MILANO – A pochi mesi dall’attesa revisione della International Agency for Research on Cancer, gli esperti italiani si sono dati appuntamento al convegno organizzato da Italian Coffee Association per fare il punto sul ruolo del caffè sulla salute alla luce delle più aggiornate evidenze dalla ricerca scientifica. (Nella FOTO l’intervento del Professor Giorgio Graziosi esperto di genetica del caffè).
Amato o attaccato per i suoi presunti effetti negativi sulla salute, il caffè è da sempre tra le bevande più consumate al mondo. Oggi, dopo 9.400 studi scientifici, sviluppati dal 1990 in poi, che lo hanno posto sotto la lente di ingrandimento, ne sappiamo molto di più, anche se le modalità con cui vengono effettuati molti
studi non sono spesso univoche: dipendono dalla grandezza della tazza (ovvero quantità di bevanda), dal tipo di miscela o dal tipo di preparazione presi in esame. E da qui spesso nascono problemi di interpretazione soprattutto negli studi epidemiologici.
“Ormai sono stati eliminati quei fattori confondenti di tipo ambientale e di stile di vita (come ad esempio il fumo) che hanno determinato la correlazione negativa su caffè e salute e, dopo decenni di ricerche, il caffè è stato eletto ad alimento importante all’interno di una sana ed equilibrata alimentazione. Inoltre, è stato dimostrato che se bevuto nelle dosi consigliate di circa 300 mg ( ovvero 4-5 tazzine di espresso, 3-4 di tazzine preparate con la moka o 2,5 tazze di caffè americano) non produce alcun effetto negativo sull’individuo sano, anche per il suo importante potere antiossidante. Ed in taluni casi, come ad esempio per la cirrosi epatica e per il diabete, può persino svolgere un’importante azione preventiva” – introduce Amleto
D’Amicis, Coordinatore Scientifico del convegno, già Direttore UO INRAN.
Di fronte ad un problema di salute, è necessario trovare le risposte negli studi clinici svolti su una particolare problematica. “ In questo caso, è stato necessario valutare gli effetti del consumo del caffè in persone in buona salute,
clinicamente sane, alla ricerca di prove dell’esistenza di effetti, favorevoli o sfavorevoli, ulteriori rispetto alle ben note doti del caffè di rappresentare una bevanda gradevole e in grado di esercitare effetti favorevoli sull’attenzione e sulla concentrazione mentale per attività intellettuali e operative – afferma Gianpaolo Gensini, Professore Ordinario Medicina Interna e Presidente del Centro Studi di Medicina avanzata. “Negli anni recenti, inoltre, un amplissimo studio del National Institute of Health1 condotto in 229.119 uomini e 173.141 donne dai 50 ai 71 anni ha permesso di rilevare una riduzione della mortalità totale, di quella da patologie cardiocerebrovascolare, diabete, infezioni, traumi ed incidenti. Quindi ormai disponiamo
di buone evidenze, basate su studi di qualità, che il consumo di caffè non implica rischi particolari per la salute, ed è associato con una riduzione assai significativa della mortalità”.
1 (N Engl J Med.2012 May 17;366(20):1891-904. doi: 10.1056/NEJMoa1112010. Association of coffee drinking with total and causespecific mortality. Freedman ND1,Park Y,Abnet CC,Hollenbeck AR,Sinha R.)
Nelle ultime quattro decadi un enorme numero di studi epidemiologici ha associato il consumo di caffè e l’insorgenza di neoplasie, riportando però risultati inconsistenti. Come spiega Sabina Sieri, Ricercatrice in Epidemiologia Nutrizionale Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – “Alcuni studi hanno messo in evidenza come il consumo di caffè possa proteggere da alcuni tipi di tumore, come il tumore del colon-retto, del fegato e dell’endometrio. I risultati dei recenti studi pubblicati sull’effetto del caffè sono sorprendentemente positivi rispetto alle convinzioni del passato, in cui bere caffè era considerata un‘abitudine poco sana. I dati mostrano infatti come non vi sia un’associazione positiva tra il consumo di caffè e il rischio di sviluppare un tumore”.
Sono importanti anche le novità per quanto riguarda la correlazione tra caffè e sistema cardiovascolare. “Gli effetti sulla salute cardio-vascolare sono stati studiati sia tenendo conto del consumo della bevanda sia in relazione alle singole componenti del caffè. riferisce Luca Scalfi, Professore Ordinario di Fisiologia presso l’Università degli Studi di Napoli Federico II. “Vanno inoltre considerate le varie modalità di preparazione del caffè come anche la possibile assunzione di caffè decaffeinato. Gli studi clinici e di epidemiologia nutrizionale e le relative meta-analisi indicano in modo univoco che il caffè, ai livelli di consumo che si ritengono usuali, non ha conseguenze negative ma, al contrario, potrebbe essere associato a una riduzione
del rischio per malattie cardiovascolari. Restano da identificare con più certezza le componenti della bevanda responsabili di tale effetto”.
Anche prendendo in esame le malattie gastroenteriche si conferma l’azione protettiva del caffè. “Consumare caffè” – spiega Daniele Del Rio, Professore Associato di Nutrizione Umana presso l’Università degli Studi di Parma “sembra che possa proteggere dal rischio di incorrere in malattie croniche del tratto gastrointestinale e del fegato e qualche possibile meccanismo coinvolto in questa attività protettiva sta emergendo in maniera sempre più chiara. Noi ricercatori e clinici dobbiamo compiere un ulteriore sforzo di ricerca per comprendere a pieno la complessità della relazione tra il consumo di caffè e la salute, disegnando ricerche di laboratorio e studi sull’uomo che confermino e rafforzino le evidenze ottenute fino ad oggi”.
Il convegno ha affrontato non solo il tema della salute ma anche aspetti più tecnici in termini di varietà e tostatura. Del caffè e dei suoi chicchi conosciamo il profumo, sappiamo che ne esistono di diverse varietà, quali Arabica e Robusta. Ma di cosa è fatto un chicco di caffè, quale è il suo DNA? Giorgio Graziosi, Professor of Coffee Genetics all’Università di Trieste spiega che – “Il DNA di un chicco di caffè contiene tutte le informazioni necessarie per lo sviluppo di nuove generazioni, varia costantemente da una specie all’altra e si usa per distinguere tra la specie Arabica e Robusta oltre che per identificare varietà diverse all’interno di queste due tipologie. La maggior parte del DNA viene però danneggiata durante i procedimenti di tostatura e macinazione anche se per fortuna siamo riusciti a sviluppare alcuni metodi di recupero di una sufficiente quantità di DNA tali da permetterci di eseguire prove di identificazione di specie”.
Tostatura e torrefazione, due processi imprescindibili per ottenere ciò che poi diventa quello che noi conosciamo come caffè, ma che, in entrambi i casi modifica la “natura” del chicco. “L’iniezione di energia termica nei chicchi di caffè verde, detta volgarmente torrefazione, crea infatti una quantità di composti chimici non presenti nella derrata allo stato crudo. Mentre molti di essi sono importanti solo per l’aspetto sensoriale (colore, aroma…) dove contribuiscono all’attrattiva della bevanda, altri producono effetti sulla fisiologia del consumatore che possono essere visti sotto una luce più o meno favorevole. Ecco perché è fondamentale che vi sia un accurato controllo delle condizioni di tostatura”- conclude Marino Petracco, Ingegnere Chimico e docente scientifico all’Università del Caffè di Trieste.