MILANO – Direttamente da Napoli, dove gestisce tre punti vendita di Caffettiamo, Raffaele Simonte si espone insieme ai suoi colleghi che l’hanno preceduto, nella piccola inchiesta che vuole indagare, numeri alla mano, cosa comporti la gestione di una caffetteria – se si sceglie lo specialty poi e, in questo caso, nella città del caffè napoletano, è ancora più complesso -.
Simonte, qual è stato l’investimento iniziale per avviare l’attività di Caffettiamo?
“Per il locale più piccolo che misura appena 15 metri quadri, abbiamo fatto un investimento minimo, quando ho deciso di avviare la mia attività dopo un’esperienza all’estero e di formazione fatta al nord. Il locale resta aperto solo la mattina, punta sul bio, il vegano e il gluten free. La nostra è stata la prima caffetteria plastic free del sud Italia (dati Greenpeace). Dopo due anni di sacrificio abbiamo inaugurare il secondo locale nel periodo post Covid, di 75 metri quadri.”
Quanto guadagna un bar su ogni caffè venduto, considerate le tante voci di spesa per un locale?
“Mediamente un espresso costa un euro e venti, ma per avere guadagni alti, si deve puntare sui volumi e quindi per un bar, si può parlare di margini soltanto riuscendo a usare tra i 6 e gli 8 chili al giorno e oggi, la media delle caffetterie si aggira tra i 2 e i 3 chili quotidiani. Con questi numeri, se si hanno anche solo 2/3 persone a proprio carico si va soltanto in pari.
Allora qual è il punto? Non esiste in Europa e nel mondo, una caffetteria che vende soltanto caffè e neppure nelle grandi catene non è proponibile soltanto l’espresso venduto al banco. L’idea di bar, nata in Italia e sviluppata poi all’estero, si basa su tanti altri prodotti e per questo è considerato un punto ristoro.
Proprio per questo principio, il terzo punto di Caffettiamo sarà strutturato come caffetteria di giorno e come vineria la sera, per coprire tutti i momenti della giornata, dalla colazione, al pranzo sino all’apericena serale.
Noi di Caffettiamo gia da due anni abbiamo aumentato il caffe a 1,20 per sostenere i costi dei 13 dipendenti. Un prezzo del genere crea come prima reazione, il panico. Ci rendiamo conto che anche il consumatore è disorientato per i tutti gli aumenti. Ma per noi non c’è altra soluzione.
Abbiamo creato una struttura piramidale per cui ogni caffetteria ha un manager qualificato e un assistente che lo aiuta nella gestione degli ordini e degli altri collaboratori. Abbiamo studiato un’organizzazione tale per cui possiamo garantire standard qualitativi alti riducendo l’orario di lavoro.
Per permettersi di guadagnare a fronte di queste condizioni, il caffè dovrebbe costare almeno un 1.50. Consideriamo che soltanto retribuire i dipendenti rappresenta, compresi i contributi, un’uscita di oltre 20mila euro al mese.
Inoltre investo molto anche nella formazione con docenti del calibro di Manuela Fensore, Carmen Clemente o Chiara Bergonzi.
Abbiamo poi organizzato anche visite guidate nell’aziende di riferimento con cui collaboriamo per permettere ad ogni collaboratore di scoprire e percepire in profondità il prodotto che vendiamo.
A tutto questo si deve aggiungere l’affitto, le bollette, la macchina e le attrezzature di proprietà.
Sono consapevole di aver aperto il terzo locale nonostante la un grande difficoltà economica che stiamo attraversando, ma era un atto dovuto per cercare di recuperare terreno in un settore in grande cambiamento e crescita.
Spesso paghiamo fatture e stipendi in ritardo per poter restare aperti e un grazie va ai grandi fornitori che ci sostengono e all’appoggio totale dei miei collaboratori. I margini sono bassissimi. C’è un problema evidente ed è per questo che stanno chiudendo in molti. Spesso chi resta aperto cerca di sopravvivere a discapito di lavoratori tenuti a nero e sottopagati.
E qui si arriva all’altra nota dolente di questo periodo: la carenza di personale, appunto dettata da queste condizioni assurde. In conclusione, penso che per sostenere tutti i costi e servire un prodotto di qualità il caffè dovrebbe costare almeno 1,50\1,80 (d’altronde se si va in giro per l’Europa difficilmente si paga meno di 2,50 il l’espresso).
Dovremmo unirci noi gestori e creare un mercato. Ad esempio a Bagnoli, dove ho aperto il primo locale ho creato un gruppo whatsapp con i gestori della zona, lanciando l’appello “portiamo il caffè ad un euro e venti, o almeno ad un euro e dieci.” Alcuni mi hanno seguito, altri no. Qualcuno lo vende ancora a 80 centesimi.
Parlando concretamente, calcoliamo 500 euro di incasso giornaliero per 30 giorni, per una media di 15mila euro di incasso mensili: bene, di questi, un bar con 3 dipendenti non riesce ad avere abbastanza margine da coprire le spese. Assurdo.
Qual è il momento della giornata che aiuta a fare più margini? Non è la colazione?
“L’aperitivo è la parentesi che ti risolleva. La domenica mattina, il sabato pomeriggio, gli incassi salgono e anche i margini.”
Ma Caffettiamo come altri bar, si sono evoluti dopo la pandemia, ci sono tendenze da cavalcare per fare più margine?
“Caffettiamo è molto cambiato negli ultimi anni. Dopo la pandemia la gente ha bisogno di avere a disposizione un’offerta più vasta. Per questo, nell’ultimo punto vendita abbiamo ampliato sul vino e i taglieri. Ma questa è una filosofia che abbiamo nel nostro dna: 7 anni fa abbiamo aperto a Napoli con un’offerta vegana, quando era ancora fantascienza.
Preparavamo cappuccini con bevanda vegetale al cocco alla soia all’ avena, alla mandorla e abbiamo basato tutto su questo che ora rappresenta una tendenza.
Ora un bar deve offrire tutto, dal dolce allo snack, dall’apericena con lo spritz e il vino al sandwich. Bisogna evolversi stile europeo, ma con la qualità e la cura del particolare in pieno stile italiano.”