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Caffè e pomodoro trainano l’export alimentare italiano

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MILANO – Pomodoro e caffè trainano l’export dell’industria dei prodotti alimentari. L’anno scorso i sei settori che costituiscono l’Associazione italiana industrie prodotti alimentari (Aiipa) hanno aumentato la produzione dell’1,6%, superando i 18,1 miliardi di euro, pari a circa il 14% del giro d’affari sviluppato dall’industria alimentare italiana; l’export è cresciuto di circa il 4% (+3,5% l’intero alimentare) e sfiorando i 5 miliardi, il 27% del fatturato complessivo.

Sostanzialmente stabile il numero degli addetti, oltre 35mila, corrispondenti al 9,3% degli occupati (circa 385mila) dalla food industry.

«Ci aspettavamo un’inversione di tendenza rispetto al 2013, chiuso con una flessione dello 0,8% – premette Cesare Ponti, presidente uscente di Aiipa a favore di Marco Lavazza – ma non credevamo di fare tanto meglio della media dell’intera industria alimentare. Comunque i dati confermano la forza delle nostre imprese che si distinguono non solo per la trasformazione delle materie prime autoctone ma anche, si pensi al caffè, per quelle importate e trasformate».

«Per continuare a crescere – sottolinea Ponti – è indispensabile agire con decisione, unendo gli sforzi delle imprese e delle istituzioni, affinché siano valorizzate sui mercati internazionali le nostre produzioni e si creino le condizioni affinché la domanda di qualità italiana presente nel mondo sia soddisfatta. In altre parole bisogna continuare il lavoro avviato dall’Ice e dal viceministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda, con le iniziative a favore del made in Italy».

L’ex presidente di Aiipa sostiene che il nostro Paese debba avvicinarsi a competitor che hanno proiezioni sull’export superiori alle nostre: l’Italia porta all’estero solo il 20,5% del fatturato alimentare, contro il 33% della Germania e il 27% della Francia.

La causa del ritardo sta principalmente nelle piccola dimensione delle nostre imprese che rende estremamente difficile trovare canali di distribuzione all’estero.

Per di più l’Italia non dispone di retailer di caratura internazionale, come Francia e Germania. Il programma governativo made in Italy negli Usa intende lenire questa grave lacuna del nostro modello, ma certo non sposterà di un millimetro il problema.

In dettaglio, l’anno scorso le velocità di crescita dei settori sono stati diversi: si va dal +0,5% di “nutrizione e salute” (integratori e baby food) e dei “surgelati”, al +1,3% delle “preparazioni alimentari” (sughi, condimenti, brodi, semilavorati per gelati) al +2% del “caffè” e dei “prodotti alimentari” (té, infusi, marmellate, erbe aromatiche) fino al +3% dei “prodotti vegetali” (pomodoro nelle varie declinazioni).

Tra questi comparti però i prodotti vegetali sono quelli più export oriented, con il 60% di incidenza sui ricavi: «Il pomodoro italiano – spiega Ponti – è riconosciuto all’estero come prodotto di eccellenza, largamente davanti alla Spagna. E le nostre imprese sono molto impegnate anche nella produzione di private label», per esempio La Doria.

Quanto al caffè «è la conferma della nostra capacità di saper interpretare il mercato sulla qualità. E i produttori hanno il vantaggio di non essere concentrati in un distretto ma sono diffusi sul territorio».

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