Non occorre essere dei sommelier professionisti ma è giusto che i clienti abbiano un minimo di formazione. La consapevolezza e il saper bere bene dovrebbero partire dal consumatore finale: questo migliorerebbe la qualità di tutti i prodotti e di conseguenza renderebbe l’intera filiera decisamente migliore”

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MILANO – Pasquale Calderone ha trionfato nella seconda tappa di selezione per le finali del Gran premio della caffetteria italiana di Aicaf, portando in gara una monorigine Robusta Kaapy Royale di provenienza indiana. In nove anni di Gran premio nessuno aveva mai rischiato di presentarsi in gara con un caffè simile.

Calderone spiega i motivi che lo hanno portato a scegliere una monorigine Robusta per la competizione, una qualità di caffè denigrata erroneamente, secondo Calderone, anche nell’ultimo servizio di REPORT su Rai3. Leggiamo di seguito le sue considerazioni.

Calderone, cosa l’ha portata a scegliere una monorigine Robusta per la gara?

“La Robusta è la specie botanica che meglio mi rappresenta. Noi italiani siamo abituati ad una tipologia di caffè piuttosto amara e sciropposa, aspetti che si trovano nella Robusta monorigine.

Dopo tanti anni di studio e formazione ho scoperto e approfondito tutte le varie sfaccettature del caffè ma sono rimasto comunque legato ai sapori classici italiani che, forse, possono essere definiti meno nobili rispetto a quelli che si trovano all’interno di un monorigine Arabica”.

Perché la Robusta è generalmente considerata di minore qualità rispetto all’Arabica?

“Spesso la Robusta viene denigrata perché nasce a monte come un prodotto da taglio. Il chicco in questione viene utilizzato insieme all’Arabica per dare corpo al caffè: si tratta di un prodotto che è sempre stato utilizzato come materia complementare. Tuttavia è fondamentale notare che ci sono delle piantagioni di Robusta di alta qualità che sono sottovalutate.

Molti esperti si focalizzano sugli specialty coffee, il 10% della produzione di caffè mondiale, che racchiude in sé tipologie di Arabica estremamente particolari. Ma c’è anche la Fine Robusta: la varietà specialty dedicata a questa pianta. Sono prodotti poco utilizzati anche nelle caffetterie di un certo livello. Ho scelto di partecipare alla competizione dell’Aicaf con una  Robusta monorigine estremamente pregiata: il Kaapy Royale che è di origine indina.

Cosa intendo per pregiato? Un prodotto che ha una tracciabilità a monte: quando si conosce non solo la zona di provenienza del caffè ma anche la regione e la piantagione. Questo rappresenta un enorme vantaggio poiché garantisce controlli maggiori e quindi un prodotto di grado elevato”.

Cosa rende un caffè di alta qualità? Quali sono le proprietà che lo contraddistinguono?

“Per avere un buon risultato finale in tazza è necessario avere una buona materia prima di partenza. È importante che ci sia stata cura nelle coltivazioni e che, successivamente, la torrefazione faccia un buon lavoro nella lavorazione del chicco.

In Italia c’è un grande problema: molte torrefazioni non apprezzano i propri clienti. Il caffè è come il maiale: non si butta via nulla. Se un’azienda ha un lotto di un caffè che ha preso muffe o sensori sbagliati durante il trasporto, lo tosta scuro, lo macina, lo tosta e crea una cialda o una capsule mettendoli ad un prezzo decisamente alto per un prodotto scadente.

Il caffè in tostatura subisce una fase chimica chiamata reazione di Maillard, con la caramellizzazione degli zuccheri: questo avviene anche con la cottura di altri cibi come la carne in padella o sulla griglia. Quando i grassi superano una certa temperatura si bruciano e rendono il prodotto cancerogeno.

Per me è importante che la gente sappia ciò che beve. Il caffè non è sinonimo di bruciore di stomaco: solo una miscela bruciata fa male. Ognuno è libero di fare ciò che vuole. Nonostante io abbia studiato il chicco a 360° preferisco comunque una Robusta con sapori meno nobili piuttosto che una Arabica specialty di prim’ordine con sapori floreali. Questo è il mio gusto. L’importante però è capire cosa si sta bevendo”.

Come si sta preparando per le prossime gare? Che cosa ha in serbo per Host?

“Ho la fortuna di essere in un team di cinque persone e di essere continuamente supportato. La competizione non è limitata solo alla caffetteria ma anche alla latte art e alla mixology.

Bisogna costruire un tema che accompagni tutta la gara. In questo momento sto ancora cercando di capire come approcciare al meglio il percorso tematico da portare alla finale italiana della competizione”.

Ha qualcosa da aggiungere sulle considerazioni espresse da REPORT e sulla Robusta?

Consiglio alle persone di non limitarsi ad ascoltare solo un parere, ma a fare le proprie ricerche e trarre le proprie conclusioni. Bisogna capire e conoscere tutti gli aspetti della questione nel dettaglio e non soffermarsi all’apparenza. Mi piacerebbe che un giorno le degustazioni di caffè fossero pratica comune come quelle del vino.

Non occorre essere dei sommelier professionisti ma è giusto che i clienti abbiano un minimo di formazione. La consapevolezza e il saper bere bene dovrebbero partire dal consumatore finale: questo migliorerebbe la qualità di tutti i prodotti e di conseguenza renderebbe l’intera filiera decisamente migliore”.

Progetti per il futuro? Una scuola di formazione a Genova

Insieme ad AICAF sto organizzando l’apertura di una scuola di formazione a Genova. Il progetto non sarà solo riservata ai professionisti di settore, ma anche ai consumatori che hanno voglia di conoscere uno dei più famosi prodotti della tradizione italiana, con corsi e masterclass interessanti e formativi.

Mi auguro di poter diventare un punto di appoggio anche per aziende, disoccupati e neodiplomati offrendo una formazione autofinanziata da enti terzi”.

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