PARMA – Una premessa è d’obbligo. Considerato ciò che deve avere passato in particolare negli ultimi due anni, la proprietà dei locali dell’ormai ex Gran Caffè Orientale meriterebbe un monumento. Sicuramente alla pazienza.
E più ancora ai diritti (fra gli altri, quello di riscuotere regolare pigione e di non ritrovarsi estromessi a casa propria da dei perfetti sconosciuti) variamente calpestati e stravolti. Così come è doveroso formulare i migliori auspici alla nuova attività che si appresta colà a trasferirsi.
Detto questo, per commentare l’intera vicenda – lasciando volentieri da parte ogni suo risvolto giudiziario passato, presente e futuro – potrebbe bastare una sola parola: peccato! Giacché è evidente che si tratta di uno smacco ulteriore per Parma.
Magari non dei più gravi. Epperò, più chiaro e palese del sole. Mentre infatti ovunque è una corsa a preservare i luoghi storici e più caratteristici delle nostre città, qui si marcia tranquilli nella direzione diametralmente opposta. Più per superficialità e distrazione, par di capire, che come frutto di un calcolo o di un disegno precisi.
Il che, semmai, è addirittura peggio. Dato che a uscirne confermata è la generale assuefazione al clima di decadenza che, ormai da troppo tempo, si respira sotto i cieli di una città ancora troppo soddisfatta di sé per accorgersi che, dietro l’angolo, c’è il nemico peggiore ad attenderla: l’irrilevanza.
E se qualcuno non ha capito oppure non volesse capire, è sufficiente che vada a leggersi le classifiche degli indicatori che davvero contano e che ci vedono, appunto, in lenta ma inesorabile caduta libera.
Ma, per tornare più terra terra, come non dar ragione al mitico barman Vito e al suo desolato lamento per la perdita di quello che altrove sarebbe stato considerato un «bene culturale» (come ad esempio a Padova il «Pedrocchi», a Napoli il «Gambrinus» o a Trieste il «Caffè degli Specchi») da preservare, in quanto tale, a qualunque costo?
Era il 1893, e Piazza Garibaldi si chiamava ancora Piazza Grande». Ed appunto in quel lontano anno, come stampato sulle capottine del locale prossime a essere smontate, il Gran Caffè Orientale cominciava a servire tazze e tazzine piene di un benessere raffinato, ma tutto sommato alla portata dei più. Bel modo di festeggiare 120 anni di storia: chiudendo i battenti per sempre!
Certo, purtroppo a Parma non abbiamo avuto nessun monsieur Arnault: il magnate francese (a capo della corazzata del lusso Lvmh che controlla i marchi Louis Vuitton e Moët Hennessy e la maggioranza di Christian Dior) che di recente ha rilevato il celebre Caffè-Pasticceria Cova di Milano. Ma, preso atto che sempre più malinconicamente e spesso sono gli «altri» a far man bassa dei successi del Made in Italy, pure nel nostro caso qualche ragionevole dubbio sembrerebbe lecito nutrirlo.
Insomma, era proprio impossibile tentare di creare, con uno sforzo congiunto di pubblico e privato, le condizioni giuste (innanzitutto ripeto per i legittimi proprietari dell’immobile) onde evitare alla città di perdere un altro dei suoi sempre più rari fiori all’occhiello?
E perché si è tollerato nel frattempo di tutto (inclusi i body-guard schierati per un certo periodo all’ingresso del glorioso bar!), lavandosi in buona sostanza le mani delle ombre gigantesche che andavano addensandosi sul cosiddetto «salotto buono» di Parma?
Si continua tanto a parlare di «immagine cittadina da rilanciare» a suon di improbabili «marchi» a forma di cuore. Mentre il «cuore» vero di Parma, cioè Piazza Garibaldi, langue nelle condizioni avvilenti che stanno sotto gli occhi di tutti. E una capitale per sua stessa natura del bello rischia, ogni giorno di più, di ritrovarsi irrimediabilmente imbruttita e sfatta. Addio, dunque all’Orientale. Sperando che questa non sia solo un’altra pagina di un lungo e ben più doloroso addio a Parma.
Fonte: La Gazzetta di Parma