domenica 22 Dicembre 2024
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L’espresso napoletano e l’arte di prepararlo lanciati da change.org verso l’Unesco

Il caffè a Napoli, non solo è consolidata abitudine alimentare (come dimostrano i dati sul suo consumo che vede la città partenopea ergersi a capitale italiana della bevanda), ma è anche costume e peculiarità culturale.

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MILANO – L’espresso è una bevanda vissuta come tratto culturale che contraddistingue l’italianità nel mondo. Al punto che è in corso da tempo il procedimento per riconoscere l’espresso italiano come patrimonio immateriale dell’Unesco. Ma non è la sola iniziativa che prende in considerazione la tazzina. Bisognerà scendere dal livello nazionale a quello regionale, anzi, addirittura puntando la lente su una città in particolare: Napoli. E sì, perché l’espresso napoletano viene sentito come una ricetta a sè stante. Tant’è vero che, parallelamente all’iniziativa portata avanti dal Consorzio di tutela dell’espresso italiano tradizionale che è presieduto dal Conte Giorgio Caballini, si è aggiunto successivamente su Change.org, un sito che si occupa di petizioni, un avviso relativo alla candidatura dell’espresso napoletano come patrimonio dell’Unesco.

Caffè napoletano: la proposta sul tavolo dell’Unesco

Si chiede che l’arte dell’espresso napoletano sia inserita nella lista dei beni immateriali tutelati dall’Unesco come patrimonio dell’umanità perché elemento fondante e caratterizzante della vita e della cultura napoletana e italiana.

L’espresso a Napoli è tradizione sin dai tempi della “cuccumella”, la prima caffettiera con filtro, detta la “napoletana” anche se inventata dal francese Morize nel 1819. Proprio con quel tipo di estrazione ancora oggi in grande smalto, si superò il sistema turco ad infusione e si aprì l’epoca del caffè moderno. Molti anni prima della Moka, altro punto di riferimento per l’espresso italiano preparato a casa.

Quest’ultimo prende forma nel caffè espresso, il caffè ristretto da bar preparato con una miscela particolare di qualità differenti di caffè e servito nella classica “tazzulella” bollente.

Il caffè a Napoli, non solo è consolidata abitudine alimentare

Così come dimostrano i dati sul suo consumo che vede la città partenopea ergersi a capitale italiana della bevanda, ma è anche costume e peculiarità culturale. Bere un caffè al bar, infatti, è un momento d’aggregazione e d’incontro. Il tramite quasi necessario per il napoletano per l’interscambio umano, sociale e culturale.

Ne è riprova il fatto che, più che altrove, il napoletano preferisca sorbire il caffè in compagnia – emblematico in tal senso Massimo Troisi che diceva che bere da soli l’espresso è il massimo dell’umana solitudine – arrivando spesso a condividerlo anche con uno sconosciuto che berrà il caffè sospeso da lui offerto.

L’espressione o la pratica del caffè sospeso – l’antica e generosa usanza napoletana consistente nel lasciare pagato al bar un caffè per una persona sconosciuta che così, pur non avendo la disponibilità economica, potrà comunque berlo – sta oggi varcando i confini nazionali; proponendosi nel mondo intero.

Il caffè a Napoli è storia

Introdotto durante l’epoca borbonica dalla regina Maria Carolina è stato reso celebre e celebrato da Gioacchino Rossini – che beveva una ricetta gourmet (caffè barbajata) – dalla martire della Rivoluzione Partenopea Eleonora de Fonseca Pimentel – che volle sorseggiarlo come ultimo desiderio prima d’essere giustiziata – dai grandi interpreti del Cafè Chantant durante la Belle Époque, dai grandi del cinema e del teatro – Eduardo De Filippo, Totò, Sophia Loren, Massimo Troisi, Eduardo De Crescenzo – e dai massimi interpreti della musica napoletana ed italiana come Domenico Modugno, Pino Daniele e Fabrizio De André.

Pertanto, per la sua valenza storica e culturale, si auspica che l’arte del caffè napoletano, vera istituzione della società partenopea e italiana, riesca ad ottenere il giusto riconoscimento.

Al link in azzurro è possibile firmare l’appello e aiutare a candidare l’Arte del caffè napoletano a patrimonio Unesco.

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