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martedì 04 Marzo 2025
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Cacao Solution, racconta uno dei suoi fondatori, Andrea Mecozzi: “Siamo un’area commerciale di Bean to Bar internazionale”

Mecozzi: “Dopo qualche test sui mercati di nicchia, ad un certo punto l'azienda che organizza Eurochocolate, mi ha contattato per costruire un'area commerciale di Bean to Bar internazionale che portasse al grande pubblico italiano questa realtà “nuova”. È stato in quel momento che abbiamo deciso fosse arrivato il momento del battesimo di fuoco per Cacao Solution."

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MILANO – Si sente parlare sempre di più del cacao di alta qualità, di cioccolato Bean to Bar e soprattutto, dei prezzi alle stelle di questa materia prima. Per comprendere meglio questo mercato, tra luci e ombre, un alleato è Andrea Mecozzi, senior Sourcer – mestiere che verrà esplorato più avanti, ben distinto da quello di trader – tra i fondatori della rete d’impresa Cacao Solution, unione tra la piattaforma Chocofair e l’azienda di import Cacao Motum, società fondata da Beatrice Rosa, che si occupa di far arrivare cioccolato finito d’eccellenza da tutto il mondo in Italia.

Questa è la prima parte di una serie di puntate in compagnia di Andrea Mecozzi

Mecozzi racconta: “Da consulente di processo, negli ultimi 10 anni, ho curato l’apertura e il miglioramento di impianti di cioccolato Bean to Bar in Costa d’avorio, in Togo e in Colombia, realtà destinate alla realizzazione di prodotti per i mercati locali e per aumentare gli strumenti di analisi sensoriale in mano agli operatori. Quando le aziende nate hanno fatto un salto di livello sulla qualità del prodotto finito, abbiamo pensato che fosse il momento giusto di farle entrare in un mercato più maturo a dei prezzi differenti.

Li è nata la collaborazione con Cacao Motum, per garantire l’import sul mercato europeo del cioccolato finito prodotto nei Paesi cacaoteri”.

Come si è arrivati a Cacao Solution?

“Dopo qualche test sui mercati di nicchia, ad un certo punto l’azienda che organizza Eurochocolate, mi ha contattato per costruire un’area commerciale di Bean to Bar internazionale che portasse al grande pubblico italiano questa realtà “nuova”. È stato in quel momento che abbiamo deciso fosse arrivato il momento del battesimo di fuoco per Cacao Solution.

La rete d’impresa è il frutto della collaborazione tra Cacao Motum, specializzata nell’import e la distribuzione del prodotto finito raffinato, e della mia esperienza di sourcer sul terreno a contatto con i primi produttori di cioccolato Bean to Bar in Africa e Sud America. Ci siamo uniti per comunicare l’eccellenza e far incontrare i due estremi della filiera.

Oggi anche grandi professionisti del food vogliono capire le variazioni della tostatura nel cacao, cosa cambia nel processo di produzione del cioccolato, come usare e riconoscere la materia prima d’eccellenza, e come rileggere i propri prodotti senza limitarsi ai semilavorati di grande livello. Lavorare con una rete mi permette di poter dare esempi tangibili a coloro che formo tra le élite della gastronomia, gelateria e pasticceria su questi temi di eccellenza.”

Quindi di che si occupa Cacao Solution, con quali obiettivi e chi coinvolge?

“Tecnicamente Cacao Solution è una rete di impresa nata tre anni fa. Sfruttando in parte l’esperienza sviluppata con la mia piattaforma aziendale, Chocofair, già in attività dal 2013 e attraverso la quale continuiamo a fornire i nostri servizi di counseling e sourcing a professionisti e industrie lungo tutta la filiera del cacao, e in parte grazie alla specializzazione di Beatrice Rosa e del team Cacao Motum nell’importazione dei migliori prodotti Bean to Bar da tutto il mondo.

È da tanto che sosteniamo tutte le realtà che trasformano il cacao alle origini e questo resta l’obiettivo anche di Cacao Solution: migliorare la supply chain dal punto di vista qualitativo e nella creazione di logistica sinergica verso i mercati maturi”.

Ma perché l’Italia è un Paese di grandi trasformatori di cioccolato ma non di consumatori?

“Bisogna fare un passo indietro e analizzare il mercato italiano da una prospettiva storico-culturale che spesso la gente ignora e si è persa nel tempo.

