mercoledì 30 Ottobre 2024

BIOGRAFIE-STORIE – Incredibile avventura del gianduiotto ora che compie 150 anni

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Il 21 novembre 1806 Napoleone Bonaparte a Berlino decretò il cosiddetto Blocco Continentale, che vietava il commercio tra i Paesi soggetti al governo francese e le navi britanniche.

Dal 1798, e fino al 1814, il Piemonte fu sottomesso alla dominazione napoleonica. Tra i prodotti maggiormente esportati dagli inglesi (importati dalle loro colonie), vi era il cacao che, a causa dei provvedimenti presi da Napoleone, subì un considerevole ridimensionamento.

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Cosa gravissima, se si pensa che, a fine Settecento, a Torino si era creata una vera tradizione di cioccolatai, che producevano 350 chilogrammi di cioccolato al giorno.

Così, dall’incontro tra il cacao e il Piemonte, e grazie alle restrizioni napoleoniche, nacque il Gianduiotto.

Ma come andò di preciso?

La storia

.«Una volta provato del cioccolato non si può più farne a meno». Se questo è un concetto valido ai giorni nostri, era già assodato ad inizio Ottocento, quando, nonostante le quantità minori di cacao importate e i conseguenti esosi prezzi, la domanda di cioccolato era elevatissima.

E, in Piemonte, urgeva una soluzione per barcamenarsi in questa complicata situazione. Torino conosceva ormai da quasi 250 anni il cioccolato, esattamente da quando Emanuele Filiberto di Savoia era tornato dalla pace di Chateau Cambresis del 1559 con dei semi di cacao.

Fino al 1826 in tutto il mondo il cioccolato veniva servito solo ed esclusivamente come bevanda liquida.

Proprio in quel periodo Paul Caffarel, imprenditore di origine valdese, era proprietario di una fabbrica nel quartiere di San Donato a Torino, dove perfezionò una macchina che gli permise di produrre il primo cioccolatino: cioccolato solido ottenuto con la miscela di cacao, acqua, zucchero e vaniglia.

Nel 1852 il figlio di Caffarel, Isidore, fuse la fabbrica con quella di un altro importante industriale del settore dolciario, Michele Prochet. La Caffarel-Prochet, per rispondere alle richieste di cioccolato dei torinesi, decise di sfruttare una collaborazione con la vicina Alba, scommettendo sul prodotto più famoso della zona: la nocciola Tonda Gentile delle Langhe.

Prochet ebbe l’intuizione geniale di sostituire nell’impasto i pezzetti di nocciola, facendola tostare e macinare, rendendola così simile a una crema, alla quale venivano poi aggiunti il cacao e lo zucchero.

Il nome
È il 1865 quando Prochet affina la sua creatura con una forma che viene chiamata «givò», che in dialetto piemontese significa «mozzicone di sigaro», e ricorda una piccola barca rovesciata.

Bisognava pensare a un modo per farla conoscere: a quei tempi il carnevale di Torino era parecchio famoso in tutta Italia, e le maschere tipiche della tradizione erano solite lanciare leccornie e dolciumi alla folla.

Caffarel sfruttò così la maschera Gianduja per distribuire i suoi Givò 1865 alla gente. Gianduja (tradotto letteralmente: Giovanni del boccale) è una maschera tipica della tradizione piemontese, che incarna lo stereotipo del galantuomo locale allegro e godereccio che partecipa attivamente alla vita cittadina, senza risparmiare opere di carità.

La leggenda vuole che la forma del cioccolatino ricordi l’ala del tricorno indossato come copricapo da Gianduja.

Il Carnevale 1869 fu il punto di svolta per il Caffarel 1865 che piacque talmente tanto da mutare il nome in Gianduiotto, con cui divenne famoso. L’altra grande novità introdotta da Caffarel fu quella di distribuire i cioccolatini prodotti non nelle solite scatole, ma singolarmente e, per la prima volta, avvolti in una carta dorata sulla quale era raffigurata la celebre maschera (licenza possibile solo all’azienda, in quanto depositaria del marchio).

Oggi il cioccolatino piemontese viene prodotto in tutto il mondo dalle principali industrie del cioccolato, come Pernigotti, Novi, Fiorio e Peyrano, e solo la Caffarel ne sforna 40 milioni all’anno, ed è conosciuto come eccellenza italiana nell’ambito culinario; viene da sorridere a pensare che, se non ci fosse stato il Blocco di Napoleone, forse non ce lo saremmo mai gustato.

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