MILANO – Identità Golose, il festival della cucina d’autore ideato da Paolo Marchi, ha portato sul palco anche alcune ricette a base caffè elaborate dagli studenti dell’Unisig, l’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo che è una frazione di Bra (Cuneo). Il caffè, che rappresenta una sfida creativa per gli studenti è Lavazza.
Il colosso di Torino supporta da sempre l’Università di Pollenzo e in questo caso aiuta ogni iscritto (paga la mensa per tutto il corso di studi) e premia tra studenti del master in Ecogastronomia in cucina che si distinguono nella creazione di una ricetta a base di caffè durante il contest finale.
Che significa portare il caffè all’interno del pasto, usato come spezia in molti modi. Il caffè utilizzato Lavazza ¡Tierra! Brasile, particolarmente delicato e che si abbina bene con i diversi piatti. «Molto tondo, molto dolce» lo hanno definito i partecipanti al contest Lavazza che abbiamo incontrato a Identità golose.
Abbiamo approfittato di Identità golose per parlare con due dei premiati sul rapporto tra caffè e cucina alla luce della loro particolare esperienza del master che, come sempre, segue un corso di laurea.
Siamo partiti dal caso particolarissimo di Michela Mattei. Sì perché la specialista che è originaria di Benevento ha portato al master la sua laurea in design e comunicazione. Che c’entra niente con la cucina alla quale si è però dedicata con grandissimo profitto, visti i risultati d’eccellenza.
Perché questo salto dietro i fornelli. Non le bastava la laurea in design e comunicazione?
Michela Mattei: «La mia scelta deriva da una passione infantile per la cucina. Sono cresciuta preparare alimenti con mia nonna. Ho sempre assistito alla preparazione di conserve, vino, uva, olive. Il cibo fa parte della mia quotidianità. Ho poi scelto il design perché ho una mia creatività importante, genetica. La grafica mi riesce bene. Ma visto, il momento, l’importanza del cibo sulle nostre tavole, la provenienza delle filiera. Perché uno dei miei primi interessi del cibo è stata proprio la provenienza degli alimenti.»
Cuoca di successo, designer, esperta di comunicazione. Che cosa vuole fare nella vita?
«Io cucino tutti i giorni, è il mio lavoro principale. Ho già lavorato in diversi ristoranti. Adesso vorrei unificare le mie competenze. Aprire uno studio di design in grado di ospitare anche venti culturali e gastronomici.»
Lei ha vinto un premio con un piatto a base di caffè. Come è andata?
«L’Università di Pollenzo ci ha sottoposto a questa sfida che prevedeva l’uso del caffè in ricette non convenzionali. Quindi non contemplava il tiramisù, per dire. Da lì abbiamo sperimentato a lungo. Approfondendo con Lavazza le varie tipologie d’estrazione del caffè. Quindi a caldo e a freddo. E io in particolare ho deciso di usare il caffè macinato, fresco, senza fare nessun tipo di infusione. Volevo che fosse un ingrediente da assaporare. Da mordere.»
Non è che ha usato il caffè solo macinato perché è più facile?
«In realtà è molto difficile inserire in un piatto il caffè macinato e non fare un’infusione. Nel senso che equilibrarlo con altri ingredienti è complesso. Però riflettendo sulla forza degli altri ingredienti campani che ho inserito nel piatto come il latte di bufala che è acido, sapido e il baccalà che è il pesce dell’entroterra, che è il pesce conservato che in Campania si usa in tutte le cerimonie di festa, sono riuscita a trovare il giusto equilibrio. Tutti e tre gli ingredienti avevano una personalità importante. Il trucco, il segreto era dosarli nella maniera giusta.»
Anche alla luce dell’esperienza dei suoi colleghi lavorare con il caffè in cucina è facile o difficile?
«Adesso per me è facile perché ho superato la fase iniziale. In realtà è un uso molto complesso, perché veniamo da un’abitudine alla bevanda caffè. C’è quindi una sorta di muro da valicare per dimostrarsi aperti alla degustazione di caffè in altre forme. Per questo per un cuoco è molto difficile da usare.»
E usarlo nel senso di maneggiarlo, il caffè?
«È complesso perché si tratta di un prodotto già cotto, già tostato. Presenta degli aromi che sono molto labili. Quindi con le temperature, con i vari tipi di estrazione, si può danneggiare l’essenza e la profondità che il caffè come ingrediente ha. Per esempio non si può abbinare a temperature superiori agli 80 gradi per preservarne le caratteristiche principali».
Dopo questa ricetta a base caffè con Bufala e baccalà a che cosa sta pensando?
«Approfondendo di recente, sempre con Lavazza, tutto il versante degli specialty coffee, estratti con caffè filtro, ho sperimentato l’uso, l’abbinamento del caffè con la melanzana. Sono già riuscita a trovare un altro tipo di equilibrio che comprende il caffè estratto lentamente; quindi privato della parte acida. Anche questo sarà un piatto che ripercorre una tradizione campana che abbina il tostato con la melanzana. Ricordo per esempio la melanzana con il cioccolato.»
