MILANO – Lavazza resterà italiana e indipendente. Anche se sul mercato del caffè si stanno affacciando le superpotenze della finanza (multinazionali, grandi fondi e magnati), attirate dai ritmi di crescita e dai margini di profitto. «In futuro per aver accesso ai mercati internazionali, come per esempio la Cina, dovremo pensare ad allearci con grandi player mondiali – precisa il ceo, Antonio Baravalle (foto) – ma il nostro obiettivo è rimanere italiani e indipendenti, vogliamo esportare nel mondo la miglior coffee italian experience, quella di un’azienda che produce espresso dal 1895 e che appartiene alla stessa famiglia da 4 generazioni».
Leadership La dichiarazione di intenti del manager del gruppo piemontese, leader italiano del caffè con una quota del 48 per cento, è stato declinato dalla famiglia proprietaria in un piano industriale che prevede 160 milioni di investimenti tra lo stabilimento di Gattinara in provincia di Vercelli e il nuovo centro direzionale di Torino.
Una scelta di radicamento territoriale che conferma che, in un settore come l’alimentare e in particolare nel caffè, la patente di made in Italy è un valore aggiunto, non un handicap. Investire in Italia per rafforzarsi all’estero è la strategia che Lavazza ha scelto per rispondere alla concentrazione che sta trasformando il settore di riferimento a livello mondiale.
«Intendiamo strutturare la nostra azienda – precisa Baravalle – e sederci ai tavoli con i grandi player per poter trattare da una posizione di forza e non di debolezza».
Consolidamenti Il mercato mondiale del caffè valutato 65 miliardi di dollari e con una crescita del 4-5% l’anno negli ultimi 20 anni, vede colossi come Nespresso, Mondelez in posizione dominante seguiti da una decina di protagonisti internazionali, tra cui all’ottavo posto Lavazza, e poi da una miriade di produttori nazionali e regionali.
Lo scenario lascia intravedere, nel giro di qualche anno, una situazione simile a quella del mercato della birra dove centinaia di marchi in tutto il mondo sono finiti nell’orbita di tre sole multinazionali (Sab Miller, InBev e Heineken).«Attualmente il mercato del caffè è molto frazionato ? spiega il manager ? per esempio in Italia ci sono oltre 700 torrefattori, così come in Germania e in Usa.
In passato le acquisizioni avvenivano tra aziende solo del settore caffè. Oggi per la prima volta stanno entrando player nuovi ed estranei al settore ma che hanno guidato nei loro ambiti di pertinenza grandissimi processi di concentrazione e penso che nei prossimi 5 anni lo scenario sarà diverso».
Il campanello d’allarme è suonato qualche mese fa quando il fondo Jub Investments che fa capo alla multinazionale Reckitt-Benckiser ha investito più di 10 miliardi di dollari per rilevare prima due torrefattori americani (Pit e Carbou) e poi la D. E Masters Blenders, azienda olandese al terzo posto del ranking mondiale con un fatturato di 2,7 miliari di dollari. E così che è nato un nuovo polo mondiale del caffè (Oak Leaf) che ha dichiarato di voler scalzare dal piedistallo Nespresso.
Nuovi segmenti I fili conduttori di questo processo di concentrazione, sono da un lato le capsule, un segmento che vale il 3% del mercato globale ma che negli ultimi anni è cresciuto al ritmo del 60% l’anno e, dall’altro, le bevande a base di caffè.
In Nord America il cappuccino e tutte le sue varianti proposte nelle catene dei coffee shop valgono 4 miliardi di consumazioni e 10 miliardi di dollari di ricavi. Mentre è ancora da esplorare e conquistare lo spazio dei consumi casalinghi di espresso. È quello il mercato dove il gruppo piemontese intende insediarsi sfruttando la forza del suo brand e il suo know how.
L’obiettivo è di fare del Nord America il secondo mercato dopo l’Italia grazie anche all’accordo industriale, commerciale e finanziario con Green Mountain Coffee Roasters di cui detiene l’8%. Lavazza oggi esporta il 46% del suo fatturato (1,3 miliardi) ma punta portare questa percentuale al 70%.
«Siamo i più piccoli tra i grandi e i più grandi tra i piccoli – sintetizza Baravalle – dobbiamo guardare avanti e sapendo che si sta delineando una nuova geografia del caffè, essere pronti e preparati ad affrontarla». Ma senza delocalizzare. Non è un caso se dei 60 milioni destinati all’ampliamento dello stabilimento di Gattinara il 70% è destinato a commesse ad imprese italiane e solo il 30% ad imprese straniere.
Fonte: Corriere della Sera
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