MILANO – I caffè letterari sono da sempre dei luoghi quotidiani, dove ci si riunisce indistintamente, attorno al rito della tazzina.
Caffè letterari: momenti di relax
La scusa per rimediare un incontro, una dimostrazione di affetto o semplicemente un’abitudine che ci accompagna da sempre. Ma la sua origine, l’origine dello spazio per il caffè, è antica.
I salotti culturali: i progenitori dei caffè letterari
Questi affondano le loro radici nell’antica Grecia, dove all’epoca venivano svolti attraverso la pratica del simposio. L’unico fine era l’intrattenimento dell’élite.
Questi incontri erano particolarmente amati dalle menti geniali, dagli intellettuali, dai filosofi.
Con il trascorrere del tempo, diventarono dei veri e propri circoli di cultura da cui nascevano nuove idee, nuove forme di pensiero. Fino ad assumere, intorno al XVI secolo, una connotazione più borghese.
Luoghi ricettivi alle innovazioni
Oggi la diffusione delle nuove tecnologie, il mondo del web e dei social, in che modo ha cambiato il volto dei caffè letterari?
La risposta ci viene data da Napoli. Considerata una delle capitali culturali non solo italiane ma anche europee. Dove i diversi caffè che decollarono non furono pochi.
A Napoli, mai come in altri posti fino ad allora, i caffè letterari erano intesi come veri e propri luoghi culturali.
Sedersi al tavolo di uno di questi locali equivaleva ad intavolare una discussione letteraria, assistere ad uno spettacolo; dare vita ad un giornale, scrivere un romanzo, una poesia.
Tante sono le leggende, i miti
Il più famoso riguarda la funzione predittiva del caffè (rito magico della cafeomancia o lettura dei fondi del caffè).
Tante sono le canzoni che gli sono state dedicate
“’A tazza ‘e cafè”, scritta da Giuseppe Capaldo, è tra le più antiche.
In questo brano, il poeta paragona la donna, una in particolare, ad una tazza di caffè, che come tale, basta girare e rigirare per far sì che il dolce depositato sul fondo affiori.
Il caffè fu portato anche sul palco del festival di Sanremo ad opera di vari artisti, mentre a quello napoletano ne fu fatto un inno: “’O Cafè” di Domenico Modugno.
“Ah, che bellu cafè,
sulo a Napule ‘o sanno fa’
e nisciuno se spiega pecché
è ‘na vera specialità!”
Il ritornello fu poi ripreso da Fabrizio De Andrè in “Don Raffaè”, canzone che denuncia la sottomissione dello Stato alla mafia. Tra i vari brani a sfondo sociale, vi è anche “Na tazzulella e Cafè”. Di uno tra i più grandi artisti che la città ha regalato alla storia della musica italiana, Pino Daniele. Dove la bevanda viene vista un mezzo per sollevarsi dalle gravi problematiche.
Alcuni Caffè letterari fonte di ispirazione
Si narra che il primogenito sia il “Caffè dell’Infrascata”. Locale sorto nella seconda metà del Settecento. Lungo quella che oggi viene chiamata via Salvator Rosa.
Mentre in via San Giacomo nacque il “Caffè Guardati”. Iniziatore di recenti leggi a tutela della salute, dotato di due sale. La prima, dove era vietato fumare; e la seconda dov’era ammessa l’accensione del sigaro.
I caffè letterari ricoprirono un ruolo rilevante anche in ambito politico
Difatti furono dei punti di incontro per diversi partiti (anche rivoluzionari). Il “Caffè delle Quattro Stagioni” (all’epoca situato in via del Molo) era noto per i raduni di bohémien napoletani.
Proprio al suo interno fondarono la redazione giornalistica de “Il Caffè del Molo”. Un periodico critico-letterario che andava contro i valori tradizionali.
Il greco Demetrio Gallo
Tra i portatori della tradizione e dell’industria napoletana del caffè come bevanda, fondò agli inizi dell’Ottocento uno di quelli che sarebbero stati i caffè più celebri di Napoli.
La preparazione avveniva in maniera molto artigianale. Si facevano bollire acqua e caffè in una grande pentola di terracotta; una volta pronto, il tutto veniva offerto in dei misurini a forma conica, anch’essi di terracotta.
Suo malgrado, Gallo cedette dopo poco il locale ad un commesso; ma questi non perse tempo e ideò una nuova bevanda(elisir), padre del famoso Fernet.
