MILANO – L’inaugurazione del Caffè Fernanda all’interno della celebre Pinacoteca di Brera, è davvero recente. Le porte del locale infatti si sono aperte al pubblico all’inizio del nuovo anno, i primi giorni di gennaio, incantando i visitatori di uno dei poli turistici più interessanti di Milano. Da quel momento, il locale è diventato tutt’uno con la Pinacoteca, situtato nell’ex ingresso principale. Arredato con uno stile che si rifà al bon ton anni Cinquanta. Con alle pareti molte delle grandi opere d’arte tratte dalla collezione di Brera.
A Fernanda Wittgens si deve la riapertura del museo nel 1950, completamente restaurato da Piero Portaluppi dopo i terribili bombardamenti del 1943. Un lavoro di restauro che inaugura il nuovo capitolo nella storia della Pinacoteca.
Caffè Fernanda deve il suo nome proprio a Fernanda Wittgens
Ma chi era questo personaggio, come ha lasciato il segno nella storia, lo possiamo esplorare attraverso un articolo di Daniela Ambrosio, pubblicato su Elle.com.
“La mia vera natura è quella di una donna a cui il destino ha dato compiti da uomo. Ma che li ha sempre assolti senza tradire l’affettività femminile”. Così scriveva di sé la vulcanica milanese. Insegnante, critica e storica dell’arte. Nonché prima donna in assoluto a guidare un museo italiano – la Pinacoteca di Brera, per l’appunto.
Nata nel 1903 in una famiglia con la passione per l’arte e i musei
Dopo la laurea a pieni voti viene assunta a Brera come “operaia avventizia”, brillando per preparazione e dedizione al lavoro. La sua bravura ed efficienza vengono notate da Ettore Modigliani, allora Direttore della Pinacoteca. Il quale la promuove a ruoli più idonei alla sua preparazione e competenze.
Tempi difficili però si prospettano all’orizzonte
Con le leggi razziali il suo mentore Modigliani viene allontanato. Ma non sarà mai abbandonato da Fernanda, che lo aiuta in più di un’occasione facendogli addirittura da prestanome per un saggio scritto da lui. Nel 1940 Fernanda vince quindi il concorso e diventa finalmente Direttrice di Brera. E’ la prima donna a dirigere un museo in Italia e ha meno di 40 anni.
Quando la guerra incalza, si dà da fare per mettere in salvo dai bombardamenti e dalle razzie naziste le opere di Brera e del Museo Poldi Pezzoli, ma non solo. Oltre all’arte e ai capolavori ci sono le persone. E questo la Wittgens lo sa bene. Si adopera quindi per aiutare familiari, amici, ebrei e perseguitati di ogni tipo ad espatriare. Sfruttando la sua rete di amicizie e conoscenze importanti.
Finisce in carcere
A causa della delazione di un collaborazionista tedesco e viene accusata di essere “nemica del Fascismo”. Ma anche in questa circostanza affronta la prigionia con coraggio, fino alla liberazione, all’indomani del 25 aprile del ’45. Quando ritorna a Brera, il museo è devastato dai bombardamenti. Ma non si lascia scoraggiare e concentra tutti i suoi sforzi per la ricostruzione.
Allora assume l’architetto Piero Portaluppi e comincia a pensare a una grande Brera. Un museo collegato alla vicina Accademia, alla Biblioteca e all’Osservatorio Astronomico. Ma la rivoluzione di Brera non è solo nell’architettura. E’ anche nel modo stesso di concepire il museo, che si arricchisce di programmi di didattica e di visite guidate. Spesso condotte da lei stessa, dedicate non solo al pubblico più preparato, ma anche a bambini, disabili e pensionati.
La storia di Fernanda Wittgens è stata straordinaria
Ha lavorato tenacemente per imporre le proprie competenze in un mondo dominato da uomini, ha cercato, con spirito quasi materno, di proteggere i capolavori del passato dalle atrocità della guerra. E con spirito combattivo e fiero ha messo in salvo tantissime persone, sacrificando anche se stessa.
Ma soprattutto, è riuscita nella sfida forse più difficile, ovvero immaginare e dare vita a qualcosa di estremamente moderno partendo dalle macerie che la guerra aveva lasciato. Non è un caso che accanto al menu del Caffè Fernanda ci sia un testo con la sua storia. Una storia che merita veramente di essere conosciuta.