TORINO – Caffè Vergnano non molla e porta avanti il suo nuovo progetto di trasformazione di quella che originariamente è stata una fornace in uno stabile per la tostatura e lo stoccaggio. Si trova in Valfenera questo innovativo polo della tazzina targato Vergnano. Leggiamo i dettagli dall’articolo di Luca Iaccarino su torino.corriere.it.
Vergnano: «In Valfenera nasce il polo della tazzina»
Incontrando Carolina Vergnano nello stabilimento della torrefazione di Santena il tema della conversazione non sono, come ci si potrebbe aspettare, le difficoltà prodotte dalla pandemia, ma le opportunità del futuro.
«È difficile, certo, abbiamo visto il fatturato 2020 diminuire del 16% rispetto all’anno precedente. Ma in più di un secolo di storia abbiamo traversato altri momenti critici. Sappiamo che si superano». Quarant’anni a luglio, dal 2005 responsabile dell’export, Carolina è una dei numerosi Vergnano «che fecero l’impresa»: il fondatore Domenico, che nel 1882 commercia in ortofrutta; il nonno Enrico che diversifica, dal tessile fino alla tostatura in una bottega di prodotti coloniali a Chieri;
il padre Franco e lo zio Carlo che ingrandiscono l’azienda costruendo la sede di Santena nel 1974; il fratello Enrico e il cugino Pietro, che si occupano rispettivamente di Horeca e acquisizione della materia prima. Se in quasi 150 anni Caffè Vergnano è arrivata a un fatturato 2020 di 80,6 milioni (quello prepandemico era di 96,4) e 162 dipendenti è perché non si è mai fermata. «Infatti abbiamo aperto il cantiere del nostro nuovo polo di Valfenera», racconta Vergnano, comunicando in anteprima l’investimento in corso da 4 milioni di euro.
Cosa ci sarà a Valfenera?
«Abbiamo acquistato un’ex fornace, uno spazio enorme, 40mila mq di capannoni. Il sogno di mio padre e di mio zio è farne il cuore della tostatura, ma in una prima fase ci servirà per stoccare la materia prima in arrivo dai porti di Genova e Anversa. Ma sarebbe il posto perfetto per gestire la logistica del prodotto finito».
Dice logistica e le chiedo: com’è cambiata la vendita in questo anno?
«Naturalmente è cresciuto l’online. Per noi un bene: il fatto che il consumatore abbia più dimestichezza lo avvicina a uno strumento che permette di dare informazioni, spiegare il prodotto. È aumentata la vendita tanto dal nostro sito, quanto da siti terzi — tuttocapsule o Amazon —, immaginiamo anche dall’online della Gdo, di cui però non abbiamo misura».
Per Amazon fate anche un private label.
«Sì, a marchio Happy Belly. Sono molto severi, fanno audit rigorosissimi. Per loro produciamo 21 referenze tra macinati e capsule. Amazon è in grande crescita ed è un canale di ricerca fortissimo».
Il web cresce, ma voi avete sempre puntato sulle caffetterie Vergnano
«Premesso che per diminuire i rischi cerchiamo sempre un equilibrio tra canali — web, Horeca, Gdo, estero —, le caffetterie sono il cuore della nostra strategia: ci permettono di proporre un prodotto premium ai consumatori, di valorizzarlo. Noi proponiamo ai baristi una sorta di licensing della durata di 5 anni: li aiutiamo a progettare il locale, ad arredarlo, li formiamo, in cambio non vogliamo roy ma fedeltà nella fornitura. Con 120 Caffè Vergnano in Italia e 60 all’estero siamo una delle reti più diffuse».
Quanto vale l’estero?
«Dicevo dell’equilibrio, e siamo equamente distribuiti: un terzo del fatturato dai bar in Italia, un terzo dalla Gdo in Italia —il nostro primo cliente è Esselunga—, un terzo dall’estero».
Per quello che riguarda le caffetterie state scommettendo sulle donne.
«Tutto è partito dalla produzione. Abbiamo avviato il progetto “Women in coffee” avvicinandoci all’ “International Women in Coffee Alliance”: nelle piantagioni il 70% delle raccoglitrici e il 25% delle proprietarie sono donne. Così abbiamo avviato una raccolta attraverso la vendita di una tazzina rosa per migliorare le condizioni di queste signore: a Santo Domingo, ad esempio, non avevano i fondi per acquistare una tostatrice. Poco più di un mese fa, Women in Coffee è diventato un progetto anche per l’Horeca: siamo alla ricerca di bariste che abbiano voglia di nuove sfide. Ascoltiamo i progetti, e facciamo la nostra parte».
Ad esempio?
«Quest’estate ero in un rifugio a San Sicario, una ragazza — si chiama Elisa Vottero, una donna fuori dall’ordinario— mi riconosce e mi dice: mi piacerebbe fare qualcosa assieme. E ha aperto un bistrot a Cesana che è diventato il primo bar “Women in coffee”. Abbiamo trovato progetti a Numana, a Enna. La nostra è un’azienda al femminile, mi piace sostenere lavoratrici e imprenditrici».
Qua di fronte, dal 2009, c’è lo stabilimento che produce su nove linee le vostre capsule compatibili (e compostabili). Quanto valgono?
«Il 15/20% del fatturato. E quando dicevo che questa azienda ha già vissuto momenti difficili pensavo ad esempio al 2011, quando dopo tutte le debite verifiche per evitare violazioni di brevetti cominciammo a produrre capsule per la Nespresso e Nestlé ci fece causa. Abbiamo vinto e di fatto quella sentenza ha aperto la strada alle compatibili in Italia».
Altri momenti critici?
«Nel 2005, quanto il costo del caffè ebbe un’impennata. Che noi non potevamo ribaltare sui clienti. Il caffè è una materia prima naturale, l’incertezza è all’ordine del giorno».
Quali gli interventi di Caffè Vergnano per la sostenibilità?
«Stiamo lavorando sul nuovo lattone per i bar in pet totalmente riciclato, poi le cialde compostabili, o l’ultima tostatrice che recupera il calore».