ROMA – Metti una conferenza dibattito nella capitale presso l’Ambasciata del Brasile. Argomento? Naturalmente il caffè. Singolare che ci sia tra chi ha diffuso la notizia, addirittura l’agenzia Ansa, che l’abbia collocata nell’archivio delle notizie sul vino (foto sopra).
Come avevamo annunciato la manifestazione era stata organizzata dall’Ambasciata del Brasile con l’intento di promuovere il caffè brasiliano e il colosso del Sud America come destinazione turistica, oltre che facilitare il il consolidamento di partnership con marchi italiani che hanno interscambio commerciali con il Brasile e rafforzare il marchio Brasile in Italia.
Ma entriamo nel dettaglio della conferenza che prometteva di essere interessante perché al centro dell’attenzione c’era il caffè espresso, uno dei simboli del made in Italy. E così è stato.
Cominciamo da Raimondo Ricci della torrefazione romana Sant’Eustachio intervenuto, con altri esperti, al seminario su “Caffè: storia, coltivazione e preparazione” in occasione della mostra “La mano senza fine” di Candido Portinari. Ricci ha detto che il caffè è una bevanda complessa, con oltre 800 aromi (ma anche 1.200 nei migliori arabica; n.d.r.) che si sviluppano nella torrefazione, il doppio del patrimonio aromatico del vino. Ma gli italiani oggi lo conoscono meno dei nostri nonni che la torrefazione la facevano a casa seguendo le ricette nel libro di Pellegrino Artusi”, lo scrittore e gastronomi italiano vissuto tra il 1820 e il 1911.
“Il tostatore – ha sostenuto Ricci – è uno chef della cottura del caffè. In Italia tostiamo molto scuro, per 20 minuti circa a 200 gradi, caramelliamo gli zuccheri per ottenere la crema dell’espresso e per esaltare la parte acida e le rotondità. Mentre il resto del mondo, che beve a filtro, fa tostature più delicate, a temperatura più bassa”.
Ha proseguito Ricci: “La torrefazione, in particolare quella italiana, è una tecnica di cottura che permette l’ingresso in un mondo sensoriale della degustazione, ogni turista del gusto dovrebbe far visita a una torrefazione”.
Aggiungendo: “Ma andrebbe anche riscoperto il mestiere del torrefattore: in Italia ci sono pochi grandi, Lavazza, Segafredo-Zanetti, Illy e Kimbo, ma oltre 750 torrefazioni medio-piccole che vendono a livello locale. In Italia il caffè è un modo di vivere, tra capsule e moka, quasi uno status symbol. Ma sempre meno italiani hanno confidenza diretta con i chicchi”.
Antonio Patriota, Ambasciatore del Brasile in Italia, ha parlato del suo Paese che è il maggiore produttore al mondo di caffè e il secondo consumatore dopo gli Stati Uniti. L’ambasciatore ha detto che grazie a una emigrazione di massa degli italiani nello Stato di San Paolo, circa 1,5 milioni di persone che con le famiglie andarono a lavorare nelle piantagioni. Fu così che si realizzò un passaggio storico perché la manodopera in fazenda passò dalla schiavitù al lavoro libero.
Sullo stesso tema è intervenuta Ana Paula Torres, dell’Ambasciata con l’intervento intitolato: “Il caffè e l’immigrazione italiana in Brasile”.
Hanno parlato anche Cornelia Bujin Wacecom su “Il caffè nella pubblicità italiana del XX secolo” e Alfredo Orlando de La Marzocco che ha intrattenuto i presenti su “La filiera del caffè e l’evoluzione della macchina espresso, dalla nascita ai giorni nostri”.
Infine, secondo Massimo Battaglia dell’Agenzia Italiana per la cooperazione allo Sviluppo “lo sviluppo sostenibile nel settore del caffè è legato agli specialty coffee, produzioni legate a un territorio limitato e alle buone pratiche agricole che stanno anche recuperando, come avvenuto per il vino, vecchie varietà a basse rese ma alta qualità in tazzina”.
Un cafezinho per i visitatori della mostra di Portinari
In margine alla conferenza ricordiamo che nei giorni 21 e 22 aprile, i visitatori della mostra “Portinari, la mano senza fine – Collezione del Museu Nacional de Belas Artes di Rio de Janeiro”, potranno provare un cafezinho offerto da illycaffè, Caffè Saudade e La Marzocco.