domenica 22 Dicembre 2024
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In Cina il caffè supera il tè: il chicco diventa status per i Millennials di Starbucks

Lo Yunnan, regione famosa un tempo per la coltivazione di tè tradizionali come il Pu’er, produce il 99% dei chicchi cinesi, quanto Kenya ed El Salvador insieme

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CINA – I paesi della Cina sono conosciute per essere zone dedicate alla coltivazione del tè. Adesso, le stesse regioni, si sono specializzate nella produzione di caffè. Parliamo ad esempio dello Yunnan. Un’area cinese una volta celebre proprio per il suo tè. Oppure del Pu’er, che oggi arriva a coprire il 99% del caffè cinese. Allo stesso livello del Kenya e di El Salvador, uniti.

Tutto questo, nonostante la minaccia di un ingente perdita culturale. Le piantagioni sono addirittura raddoppiate negli ultimi 7 anni. Mantenendosi comunque in sinergia col tè, stanno generando nuove qualità di arabica e robusta. Nel mentre il caffè diventa uno status, affermandosi come bevanda dei millennials. Ogni anno i suoi consumi crescono del 16% e nascono 600 nuovi Starbucks. Più o meno, uno ogni 15 ore. Saranno 6mila entro il 2022.

Caffè cinese in linea con l’apertura delle frontiere

Da quando la Cina ha aperto le frontiere con le riforme di Deng Xiaoping nei primi anni ’90, i prodotti occidentali hanno iniziato ad invadere la Terra di Mezzo.

Sono arrivati la Coca Cola, il vino, l’olio d’oliva e le prime catene di Fast food

Alcuni di questi prodotti, seppur non sempre graditi al palato asiatico, sono gradualmente divenuti un fatto di costume. Ma soprattutto, di affermazione del proprio status sociale, di media o alta borghesia. E negli ultimi anni, la produzione e il consumo di caffè è cresciuta a tal punto da iniziare a contendere il primato del famoso tè cinese.

A rivelarlo è uno studio dell’Università di Leicester

“È uno strumento per dimostrare il proprio status”, afferma la dottoressa Maguire, “sia come classe sociale, sia per caratteristiche soggettive come l’essere moderni, internazionali e alla moda”.

I consumi sono in crescita del 16% l’anno

Soprattutto tra Millennials e business man, un processo certamente influenzato anche dall’avvento di grandi catene come Starbucks;

che vengono viste come una rassicurazione sulla qualità del prodotto. “In un mercato pieno di imitazioni”, racconta una giovane donna cinese di 28 anni. “ho bisogno di trovare dei brand affidabili”.

Se infatti l’Italia, patria dell’Espresso, ha resistito a lungo all’ingresso di queste multinazionali del caffè, lo stesso non si può dire per la patria del tè.

La multinazionale americana arriverà in Italia soltanto il prossimo settembre

Invece, in Cina, gli Starbucks sono ormai oltre 3300 e si prevede che saranno circa 6mila entro il 2022. Con una media di 600 nuove rivendite all’anno, una ogni 15 ore. Con un aumento dei profitti annuale di circa il 54 per cento.

L’impatto del caffè cinese

Non è solo descrivibile sul piano socio-culturale, di consumi e di distribuzione, ma anche a livello produttivo. La regione dello Yunnan, a sud del Tibet, è sempre stata rinomata per la sua biodiversità. Nonché per la produzione di celebri qualità di tè tradizionali come il Pu’er, un tè nero fermentato. Oggi la zona raccoglie il 60% del caffè cinese. All’interno di una regione in grado di produrre il 99% dei chicchi del Paese.

Ovviamente il tè è ancora preferito dalla gran parte dei cinesi

Che ne consumano otto volte tanto. Tuttavia, qui le piantagioni di caffè sono raddoppiate negli ultimi 7 anni. (da 439mila ettari nel 2011 ai 789mila del 2018). Assieme al tè stanno generando nuove qualità di arabica e robusta.

Questo è dovuto in particolare all’introduzione di varietà estranee all’ecosistema. Una questione che ha portato gli agronomi e specialisti del tè, insieme a produttori di caffè e organizzazioni di ricerca come il Coffee Quality Institute, a sfruttare le proprie conoscenze nel campo per rendere le diverse qualità adatte alla crescita e al mercato.

Nell’ultimo secolo sono stati numerosi i tentativi di introdurre il caffè in Cina

Ma è stato solo con l’avvento della Nestlé, della Banca Mondiale e dei piani di sviluppo delle Nazioni Unite che, negli anni ’80, migliaia di coltivatori dello Yunnan si sono convinti a introdurre nuove piantagioni.

All’estero questo fenomeno è tutt’ora poco conosciuto. Nonostante la Cina produca 138mila tonnellate metriche di caffè l’anno. Cioè quanto Kenya ed El Salvador combinate.

Oggi si producono prevalentemente chicchi di bassa qualità per derivazioni solubili

Ma con lo sviluppo della classe media e l’aumento del costo della vita anche le produzioni si stanno gradualmente adeguando a qualità e rendite maggiori.

Circa metà della produzione dello Yunnan è destinata ai mercati esteri

Nel 2016 l’export ha raggiunto un valore pari a 280 milioni di dollari ed è in continua crescita, soprattutto grazie ad iniziative come la Nuova Via della Seta.

Un immenso progetto infrastrutturale per collegare Cina e Europa attraverso il l’Asia centrale e il Medio oriente. Non a caso, il più grandi mercato estero del caffè cinese è oggi l’Ue, trainata dagli acquisti tedeschi.

La Cina comunque importa ancora ingenti quantità di caffè. Circa oltre 48mila tonnellate l’anno. Inoltre, i brand italiani più influenti stanno già beneficiando dalla crescita dei consumi e dal cambio di abitudini e dei gusti cinesi.

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