Le sue ricette dove e come si potranno assaggiare?
«Sto elaborando un mio progetto di home restaurant, una delle prossime frontiere della ristorazione. La location sarà in Costiera amalfitana.»
All’assaggio il piatto di Michela Mattei, distribuito in una ciotola a tutti i presenti è risultato estremamente interessante, buono, gustoso. Mentre procedeva la degustazione gli esperti presenti hanno avanzato alcune interessanti proposte di dove collocare questo piatto.
Alla fine la soluzione migliore potrebbe essere quella del pre antipasto per l’amaricante del caffè e l’acidità del piatto. Amaricante, è stato detto, proprio come tutti gli aperitivi che sono formulati così per introdurre i cibi. Lo stesso il piatto di Maffei a base di Bufala, latte di bufala, baccalà e caffè in polvere.
Dopo la vincitrice il vincitore. Antonio Coppola ha vinto il contest della Lavazza, la tazzina d’oro per la miglior ricetta a base caffè. «È un premio in denaro offerto dalla Lavazza – esordisce Coppola -. L’ho vinto con questo mio piatto che ho chiamato Viaggio tra continenti, un piccione glassato al caffè.»
Lei che cosa dice sulla difficoltà nell’uso del caffè in cucina?
«Confermo, è molto complicato da utilizzare, delicato da abbinare. Bisogna fare attenzione, usare successive precauzioni per non far risaltare l’amaro ma soltanto il meglio degli aromi che può dare il caffè. Rotondità, tostato. Io l’ho utilizzato, ma nella preparazione del mio piatto non ho mai potuto superare gli 80 gradi. Altrimenti il torrefatto rilasciava sostanze amare che rovinavano il piatto. Per la stessa ricetta l’ho usato in polvere, a crudo, espresso, in grani. Ma sempre facendo grande attenzione alla temperatura che è poi quello che guastare di più il piatto.»
Il caffè lo ha dovuto utilizzare perché partecipava al contest Lavazza. Ma al di fuori di questa gara lei lo usa in cucina?
«Certo, perché il caffè ha un senso in cucina. Basta pensare che non è una bevanda e basta ma è un ingrediente a tutti gli effetti e come tale va utilizzato. Andrebbe anzi sfruttato ancora di più nelle ricette. Perché ha un suo sapore. In questa mia ricetta, per il piccione glassato, ho colto l’suo del caffè come una sfida perché non lo avevo mai utilizzato. E mi ha dato l’opportunità di conoscerlo di più, di capirlo di inserirlo nei miei piatti. tanto che adesso lo uso abitualmente in cucina, nelle preparazioni quotidiane.»
Vedremo più caffè anche in cucina?
«Sì perché è un ingrediente a tutti gli effetti. Recentemente si vanno a ricercare i componenti più assurdi quando invece una serie di aromi interessanti li hanno già tutti nel barattolo nella credenza, quello del caffè. Quindi andrà usato e gli chef lo useranno sempre di più. Ma anche si potrà usarlo anche a casa.»
Torniamo da dove eravamo partiti, dalla ricetta che ha vinto il contest.
«Viaggio tra continenti, perché nel mio piatto ho messo ingredienti provenienti da tutti i continenti. Ed ho utilizzato il piccione che è l’animale che viaggia di più per eccellenza per farmi portare tutti questi ingredienti all’interno del mio piatto. In quasi tutti gli elementi del piatto ho utilizzato il caffè, in polvere, in grani, liquido. L’ho usato per marinare il piccione, per fare la salsa yakitori con anche burro di arachidi ed espresso che serve per glassare il piccione cotto. L’ho usato per cuocere le cosce del piccione in olio aromatizzato con grani di grani di caffè schiacciati. Una cottura particolare a 60° per 5 ore. E l’ho utilizzato in polvere nel crumble che ho messo sopra per finire il piatto stesso e in polvere pure sulle lamine dei porcini. Ho usato anche caperi essiccati e un gel dolce»
Una ricetta non semplice. Ma non teme che con la formula qualcuno gliela possa copiare?
«Sono molto geloso delle mie ricette che costano tanto lavoro, esperimenti e fatica. È molto complessa perché c’è un miscuglio di tecniche che ho imparato negli anni. Spero non sia copiata ma serva come spunto.»
Prossimamente caffè nei suoi piatti?
«Ormai lo uso abitualmente. Con questa salsa Yakitori ed espresso ho condito un panettone a Natale. Si presta a molti sughi, salse e lo sto utilizzando.»
All’assaggio il piatto Viaggio tra continenti è risultato, a detta di chi lo ha assaggiato, buono come deve essere un piatto riuscito. Ma pure gustoso anche grazie all’espresso che si sente senza essere invasivo.