MILANO – In risposta all’articolo uscito di recente e che ha fatto molto discutere, del torrefattore pugliese Antonio Quarta, titolare di Quarta Caffè, si sono esposti anche gli attuali titolari dello storico Caffè Gambrinus di Napoli, Michele Sergio e Massimiliano Rosati. Un locale che certo non ha bisogno di presentazioni e che a pieno titolo può inserirsi all’interno del dibattito attorno alla tazzina e al suo costo.
Per primo interviene Massimiliano Rosati, che si occupa più della parte commerciale del Caffè Gambrinus
“Il discorso del prezzo è qualcosa che mi trova particolarmente sensibile, perché non vorrei che mantenendo un costo basso, si relegasse il caffè ad essere un prodotto di bassa qualità.
Inoltre, mentre per il torrefattore ci sono comunque dei buoni margini di guadagno, per il bar calmierare il prezzo diventa un peso all’interno di un bilancio fatto da diversi costi (affitto, personale, utenze etc) che costringono spesso il titolare a dover fare i salti mortali per garantire l’espresso ad un costo basso.
Questo purtroppo, avviene: spesso si sente di situazioni scorrette che si creano nel tentativo di restare a galla. L’abbassare il prezzo comporta il rischio di mortificare il lavoro dietro al bancone e nei bar e questo poi porta anche all’offerta di caffè scadenti.
Se demonizzeremo sempre il costo più alto del caffè, saremo destinati a bere sempre un espresso di bassa qualità e servito male.
“Al Gambrinus abbiamo aumentato il prezzo dell’espresso, seguendo l’andamento del mercato.”
“Comunque facciamo parte di un campionato diverso dal classico bar, essendo il nostro un locale storico che sente anche una certa responsabilità sulle spalle: il nostro prezzo viene preso come riferimento – siamo a un euro e 60 attualmente – dai nostri concorrenti che ci prendono da esempio e per loro siamo un traino.
Quindi mi sento di dire che aumentare il prezzo del caffè è giusto.”
Michele Sergio si inserisce: “Anticamente a Napoli c’era la cultura di offrire diversi tipi di caffè e di miscela. È un’usanza che da qualche parte si è ancora mantenuta, quindi io proporrei di fissare un prezzo popolare per il prodotto più standard e piuttosto di aumentare la cifra per quello più ricercato.
Il prezzo dipende poi anche dalla location in cui ci si trova: nelle stazioni degli aeroporti o nei luoghi turistici ad esempio. il costo deve per forza essere più elevato. Tutto si basa sul mercato di riferimento: all’estero le cifre sono molto più alte anche perché non sono legati alla tradizione del consumo al banco della tazzina, che è tutta italiana. È normale che un caffè preso in piedi in due minuti, costi meno di uno consumato lentamente e seduti al tavolo.
Poi ciascun titolare conosce e sa fare i propri conti, segue una sua politica in relazione anche alla posizione in cui si trova, alla tipologia di clientela, alla storia, ad un numero infinito di variabili. Si tratta di equilibri delicati che si cerca di mantenere stabili. Si applica in base a tutto questo il proprio prezzo, augurandosi che sia quello adeguato a contenere i costi senza perdere i clienti. A Napoli abbiamo tra i prezzi più bassi delle grandi città italiane: tutti i clienti che arrivano dal Nord ci fanno notare questo fatto.”