MILANO – La geografia brasiliana del caffè è notevolmente cambiata negli ultimi decenni, con l’abbandono delle aree meridionali, più esposte al rischio gelate, e il progressivo spostamento verso nord del baricentro della coffee belt.
Secondo Carlos Brando – direttore di P&A International Marketing, nonché consulente dell’Ico e della World Bank – i cambiamenti climatici in atto e i problemi di redditività dei produttori potrebbero determinare, in futuro, nuovi rilevanti spostamenti.
L’ipotizzabile ripresa del real (ai minimi ultradecennali il mese scorso) renderà sempre meno convenienti le esportazioni – spiega Brando. Nel lungo termine bisognerà fare i conti anche con il crescere di numerose voci di costo: in primo luogo gli input agricoli, ma anche la manodopera.
A quel punto, i produttori avranno “una finestra a breve termine di opportunità” per migliorare la loro competitività. Accrescendo l’efficienza operativa o investendo, ad esempio, nell’irrigazione, per aumentare così le rese.
“Ma se anche tale tipo di interventi fallirà, non rimarrà che una extrema ratio: spostarsi verso aree che offrano condizioni ottimali per la coltivazione del caffè”.
Non sarà una “macro migrazione” – come quella dei decenni trascorsi. Molto più probabilmente assisteremo a “micro-migrazioni”, verso aree contermini, magari a una maggiore altitudine. In zone considerate, sino a “non molto tempo fa”, non del tutto adatte alla coltura del caffè, anche in ragione della maggiore esposizione al rischio gelate.
Ma oggi ampiamente rivalutate, per effetto del cambiamento climatico.
E chissà, conclude Brando: “Un giorno gli arabica potrebbero migrare ad altitudini più elevate lasciando il posto, a quelle più basse, ai robusta”.