MILANO – Dici caffè e pensi a piantagioni sterminate in America Latina e Africa. O, al massimo, al nostro Eduardo De Filippo. In ogni caso, non verrebbe mai in mente a nessuno il Giappone. Eppure anche il Sol Levante ci ha messo lo zampino: si deve al dottor Satori Kato, un chimico nippo-americano, l’invenzione del caffè istantaneo (o, com’era chiamato all’epoca, il “just-add-hot-water coffee”), nel 1881.
Caffè istantaneo, dall’Oriente conquista il mondo
Un ritrovato gastronomico oggi diffusissimo e apprezzato in tutto il mondo. Eppure, tra l’ invenzione e l’immissione sul mercato in larga scala, avvenuta il 24 luglio 1938, dovettero passare quasi 60 anni. E tutto grazie a una crisi industriale.
Ma andiamo con ordine.
Alla fine dell’Ottocento, Satori si era già guadagnato la sua fetta di celebrità inventando il tè solubile, ancor prima che Thomas Sullivan proponesse la sua soluzione in bustina. Il chimico fu quindi contattato da un importatore americano che, venuto a conoscenza della sua invenzione, gli propose di studiare un preparato simile per il caffè.
L’impresa Kato Coffee
Dal loro accordo nacque la Kato Coffee Company, che nel 1901 formulò la richiesta di brevetto per il caffè istantaneo; presentato – tra l’altro – all’ Esposizione Panamericana tenutasi a Buffalo lo stesso anno.
La storia di Kato, a questo punto, si intreccia con quella di un giovane olandese, sbarcato a New York in cerca di fortuna, George Constant Lous Washington.
Intelligente e ambizioso, Washington studiò il brevetto di Kato e lo perfezionò, mettendo a punto un suo sistema per produrre il caffè istantaneo, che fu commercializzato alla fine del 1910.
C’era ancora qualche problema, perché il sapore non era gradevole quanto quello del caffè classico, ma il Red E Coffee di Washington ebbe comunque un discreto successo. Grazie anche all’inserimento della bevanda nelle dotazioni dei soldati americani, che diffusero la polvere al loro ritorno dalla Grande Guerra.
Il 1938 e la crisi industriale
La vera svolta, comunque, arrivò solo nel 1938. E, come dicevamo, la molla fu una crisi industriale. Nel 1929, infatti, la Banque Française et Italienne pour l’Amerique du Sud sottopose all’attenzione di un suo ex-dipendente, Louis Dapples, che nel frattempo era diventato presidente di Nestlè, la questione dell’ eccedenza di produzione di caffè, rimasto invenduto nei suoi magazzini in Brasile.
Venne chiesto all’azienda di trovare una soluzione per poter convertire le derrate in cubetti di caffè solubile da poter vendere poi ai consumatori.
Il chimico Max Morgenthaler, dunque, tornò a spulciare gli appunti di Kato e Washington e si mise alacremente al lavoro. In nove anni, sviluppò un processo di nebulizzazione ed essiccazione che rendeva possibile la preparazione di una bevanda dal gusto gradevole a partire dai chicchi eccedenti.
In particolare, Morgenthaler scoprì che il caffè si manteneva più a lungo dopo essere stato esposto a temperatura e pressione elevati; il segreto per preservare l’ aroma risiedeva nel creare una polvere solubile con un certo quantitativo di carboidrati.
Conquistata la Nestlè
Il preparato di Morgenthaler, presentato lapalissianamente come “caffè solubile da bere”, convinse i soci di Nestlè. E il 22 luglio 1938 fu immesso sul mercato svizzero con il nome di Nescafè. Il marchio venne esportato nel Regno Unito due mesi più tardi e negli Stati Uniti l’anno seguente. In capo a due anni, era già presente in trenta nazioni del mondo. Oggi, a più di un lustro di distanza, è arrivato praticamente in tutte le cucine.
Fonte: wired