LUCCA – Dici “Svizzera” e ti viene subito da pensare a cioccolato, orologi, grandi montagne. Con un po’ più di malizia, ai segreti custoditi nelle banche. Eppure il piccolo paese confederato ha una tradizione anche nel caffè come, del resto, nella pasticceria.
A partire dalll’Ottocento furono molti i “Caffè svizzeri” che aprirono nelle città d’Italia, fondati da giovani intraprendenti che abbandonavano le belle ma poco popolate vallate alpine per cercare fortuna e soddisfazione economica fra la borghesia nascente delle città italiane. E Lucca non fa eccezione.
Il Caffè svizzero protagonista della nostra storia di oggi (anzi,primo protagonista come vedremo fra poco) nacque proprio in questo clima in via San Paolino, all’altezza di piazza dei Cocomeri nella prima metà del XIX secolo.
A due passi dal centro della vita sociale, sull’asse piazza San Michele – via Nazionale (il vecchio nome di via Vittorio Veneto) – piazza Napoleone, fu aperto da Giorgio Juon, che arrivava dal cantone dei Grigioni.
Juon aveva fatto la gavetta. Era stato garzone in un altro dei caffè che all’epoca andavano per la maggiore, quello del Torcigliani a fianco della chiesa di San Michele, nella zona del “Decanato”. Aveva poi deciso di mettersi in proprio nel fondo di via San Paolino, impreziosendolo con la scritta “Caffè svizzero” che ancora oggi campeggia incisa nella pietra dell’insegna.
Ma il locale affacciato sulla piazzetta dei cocomeri fu solo il trampolino di lancio per Juon. Che mirava alto. E allora non si fece scappare l’occasione di fare un salto di qualità.
A pochi passi dal suo esercizio, al piano terra del palazzo Bertolli davanti alla loggia di palazzo Pretorio (dove oggi ci sono i cartelloni del Summer Festival), da tempo c’era un caffè ormai decaduto.
Per tutta la seconda metà del Settecento, e fino ai primi anni dell’Ottocento, il “Caffè della loggia” sotto la guida di Pellegrino e Tommaso Mallegni, era stato uno dei punti di ritrovo più importanti della città.
Poi un passaggio di mano aveva portato al cambio di denominazione (Caffè della Grotta) e, soprattutto, a un declino che pareva inarrestabile. Almeno fino a quando Giorgio Juon – intorno al 1840 – non mise testa, passione e soldi nel suo acquisto, riportandolo agli antichi splendori.
Da qui parte un’altra storia, che va oltre i confini di Lucca e del commercio, entrando a buon diritto nella temperie culturale di inizio Novecento, prima che la Grande Guerra arrivase a spazzare via sogni e belle époque. Il figlio di Giorgio, Andrea, proseguì infatti la tradizione imprenditoriale del padre.
Prima nel caffè di via Nazionale, rimettendolo a nuovo nel 1875 e riportandolo agli antichi fasti. Poi l’avventura fiorentina: andò a gestire il caffè Reininghaus a Firenze in piazza della Repubblica.
Un nome che arrivava dai fratelli Reininghaus, che avevano aperto questa birreria. Juon pensava che fosse “ostico” per i fiorentini.
E allora, ispirandosi agli smoking fiammeggianti dei carabinieri, lo cambio in “Giubbe Rosse”, battezzando così quello che sarebbe diventato sinonimo del caffè letterario in tutta Italia.
Altri tempi, ovviamente. Perché ormai i bar storici, a Lucca, sono pochissimi. E non mancano quelli “caduti” negli ultimi tempi. Oggi, ad esempio, è previsto che chiuda la Stella Polare in via Vittorio Veneto. Del Di Simo, invece, non ci sono notizie nonostante i lavori della scorsa estate.
Nei vani dell’ex Caffè svizzero è rimasto comunque un esercizio di qualità: la gelateria “De’ Coltelli”, una delle migliori non soltanto a Lucca che proprio oggi riaprirà dopo la pausa invernale.
Luca Cinotti