La vera svolta
Questa avvenne quando il caffè passò alla gestione di Gennaro Molaro, che con l’aggiunta di una piccola pedana e un pianoforte, lo trasformò in un luogo più moderno.
Il successo fu quasi scontato, dal momento che i Molaro erano una nota famiglia di caffettieri napoletani.
Un particolare a dir poco curioso è quello del “Caffè Dante Alighieri”, che esisteva di notte e scompariva di giorno. Ogni sera, superata la mezzanotte, in piazza giungeva un uomo trainante un piccolo carro.
Questo si fermava sotto un grande balcone su cui spiccava l’insegna “Società Dante Alighieri”. Noncurante, cominciava a sistemare un fornello a carbone su cui metteva a cuocere il caffè all’interno di una grande cuccuma (predecessore della moka); per poi smontare tutto verso le sei del mattino.
Tra la metà e la fine del secolo
Crebbero in numero sempre maggiore i caffè-concerto. Questi, oltre ad essere un luogo di ritrovo, spesso erano l’unico mezzo di sostentamento per gli artisti musicali.
Tra i più popolari, si ricorda il “Caffè del Commercio” che organizzava e promuoveva i suoi spettacoli perfino con manifesti; e la “Birreria Monaco”, la cui inaugurazione si dice sia avvenuta tramite l’esibizione di un gruppo di posteggiatori (‘E figlie ‘e Ciro); divenuti in seguito un vero e proprio quartetto musicale.
Il “Caffè Turco” in piazza Plebiscito, grazie a Salvatore Fiocca(proprietario) che lo dotò di un vero e proprio palco. Poi scritturò un’orchestra di settanta persone, composta dalle migliori sciantose e i più noti macchiettisti, salì in cima alla lista.
Quando a varcare il palco era Mongelluzzo, grande comico, il locale era gremito di persone, tanto che anche il tram 18 si fermava a grande richiesta dei passeggeri.
Mongelluzzo fu l’ispiratore delle smorfie e dei lazzi di Gustavo De Marco, che a sua volta ispirò Totò.
Un altro pilastro è il Salone Margherita
Inaugurato il 15 novembre 1890 e sito nella Galleria Umberto I, incomparabile ad ogni altro. Qui vi si recarono le personalità più famose, spaziando dal mondo letterario fino a quello musicale e teatrale.
Una figura di spicco nel mondo del caffè-concerto era la chanteuse (cantante)
Di cui il termine sciantosa ne costituisce una sorta di storpiatura della lingua napoletana. All’inizio vista come la diva del teatro d’opera in piccolo, con il passare del tempo, acquisì sempre più la connotazione di donna inebriante. Ciò divenne il motivo peculiare dei suoi numerosi spettatori.
Lungo l’antica via Toledo
Dopo la metà del secolo, nacque il “Caffè Croce di Savoia”, che rispetto agli altri era aperto giorno e notte. Per questa ragione, cominciò ad essere frequentato da classi sociali sempre più variegate.
In particolare dall’aristocrazia partenopea che spesso vi si recava dopo gli eventi mondani e dalla maggior parte degli artisti, che a notte fonda si riunivano per ideare potenziali successi musicali. È in questo contesto che sono nate alcune delle più celebri canzoni napoletane (’O sole mio, Marechiaro e cc.).
Teatro. Realtà. Caffè
Queste tre parole fanno pensare a qualcosa, certo, non formeranno una frase di senso compiuto, ma di sicuro rinviano ad un altro pezzo di tradizione identitaria.
Non disposte a caso, poiché il vero teatro in quanto raffigurazione della realtà deve osservarla, assimilarla.
Molte opere, molti autori ne hanno parlato, ma prima di lui, nessuno è stato in grado di portarlo al centro della scena.
Con Edoardo De Filippo, maestro del teatro, la nera bevanda fumante assume un ruolo di vero e proprio protagonismo; soprattutto in alcune delle sue opere più amate (“Natale in casa Cupiello”, “Napoli Milionaria” …).
Il più grande elogio al “rito” del caffè è nel monologo di “Questi Fantasmi”
In cui Pasquale Lojacono dà alcuni consigli e qualche segreto al Professor Santana (inquilino del palazzo di fronte) per preparare un buon caffè.
Gran parte dei caffè storici che ebbero successo a Napoli (alcuni citati in questa sede), oggi sono come scomparsi. Ma meritano di emergere dal passato ed essere sempre menzionati.
