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Tutte le cifre del Bio, un settore da 2,7 miliardi con 60 mila aziende

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MILANO – C’era una volta il biologico, o, per i più intimi, bio. Un club esclusivo che riuniva gli adepti del mangiar sano in gruppi di acquisto solidali. Promotori di mense scolastiche a filiera corta ed esperti conoscitori di mercatini locali.

Adesso il carrello della spesa che non vuole pesticidi nel piatto ha ingranato la marcia dell’economia di scala.

Bio: non è più per una nicchia ristretta

E si riempie alle casse della grande distribuzione. (il marchio Vivi Verde di Coop vale la metà dei ricavi dell’ortofrutta bio italiana). Spunta sugli scaffali dei discount (Lidl, Md) e arriva a casa in meno di due ore dall’ordine online grazie all’e-commerce (Amazon in collaborazione con NaturaSì).

E non solo. Basta dare un’occhiata in cucina per rendersi conto di quanto il menù delle famiglie stia cambiando. Barilla ha messo sul fuoco spaghetti e fusilli; ai sughi pronti ci pensa Saclà. Intanto Granarolo cuoce burger di spinaci e Rio Mare si inventa un’insalata di tonno.

Tutto innaffiato da vino delle Cantine Ferrari e caffè servito da Kimbo.

Bio: I big dell’alimentare fanno a gara

Sgomitano per ritagliarsi un posto a tavola e lanciano prodotti e linee dedicate.

Si capisce: l’anno scorso, dice Coldiretti, 13 milioni di italiani hanno acquistato almeno una volta alla settimana un prodotto biologico.

Ecco che la tavola per pochi eletti si lascia alle spalle la nicchia per lanciarsi nel mercato di massa.

Alcuni dati sul consumo

Nel 2016 i consumi bio hanno confermato tassi di crescita stellari (+21%) a quota 2,7 miliardi, di cui 1,1 miliardi di scontrini pagati alla casse della Gdo. Il resto disseminato tra negozi specializzati e mercati agricoli a chilometro zero.

In un contesto in cui i consumi si muovono con il passo della lumaca (+1% nel 2016 stima Istat), il biologico è la gallina dalle uova d’oro. Tutti gli operatori lo guardano con crescente interesse: etichette con prezzi premium (anche se la maggior diffusione dei prodotti andrà a calmierare la spesa); clientela rassicurata (sull’origine dei prodotti) e soprattutto, affezionata.

Esportazioni in crescita

Inoltre il bollino bio è un driver eccezionale per l’export verso i mercati del Nord Europa e negli Usa, tra i primi consumatori di bio al mondo.

Le 60 mila aziende italiane del settore, stima Assobio, esportano la bellezza di 1,6 miliardi di euro di prodotti l’anno. Cambiano i consumi, si punta alla qualità rispetto alla quantità. Si è disposti a pagare di più in cambio dell’elisir di lunga vita promesso dai prodotti della tavola del benessere.

E quindi cambiano anche le alleanze.

Perché i big dell’agroalimentare, dimenticando per un attimo le logiche del gigantismo, oggi puntano alle partnership con i pionieri del biologico.

Basti pensare alle ultime operazioni di mercato: Granarolo, 1,2 miliardi di euro di ricavi, ha acquisito il 60% di Conbio. Azienda che produce prodotti gastronomici vegetali e biologici. Un’allenza che mira a completare la gamma 100% vegetale lanciata lo scarso anno.

La piemontese Saclà, 140 milioni di euro di fatturato, ha appena presentato una nuova linea di prodotti freschi biologici 100% vegetali. Frutto della partnership esclusiva con la Pmi padovana Mopur Vegetal Food.

Sul filo delle alleanze si muove anche il gruppo bresciano Linea Verde. Produce a marchio DimmidiSì, insalate e zuppe per 225 milioni di ricavi. Ha stretto una partnership con Alce Nero.

Quest’ultima è una società che opera nel biologico da circa 40 anni. Riunisce oltre mille agricoltori per un fatturato 74 milioni di euro.

