MILANO – Da una parte le organizzazioni di categoria come Fipe-Confcommercio oppure il Gruppo italiano torrefattori, spingono per l’apertura dei locali anche la sera; dall’altra c’è anche qualche popolare esperto come il celebre virologo e immunologo professor Roberto Burioni, che sottolinea la grave crisi che le chiusure pandemiche hanno determinato per i pubblici esercizi ma che non transige sulla norme per la salute dei cittadini. Leggiamo le affermazioni dello scienziato dall’articolo di Maria Amati su corriere.it.
Burioni: anche lui non ce la fa più a stare a casa
«Preparatevi perché quando si potrà per un anno non mangerò più a casa». In un post su twitter Roberto Burioni, virologo e docente dell’università Vita-Salute San Raffaele di Milano, torna sulla questione esercizi pubblici per dire che «chi ha bar, ristoranti, palestre e via dicendo ha pagato un prezzo terribile per la pandemia. Per tutti loro ora si vede un ritorno alla normalità, che passa per il vaccino».
In effetti per il settore della ristorazione, ma non soltanto, l’ultimo — il 2020 — è stato un annus horribilis
Con Fipe, la Federazione italiana dei pubblici esercizi, che dichiara un deficit di poco meno 38 miliardi di euro (quasi una finanziaria) nel comparto del bere e del mangiare. I primi due mesi del 2021 hanno incrementato la cifra. Così, sulla scia delle domande già avanzate dal Mise, la scorsa settimana è stato chiesto al Comitato tecnico scientifico di valutare l’apertura dei ristoranti a cena nelle zone gialle e a pranzo in quelle arancioni.
Qualche tempo fa il Cts s’era detto possibilista «purché si tenga alta l’attenzione, si eviti il consumo al banco, vi sia l’obbligo di indossare le mascherine nei luoghi di passaggio e si garantisca il distanziamento di almeno un metro tra i tavoli, dove possono sedere al massimo quattro persone non conviventi».
Pareva che ci fosse uno spiraglio almeno per i ristoranti che, molto più dei bar ad esempio, potrebbero garantire la sicurezza dei posti a sedere. Poi il passo indietro sempre del Cts, incalzato dal ministro della Salute Roberto Speranza, preoccupato per le conseguenze di un eventuale via libera.
«Troppo alta ancora la circolazione del virus e troppo rischiose le nuove varianti in giro». Con queste motivazioni, il 20 febbraio scorso, il Cts non ha accolto le ultime richieste di alcune regioni, prima tra tutte quella della Lombardia datata 5 febbraio. Secondo gli esperti spetterà, comunque, al decisore politico rivalutare la situazione e stabilire le nuove modalità di apertura. Il tutto non prima del 5 marzo prossimo.
Insomma, la strada è ancora in salita. Difficile ipotizzare un allentamento generale dei divieti perché, fa sapere il Cts, «procedere a riaperture ora rischierebbe di far salire ulteriormente il numero di contagi dal momento che si favorirebbe una maggiore circolazione delle persone». La strategia del governo sarebbe quella di valutare, entro il fine settimana, se vi siano zone del Paese dove l’incidenza del virus è bassa. E sussistano pertanto le condizioni per una, seppur graduale, ripresa delle attività.
Burioni, nei giorni scorsi, aveva ribadito la sua posizione in tema di virus e varianti:
«La nuova moda è “terrorizzare con la variante”. Vorrei farvi notare che varianti virali emergono continuamente e, fino a prova contraria, non rappresentano un pericolo. Vale per le varianti quello che vale per i cittadini: innocenti fino a prova contraria. In particolare — si legge sulla sua pagina Facebook “Medical Facts” — non c’è nessun elemento che ci faccia pensare che quelle già individuate sfuggano all’azione dei vaccini più potenti, anzi dati preliminari sembrano suggerire il contrario, anche se poi naturalmente dovremo vedere cosa succede in concreto. Per esempio, in concreto in Israele la variante “inglese” è contrastata impeccabilmente dal vaccino». Mentre su twitter: «Il vaccino funziona. Non perdiamo tempo. In Europa stiamo facendo schifo, svegliamoci, svegliamoli. È in ballo la nostra vita».