MILANO – Domenica il quotidiano della capitale Il Messaggero, a firma di Luca Ricci, ha commentato i lusinghieri giudizi del quotidiano statunitense Washington Post sul caffè romano. Giudizi coincidenti con quelli di un’analoga inchiesta usciti sul quotidiano tedesco Süddeutsche Zeitung. Che cosa ne pensate? Siete d’accordo anche voi che l’espresso servito a Roma, per lo meno quello nei locali che leggete qui sotto, e che di sicuro conoscete, possa essere considerato il migliore del mondo?
Caffè romano, un amore Usa
Per capire il rapporto che gli americani hanno con il caffè non c’è niente di meglio che una scena di un vecchia commedia di culto intitolata «L’aereo più pazzo del mondo». Gli sventurati passeggeri di quel volo venivano informati da una hostess che il capitano era stato avvelenato da una partita di cibo avariato, inoltre anche il secondo pilota non si sentiva tanto bene, il velivolo stava perdendo quota e c’era il rischio di precipitare. Le notizie tutto sommato venivano accolte con filosofia, ma poi la hostess commetteva un imperdonabile errore, tra le altre cose ammetteva che era finito il caffè: in meno di un istante a bordo si scatenava il panico.
Roma città del caffè
Alla luce di questa scena la notizia che il quotidiano Washington Post abbia incoronato Roma come il posto dove si può bere il caffè migliore del mondo ci deve un po’ inorgoglire. Oltre ovviamente a riempirci di tenerezza visto che in fondo si tratta di un luogo comune, vero ma altrettanto risaputo: affermare che l’Italia sia la Mecca del caffè è un po’ come dire che in Russia usano il colbacco o che l’Australia è piena di canguri o che la Cina è molto popolosa. Per alcuni questa nuova luna di miele che la stampa statunitense sta vivendo con Roma sarebbe opera del film di Woody Allen «To Rome with Love», che avrebbe saputo finalmente dare un seguito al mito cinematografico della Citta Eterna dopo l’altro celebratissimo e citatissimo film «Vacanza romane».
Turisti a caccia del caffè romano
Sia come sia quest’estate aspettiamoci orde di turisti americani pronti a tutto pur di accaparrarsi un espresso al Sant’Eustachio, o al Caffè Greco, o da Rosati, o alla Tazza d’oro (tutti locali che il Washington Post, diligente, non si è lasciato sfuggire l’occasione di menzionare). E d’altronde come dargli torto? Al Caffè Greco di via dei Condotti, attivo fin dal 1760 (tra gli antesignani occorre citare almeno il Caffè del Veneziano e il Caffè degli Inglesi), si favoleggia che avesse fatto una capatina perfino Giacomo Casanova, come a voler stabilire un filo diretto tra caffè e donne, due modi diversi ma in fondo simili per dare godimento ai sensi, per trastullare l’anima attraverso i piaceri carnali, e per accendere il desiderio.
Dopo il seduttore veneziano molti altri si fermarono nelle salette di quello che fu, se non il più antico, il primo vero locale cosmopolita di Roma: Nikolai Gogol, Franz Liszt, Stendhal. L’ubicazione gli aveva giovato: piazza di Spagna, via Margutta e via Sistina erano diventate da tempo colonie artistiche, e tutta la zona era tappa irrinunciabile di quel Gran Tour che i giovani intellettuali europei intraprendevano come rito di passaggio dalla giovinezza alla maturità. Il caffè Aragno in via del Corso dal 1888 al 1955- prima di diventare il sancta sanctorum della letteratura, dell’arte e del giornalismo nei primi trent’anni del novecento (frequentarono le sue sale tra gli altri Emilio Cecchi, Vincenzo Carderelli, Ardengo Soffici e F.T. Marinetti)- è stato a tutti gli effetti il ritrovo politico dell’Italia post risorgimentale e della nuova capitale.
Frequentato da tutte le più alte cariche del nuovo stato, politici e diplomatici in primis, si diceva che se ne entrava da sovversivi e se ne usciva da conservatori arrabbiati e nazionalisti, dannunziani e colonialisti. Ma è soprattutto negli anni cinquanta-sessanta, quelli insomma della cosiddetta dolce vita, che il caffè divenne un rito sociale più che una semplice consumazione al banco. Erano gli anni dei Fellini e dei Flaiano, dell’America cinematografica che si era spostata sul Tevere, delle notti folli illuminate dai flash ancora rudimentali dei paparazzi.
I vip al bar
C’erano tutti: Alberto Moravia assieme alla moglie Elsa Morante (abitavano in via dell’Oca, proprio a due passi da piazza del Popolo), Pasolini, Siciliano, Arbasino. Le due zone che si spartirono il potere furono via Veneto e piazza del Popolo e i nomi dei loro caffè, messi uno dietro l’altro, ricordano la formazione di un’imbattibile squadra di calcio. I Rosati (sono stati due), il Caffè Canova, il Caffè Bussi, il Caffè Strega, il Caffè de Paris . Per anni ai tavolini di quei caffè si misero in cantiere la preparazione di molti film, si aprirono o si chiusero giornali, si stabilì il vincitore di un premio letterario, si avviò o si stroncò la carriera di un attore o di un’attrice. Insomma più che di una rettifica la notizia del Washington Post avrebbe bisogno di un corollario: il caffè a Roma sarà anche il più buono del mondo, ma raramente sorseggiarlo è stato privo di conseguenze.
Fonte: il messaggero