MILANO – In un periodo che vede, purtroppo, i pubblici esercizi ancora più in difficoltà di fronte alle misure di prevenzione contro il contagio del Coronavirus, continuiamo il viaggio esplorativo di questo settore. Sempre dal punto di vista di chi lo vive quotidianamente: ecco l’intervista a Manuel Terzi, che con sua moglie Elena, si sono dati alla “caffetteria pura“, così come loro stessi l’hanno definita: il Caffè Terzi a Bologna, in via Oberdan 10 e a Vignola, in via Fontana 2. Un progetto che, dal primo punto vendita, si è esteso in nuovi locali dello stesso marchio.
Caffè Terzi: la presentazione direttamente da Manuel
“Mia moglie Elena, sempre sia lodata, ed io, lavoriamo da sempre nel settore dei pubblici esercizi. Prima con il bere miscelato, quindi con i vini, nei locali “classici”. Poi, siamo rimasti affascinati dal caffè e ne siamo stati addirittura contagiati. Abbiamo iniziato ad approfondire le nostre conoscenze su questa bevanda. Così oltre che il corso per diventare Capo Barman Iba (e Aibes) e quello per Sommelier professionista ho frequentato una marea di ulteriori corsi sulla materia. Alcuni dei quali tenuti dal compianto e grandissimo Ernesto Illy.
Trovato il locale, decisa la destinazione (caffetteria), ci siamo resi conto che all’epoca (20/25 anni fa) era pressochè impossibile trovare del caffè buono. Così abbiamo capito che l’unica soluzione era iniziare a produrlo.
Siamo stati tra i primi, forse i primi in assoluto, a servire le “monorigini” e ad aprire una caffetteria pura: solo tè e caffè. Niente bibite, vini, aperitivi, paninazzi; insalatone, chewing gum, snacks, gratta e vinci; buonipasto, cocacola, campari col vino, spritz, ecc…
Grazie a Dio abbiamo incontrato il favore del pubblico, che, in moti di amichevole esagerazione, più volte ha dichiarato: quando inizi a bere Caffè Terzi non riesci più ad accontentarti di altri. Ora abbiamo due locali di proprietà (uno in via Oberdan a Bologna e uno in via Fontana Vignola). Oltre che ad alcuni affiliati in Spagna. Grazie a Dio, il lavoro va sempre bene e cresce.”
Che cosa dovrebbe sapere chi decide di avviare una propria attività?
“Le cose brutte: cioè le tante ore di lavoro, le tasse, gli accertamenti tributari non meritati, le malattie dei collaboratori di sabato e di domenica; i costi delle bollette, le ferie non garantite… Vengono aperte attività da persone che credono che il lavoro in proprio assicuri lauti guadagni e tanto tempo libero… Ancora oggi, ogni tanto, si vedono “gestori” che pensano di poter “gestire” un negozio soltanto attraverso i dipendenti e senza lavorarci.”
Quali possono essere dei modi economicamente sostenibili per differenziarsi dalla concorrenza?
“Innanzitutto non copiare! Costruire un progetto, avere delle idee e differenziarsi, appunto. Fare di testa propria, uscire dall’omologazione e non seguire pedissequamente e ciecamente le mode. Concepire un concetto unico, proprio, originale e nuovo.”
Qual è il valore aggiunto che può attirare il cliente
“Qualità del servizio e del prodotto, la preparazione degli addetti. Inoltre ogni cosa deve avere un suo inossidabile e strasolido “perché”. La scelta dei prodotti, le divise, gli orari, la fascia di prezzi, gli orari di apertura.”
Quanto incide la liberalizzazione delle licenze?
“La liberalizzazione delle licenze ha messo tutti potenzialmente in condizione di aprire una nuova attività. E di fatto questo è successo: è aumentato in assoluto il numero di attività ed inevitabilmente è aumentato il numero di attività in mano ad incompetenti e/o improvvisati. Credo che questo non giovi al settore, e nemmeno al comparto “commercio” in senso lato. Sarebbe stato forse meglio il contrario: renderlo più difficile, con test, esami, dimostrazioni di competenze specifiche; documentazione di comprovata esperienza nel settore.”
Secondo lei, perché molti chiudono nell’arco di un anno dall’apertura?
“Secondo me perché non dispongono di un progetto strutturato e credibile. Magari aprono senza avere un vero piano concepito, studiato, approfondito, evoluto e sudato con sette camicie. E senza la spinta motivazionale, professionale ed emozionale necessarie e sufficienti.”
In che modo si informa e analizza i format di successo in Italia e all’estero?
“Credo sarebbe utile e importante farlo, ma purtroppo non ne ho il tempo.”
Quanta importanza ha la comunicazione della propria attività, del Caffè Terzi, come fosse un vero e proprio brand?
“Secondo me ogni attività in proprio dovrebbe essere un vero e proprio brand e dovrebbe inequivocabilmente apparire tale agli occhi della clientela. Poco importa se si tratta di una unica unità, di una catena o di una multinazionale che gestisce diversi settori e diverse catene. Ogni nuova attività dovrebbe saldamente fondarsi su tutti i requisiti che possono “assicurarne” la sopravvivenza e la redditività. Indifferentemente che si tratti della Latteria di quartiere della signora Marisa o del megacomplesso “Fabbrica Italiana Contadina” Fico aperta dal patron di Eataly. Quando questo non succede, anche gli appena citati fantasmagorici e faraonici progetti vanno in rosso… Dopodichè la comunicazione “spetta” ai clienti. Sono loro infatti che devono restare esterrefatti, affascinati, convinti; coinvolti e rapiti dal concetto proposto, tanto da volerne a tutti i costi parlare a tutti.”
Per ampliare il bacino di utenti, è necessario creare un ibridazione tra caffetteria e altri settori diversi dall’hospitality, come le librerie ad esempio?
“Sarebbe una bellissima idea secondo me. Abbiamo tentato, a Vignola, ma abbiamo trovato ostacoli da parte delle istituzioni. Sarebbe bellissimo e utile, ma non necessario, secondo me. Con un buon progetto, con una gestione oculata, proponendo una caffetteria “all’Italiana”, è possibile gestire e guadagnare anche solo con il caffè. Certo non usando 15/20g/battuta e/o impiegando 3/4 minuti per estrarre un espresso.”
Quanto investe in termini di strategie social?
“Strategia è una parola grossa… Innanzitutto non ci spendo nemmeno una lira, così come non ho mai speso una lira in pubblicità. Vi dedico un po’ di tempo, pubblicando cose che a me sembrano interessanti e che leggerei volentieri. Ma non è frutto di una vera e propria strategia.”
Quanto ha inciso invece la scelta e l’allestimento di design della location del Caffè Terzi?
Risponde ancora il gestore del Caffè Terzi: “Credo abbia inciso moltissimo. Io ci ho creduto moltissimo e credo ancora oggi che per ogni nuova apertura sia un aspetto che incide moltissimo. È comunicazione urlata ed inequivocabile, che raggiunge in maniera netta e perfettamente intellegibile tutti coloro che entrano in negozio. Tutti coloro che solamente entrano.
Sia che consumino/spendano sia che no. In questo modo l’allestimento e tutta la clientela “lavorano” (gratis) per il gestore. Però anche questo deve far parte di un solido progetto. Non metterei in un locale stile classico ed elegante baristi in maglietta e jeans stracciati, dall’aspetto trasandato e magari musica rap o heavy metal a manetta.”