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venerdì 22 Novembre 2024
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CACAO – Il grande risiko

Nel mondo si produce più cioccolata di quanto le piantagioni possano offrirne e in Africa, Ebola e siccità hanno portato a un'ulteriore aumento dei prezzi

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di Francesco Pacifico*

Come in un romanzo di Ballard, in futuro ci scanneremo per una barretta di cioccolato. I segnali che la rivoluzione è vicina si accavallano. A New York, da Halloween in poi, le mamme hanno trovato al supermercato Kit Kat e Mars più cari di quasi 30 cents.

Tanto che il New York Times nelle scorse ore ha avvertito gli innamorati che «in questo San Valentino non ci saranno “baci” a buon mercato» in città. A Sezze, in provincia di Latina, i carabinieri hanno scoperto 20 tonnellate di praline Lindt ammassate in un deposito. Erano state rubate mesi prima nel lodigiano.

A Mosca il revanchismo post sanzioni passa anche per la vendita di piccoli pupazzetti Putin al cioccolato.

Bianco e nero. A Zurigo, il gigante della trasformazione, Barry Callebaut, ha spinto il mondo nel panico: dal 2030 il cacao sarà più raro del caviale o dei tartufi.
Si consuma più cioccolata di quanto cacao si raccolga. E tanto basta per scatenare gli speculatori e dare il là al risiko dei cioccolatai più aggressivo che la storia dell’alimentare ricordi.

Sul primo versante, i fondi che trattano materie prime hanno fatto grandi affari soprattutto quando è scoppiato l’allarme Ebola in Africa occidentale. Infatti è in paesi come il Ghana e la Costa d’Avorio che si realizza il 70 per cento della produzione mondiale.

A ottobre, il cacao si quotava sopra i 3.500 dollari all’oncia, da novembre – complice un ottimo raccolto – a oggi, oscillati tra i 2.900 e i 3mila. Chi ha venduto in tempo, ha incassato plusvalenze superiori al 20 per cento.

Perché il cacao, tra le materie prime, è tra quelle più instabili. Ben prima dell’allarme Ebola, precisamente negli ultimi due anni, i prezzi avevano già registrato un aumento di circa il 60 per cento.

In Africa le siccità e un parassita hanno distrutto nell’ultimo triennio tra il 30 e il 40 per cento delle piante, già vecchie e delicate di loro. Barry Callebaut, non a caso, ha annunciato un investimento di 7,34 milioni di sterline per estendere la sua piantagione a Mina Gerais, in Brasile. I coltivatori poi preferiscono passare al mais.

Così l’ebola minaccia l’economia africana (e il cacao) Io che amo solo me Maurizio Mazziero, uno dei principali analisti di materie prime, spiega al Foglio: “Il settore paga a monte fattori di sottoproduzione. Le piante sono vecchie. Le aziende agricole africane non hanno capitalizzazione sufficiente per fare investimenti. Max Spectron, società di brokeraggio londinese, ha stimato che un ettaro destinato alla coltivazione di cacao rende all’agricoltore 1.137 dollari, contro i 5.537 del caffé e i 3.900 dello zucchero. A valle c’è invece un surplus di domanda. Mars e Barry Callebaut hanno calcolato che presto mancherà almeno una tonnellata di prodotto per soddisfare le richieste, soprattutto da quando i mercati emergenti hanno iniziato a consumarlo”.

Gli economisti sono concordi che il cioccolato è uno dei principali indicatori di benessere. Con la globalizzazione anche i nuovi ricchi pretendono la loro dose di cacao quotidiana. E lo preferiscono puro.

Secondo Euromonitor, quest’anno il consumo in Brasile è cresciuto del 13 per cento, in Cina dell’11. E in questi paesi ogni anno la popolazione ne mangia in media solo pochi etti rispetto agli 8,5 chili dei tedeschi.

In un recente rapporto, Kpmg ha segnalato che questa spinta ha permesso al comparto una crescita nel 2014 del 6 per cento, portando il fatturato complessivo alla quota record di 117 miliardi di dollari.

Così la sfida diventa “bilanciare la difficoltà di reperire il cacao con quella di rimodulare l’offerta”. In pratica, Mondelez decide di guarnire le uova di Cadbury con dozzinale cioccolata al latte (e ne riduce il numero da sei a cinque) e assottiglia le barrette Sti Green & Black. Ma non basterà. Perché batte la concorrenza chi può ammortizzare l’alto prezzo della materia prima e vanta una clientela più munifica.

In quest’ottica si muove anche il risiko, con i produttori premium (Lindt su tutti) che potrebbero presto mettere le mani sulle spoglie di chi fa cioccolata molto commerciale, come Mondelez con Cadbury o Hershey. Conferma la tendenza Jon Cox di Kepler: “Si andrà verso il consolidamento perché molti paesi non hanno una presenza internazionale. Hershey è in gran parte imbottigliata in Nord America, Ferrero è in gran parte imbottigliata in Europa, mentre in Asia c’è anche la coreana Lotte. Mondelez, Mars e Nestlé probabilmente guardano a un’offerta premium”.

I rumors dicono che Lindt, dopo aver conquistato negli Stati Uniti Russel Stover, potrebbe anche allearsi con il concorrente Nestlé per conquistare l’Atlantico.

Mondelez (l’ex Kraft) da mesi sta studiando in Inghilterra di cedere la licenza del marchio Cadbury al re dei biscotti, Burton.

Intanto lancia il cioccolato “autorefrigerante” e guarda alla vietnamese Kinh Do Corp, campione nel mercato degli snack in un paese che, su una popolazione di 90 milioni, ha il 60 per cento sotto i 30 anni. Hershey (Kit Kat) sta diventando interessante per gli investitori da quando ha rafforzato il suo mercato in Cina comprando il noto cioccolataio di Shanghai Golden Monkey.

Bruna Peyrano, che assieme al fratello ha da poco ripreso le redini dello storico marchio di famiglia, racconta al Foglio: “Sono tante le imprese metalmeccaniche che si rivolgono a realtà come la nostra per diversificare. Anche se tutti aspettano i cinesi, i russi o gli arabi. È lì s’impazzisce per il cioccolato”.

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