La manifattura italiana del cioccolato, prima del Covid, è stata per lungo tempo la seconda in Europa con volumi vicini alle 700mila tonnellate di prodotto finito. Ovviamente all’inizio della mia carriera mi sono chiesto anch’io per primo le ragioni per cui gli italiani non siano grandi consumatori di un prodotto che rappresenta un’eccellenza del made in Italy, e sono giunto alla conclusione che ci sono 2 motivazioni principali.

La prima è storica: l’Italia è stata la prima produttrice di cioccolato raffinato europea, ma gli italiani non lo sanno.

Il cioccolato nasce dall’altra parte del mondo col nome di El chocolate, l’aggiunta di zucchero all’acqua amara di cacao (Xocoatl), che viene codificata dagli spagnoli nel 1595 in Messico a Oaxaca.

Questo mix di due ingredienti, impastati insieme e solidificati per essere dosati e pronti allo scioglimento in acqua o latte, che tecnicamente somiglia molto al ben noto cioccolato di Modica, nasce con una proporzione di 50% massa di cacao e 50% zucchero senza star troppo a valutare il sapore.

Sotto questa forma El Chocolate arriva e si diffonde nei vari territori controllati dagli spagnoli o in stretta relazione con essi. Le zone della penisola italiana con tali caratteristiche, dal Sud alla Lombardia, da Firenze al Piemonte erano molte: noi siamo stati quindi tra i primissimi a conoscere questo nuovo prodotto.

Dato poi che in Sicilia veniva prodotta la canna da zucchero, e che la diffusione passava attraverso la forza commerciale delle varie Repubbliche marinare, questo ci ha permesso di conoscere gli usi dello zucchero prima di altri e, con l’arrivo del Chocolate, abbiamo iniziato ad applicare migliorie importanti al prodotto realizzato dagli spagnoli con le competenze che già c’erano sull’utilizzo dello zucchero in altri prodotti.

In questo modo in Italia nasce la “Squisita gentilezza” di Francesco Redi, codificata nel Bacco in Toscana, pubblicato nel 1685. Si pensi che per tutto il ‘700, chi voleva imparare a produrre cioccolata raffinata, doveva venire nella Penisola, sia nei laboratori delle famiglie nobiliari delle capitali mercantili, sia nei monasteri del Papato; arrivavano curiosi e studenti dalla Francia, dalla Germania, dall’Inghilterra, dalla Svizzera per apprendere una tecnica superiore nella produzione della bevanda a base di cacao e aromi naturali.

All’epoca però il cacao era poco e costava molto averlo, da qui ne deriva che il cacao fosse un cibo per i nobili e le classi agiate, mentre il caffè, arrivato a Vienna con gli Ottomani si diffonde facilmente nella classe della borghesia lombardo-veneta. Con l’unità d’Italia, realizzata dalla borghesia, le Case della cioccolata (che servivano i nobili) vengono convertite in Caffé (per la borghesia) e la bevanda nera sostituisce il cibo degli dei.
Questa è la prima ragione dietro alla nostra tradizione come trasformatori, ma non consumatori.

La seconda invece è la seguente: l’Italia per motivi storici ha rotto i suoi legami con i Paesi di approvvigionamento quando si dissolve l’Impero spagnolo e con le due guerre mondiali, la rete alternativa che si era costruita con le origini, si spezza e le imprese che lo lavoravano spariscono. Facendo sparire il cioccolato artigianale dalla tradizione identitaria.

La cioccolateria italiana nella nostra memoria nasce nel secondo dopo guerra, con l’industrializzazione di grandi gruppi come Ferrero e Perugina, che hanno avuto l’intuizione e la capacità di elevare dei prodotti poveri a base di cacao – l’Italia era ridotta in ginocchio nella fase post bellica – al largo consumo. Di contro ci siamo persi l’élite.

Con l’industrializzazione siamo diventati dei forti trasformatori di prodotto finito da materia semilavorata grezza, questo non ha permesso di sviluppare un legame con la materia prima e ha tolto molta dell’identificabilità nel prodotto finale, riducendo i volumi di consumo interno.

Però siamo sia costruttori di macchine molto avanzate – le stesse usate per mandorle, nocciole e pistacchio – sia grandi manifattori di cioccolato.”

A seguire la seconda puntata dell’intervista ad Andrea Mecozzi.

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