Caffè letterari ancora attivi
Tra questi, (“Gran Caffè La Caffettiera”, “Gran Caffè Cimmino” e cc.), ce n’è uno che è riuscito a resistere in modo particolare al progresso: il “Gran Caffè Gambrinus”.
Il suo nome deriva dal mitologico re delle Fiandre (Joannus Primus), considerato patrono della birra. La storia è abbastanza travagliata. Ci sono voluti decenni affinché il locale riuscisse ad affermarsi.
In origine fu nominato “Gran Caffè” e gestito da Vincenzo Apuzzo
Lui fu costretto a chiuderlo perché visto da Mariano Vacca (altro caffettiere famoso) uguale ad altri due.
Dopo qualche tempo, Antonio Curri (architetto e pittore) lo ristrutturò completamente e ne fece una vera e propria galleria d’arte.
Il 3 novembre 1890, il locale prese il nome di “Gran Caffè Gambrinus”. Per via delle sue numerose entrate, fu subito ribattezzato dal popolo napoletano come il “Caffè delle sette porte”.
Strutture amate da molteplici personalità
Tra cui Totò, Jean Paul Sartre, Benedetto Croce. Tra i tavolini di questo locale si sedette D’Annunzio che compose la poesia “’A Vucchella”; Oscar Wilde dopo la prigione, e Matilde Serao che fondò “Il Mattino”.
Uno degli aspetti meno felici, è che il locale costituì anche la meta degli oppositori fascisti, che condussero alla sua chiusura e cessione quasi completa al Banco di Napoli.
Intorno alla metà del Novecento fu riaperto da Teresa Pagano
Ddiede comunque impulso ad una battaglia per riavere le sale originarie, iniziata da Michele Sergio e poi vinta dai figli.
Il Gambrinus, emblema del caffè napoletano
Deve il suo successo oltre che per il fascino della sua struttura in stile Liberty, alla sua posizione strategica: è ubicato in uno dei punti più vivi di Napoli.
All’epoca, era tra i più noti cafè chantant, frequentati soprattutto da nobili, bohémien, ma non solo. E’ anche il luogo dov’è nata la pratica del “caffè sospeso”.
Personaggi, artisti di ogni genere amano riunirsi tutt’oggi in questo luogo per importanti meeting. Per girare dei set, o semplicemente per centellinare un caffè davanti a un buon libro, mantenendo intatta l’antica tradizione culturale.
Piazza Bellini, attivi diversi caffè letterari
Tra questi, il “Caffè Intra Moenia”. Fondato alla fine del Novecento dall’omonima casa editrice, che costituisce anche un punto di incontro per i ragazzi.
In questo locale vengono organizzate serate musicali, mostre, presentazioni. Con l’intento di accentuare ancor di più il piacere della lettura.
Il “caffè Evaluna/Il Taschino”
Derivato dalla fusione dell’antica libreria Evaluna, conosciuta per la sua valorizzazione della figura femminile e per i suoi eventi variegati; con “Il Taschino”. Locale noto di via Chiaia per la sua vita notturna. L’obiettivo era quello di far convergere la cultura con lo svago.
Lungo via Mezzocannone invece, sorge il “caffè Archeobar”. il cui nome deriva dalla grande passione dei proprietari per l’archeologia.
Non a caso, questi è anche la sede dell’Associazione degli archeologi napoletani “TerrAntiqua”. Volta alla valorizzazione culturale del territorio.
Questo locale è maggiormente frequentato dagli studenti universitari, che li accoglie con una sorta di “sala libreria” al cui interno vi sono più di cinquecento testi.
Infine, non può mancare il “Caffè della stampa”
Sito in piazza San Gaetano. Un locale dedito ai “portavoce” della città, i giornalisti. Con l’obiettivo di riportare la zona indietro nel tempo, a quando costituiva il centro cittadino.
Un luogo ambivalente, dove tecnologia e arte si incontrano
Infatti, sul bancone del caffè è raffigurata la “Lettera 22”. (antica macchina da scrivere, tra i prodotti della Olivetti che negli anni cinquanta ebbero maggior successo).
Sulle pareti invece, sono affisse testate giornalistiche provenienti da ogni parte del mondo. Per quel che concerne la tecnologia, vi è una rete wi-fi sempre attiva. Assieme a schermi sintonizzati su diversi notiziari.
Un “piccolo-grande percorso”
I caffè letterari napoletani resistono ancora oggi al furioso vortice del web. Grazie anche ai tè letterari fondati da varie case editrici, che costituiscono un’occasione per affacciarsi allo sfarzo che ha prosperato nel passato.