Insieme le due realtà, in collaborazione con il distributore Brio, danno vita a alla società Alce Nero Fresco, zuppe e insalata in busta destinate al mercato domestico ma anche all’export.

I bio surgelati

«E non è tutto. Intendiamo investire in partnership anche nei surgelati – dice Massimo Monti, amministratore delegato di Alce Nero. – Il biologico non è più una nicchia.

Lo dimostra l’evoluzione del nostro fatturato che è triplicato dal 2011 a oggi. Le grandi aziende ampliano i loro assortimenti e lanciano linee bio. Per crescere noi operatori storici del settore puntiamo alle alleanze anche al di fuori dei tradizionali campi del bio».

A far correre le iniziative ci sono anche i grandi movimenti globali intorno al biologico. Danone che compra per 12 miliardi di dollari il produttore Usa WhiteWave Foods ha fatto scalpore.

L’esempio di Amazon

La recente mossa di Amazon, il più grande supermercato online del pianeta. Ha acquisito la catena bio Whole Foods. Una spesa record di 13 miliardi di dollari ha posto molti interrogativi agli operatori storici del settore.

Stiamo parlando di un mercato che a livello globale viaggia oltre la soglia di 80 miliardi di dollari. E la partita del no ai pesticidi nel piatto diventa mondiale e multicanale.

«Qualche purista storcerà il naso – dice Rosamaria Bertino, co-fondatrice di Biobank, annuario e grande banca dati del biologico in Italia. – ma il fatto che le multinazionali e le grandi aziende si interessino al nostro mondo è una vittoria.

La bio furbizia

Non mancheranno i “biofurbetti”, quelli che proveranno a intrufolarsi in una filiera che giocoforza si allunga. Ma gli aspetti positivi superano quelli negativi. Primo fra tutti è che nei campi agricoli è partita una corsa alle aggregazioni.

E allora la piccola cascina diventa impresa a tutto tondo, coinvolge nuovi fornitori; comincia a sfornare prodotti tipici e biologici che poi rivende nei canali specializzati ». Insomma il bio, diventando grande; traina l’anima local e recupera prodotti e antiche tradizioni.

La superficie agricola biologica continua ad aumentare. Nel 2017 si stima che le aziende agricole che hanno avviato il processo di conversione al biologico cresceranno dell’8-9%. Ma la crescita non tiene il passo della richiesta.

Non a caso le importazioni di bio in Italia sono aumentate del 50% in un solo anno. Per queste ragioni un’azienda come Rigoni di Asiago ha investito 27 milioni di euro nei terreni agricoli in Bulgaria per produrre le materie prime per le sue marmellate e fior di frutta.

Nel vino la rivoluzione bio è alle porte. Come suggerisce il caso di Cantine Ferrari della famiglia Lunelli che ha convertito a biologico tutti i terreni trentini.

I big si allineano nella distribuzione

I big della Gdo hanno allestito da tempo scaffali dedicati. Coop ha introdotto frutta e verdura bio nel 1993, Esselunga nel 1999 ha lanciato la prima marca bio.

Secondo i dati Bio Bank dal 2001 al 2016 le catene con una propria marca biologica sono passate da 9 a 22; le referenze da 644 a 2.857, in crescita soprattutto negli ultimi quattro anni.

Ora si punta all’ampliamento della gamma. Se Coop ha giocato sull’alleanza “etica” bio ed equosolidale, Conad ha costruito il marchio “ombrello” green Verso Natura. Raggruppa prodotti Bio, Veg Equo ed Eco. La grande novità arriva dal discount già alle prese con una graduale trasformazione in punti vendita low cost ma di qualità.

Lidl ha lanciato la nuova linea Bio Organic e così ha fatto il gruppo Md di Patrizio Podini.

Conclusioni

Ogni anno le aziende agricole che avviano il processo di conversione al biologico crescono dell’8-9%. I grafici in questa pagina sono elaborati sulla base di dati Nielsen e su quelli dell’Osservatorio Bio Bank.

Inoltre la Coldiretti ha stimato che l’anno scorso 13 milioni di italiani hanno acquistato almeno una volta alla settimana un prodotto biologico.

Christian Benna

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