di Concetta Desando*
«Preoccupati dell’arrivo di Starbucks in Italia? Ma per carità! Anzi, è l’occasione per riaccendere i riflettori sul mondo del caffè. È chiaro che Starbucks offre un servizio completamente diverso rispetto a quello del nostro gruppo: se loro offrono una pausa attraverso una vasta gamma di bevande e di cibo dolce e salato, Bialetti è legata al culto italiano del caffè, quello espresso, veloce, da prendere al bar in due minuti. Starbucks? È la benvenuta, quando si parla di caffè noi siamo sempre contenti. Ma Starbucks e Bialetti sono due cose completamente differenti».
A parlare è Maurizio Rossetti (FOTO), Chief Financial Officer di Bialetti Industrie, la storica azienda di prodotti per la preparazione del caffè, fondata nel 1919 a Crusinallo, in provincia di Verbania, e diventata presto famosa per la moka e per l’omino coi baffi, ancora oggi simbolo pubblicitario del gruppo.
Oggi, oltre alla moka, caffettiera dal design art decò, l’azienda, che ha il suo quartier generale a Coccaglio, nel bresciano, produce anche caffettiere elettriche e macchine elettriche per il caffè espresso, ha lanciato una linea di miscele di caffè in capsula, e, in collaborazione con i marchi Aeternum, Rondine e CEM, si è inserita nel mercato dei prodotti per l’houseware, dagli strumenti e accessori da cottura ai piccoli elettrodomestici, ma anche complementi d’arredo per personalizzare la propria casa, tessuti, porcellane, decorazioni.
Un’azienda quotata in Borsa che ha terminato i primi nove mesi del 2015 con ricavi per 114,19 milioni di euro, dispone di 127 brevetti per invenzione, 140 punti vendita in Italia ai quali si sono aggiunti lo scorso anni i primi due store all’estero, a Nizza e a Madrid, allo scopo di rafforzare il processo di internazionalizzazione del gruppo.
Un’azienda che è diventata un simbolo del Made in Italy: non a caso il premier Matteo Renzi ha regalato a Tim Cook una moka in occasione dell’annuncio dell’investimento che Apple farà a Napoli. Ma anche un’azienda che ha una visione particolare dell’innovazione, dell’ecommerce, delle startup, dell’open innovation. Bialetti assapora ancora il gusto della tradizione. E per questo non teme rivali. Neanche Starbucks.
Fino a poco tempo fa la moka era venduta all’interno di Starbucks.
Per tanti anni abbiamo venduto la caffettiera Bialetti all’interno degli Starbucks. Ora non la forniamo più perché Starbucks non è più un nostro cliente, anche se probabilmente in qualche locale è possibile trovarne ancora qualcuna.
Se Starbucks dovesse riproporre una nuova collaborazione vista la prossima apertura a Milano, accettereste?
No, perché noi abbiamo i nostri negozi, più di 140 spazi monomarca in Italia. La nostra strategia di business è completamente cambiata: tanti anni fa, quando avevamo Starbucks come cliente, non avevamo negozi, quindi il fatto di avere la nostra caffettiera nei loro locali era un importante discorso di immagine per noi. Ora vogliamo vendere i nostri prodotti solo nei nostri negozi. Inoltre anche loro hanno cambiato strategia, non hanno più marchi che non siano Starbucks all’interno dei loro punti vendita.
Dunque la rete di Bialetti Store conta ad oggi 140 negozi monomarca in Italia, ai quali avete aggiunto due store a Nizza e a Madrid.
Sì, il primo lo abbiamo aperto perché in Francia abbiamo un’importante sede commerciale da più di trent’anni; Madrid invece è stata scelta perché la Spagna è un Paese vicino all’Italia in termini di cultura del caffè.
E l’ecommerce? Ultimamente molte aziende stanno puntando sul canale online per la vendita perché considerato fonte di business. Bialetti come vede l’ecommerce?
Per il piano strategico del futuro noi puntiamo sul retail vero e proprio, e quindi sui negozi: contiamo sul contatto fisico con il cliente, fargli gustare il nostro caffè, fidelizzarlo da vicino. Abbiamo, comunque aperto un ecommerce anni fa, Bialettishop.com, ma non lo consideriamo strategico al momento: è qualcosa che affianca i negozi tradizionale ma non puntiamo a sostituirli. Tra l’altro, credo che l’online sia una questione che tutte le aziende devono affrontare perché l’ecommerce può creare un danno di immagine a livello di prezzi, non a caso l’online vive la guerra al ribasso.
Leggo però sul vostro sito che essere innovativi è una mission e l’innovazione uno dei punti cardine dell’azienda. Come fa innovazione Bialetti?
In due modi: innanzitutto puntiamo sui giovani, che scegliamo attraverso partnership con Università ed altri enti, perché siamo consapevoli che i giovani possono portare idee nuove e creative in grado di fare la differenza. Idee e creatività sia sui prodotti, non a caso non abbiamo collaborazioni con uffici di design esterni ma puntiamo tutto sul personale interno, sia di piani commerciali e di business. In secondo luogo, sperimentiamo sui materiali e sulle caratteristiche tecniche dei prodotti per ottimizzarne la funzionalità. Siamo stati i primi, ad esempio, ad aver lanciato sul mercato le padelle con il rivestimento interno di ceramica. Non solo, negli ultimi anni abbiamo lanciato due macchine per il caffè particolari: la moka induction, la prima moka con il classico raccoglitore in alluminio, adatta per essere utilizzata anche su piani a induzione; e la moka cuore che è la prima macchina per caffè espresso sospesa.
Quanto investite in innovazione?
Poco. Vede, non è facile innovare su un prodotto per la casa, come una caffettiera o una padella, che non è fonte di successo obbligatorio. Per noi non è facile spingersi oltre sulla caffettiera che è un prodotto che funziona sempre, uno dei meno costosi e più funzionali da trovare sul mercato. Se, parliamo di cifre, per la realizzazione della moka cuore abbiamo investito tra i 3 e i 4 milioni di euro, molto meno per la moka induction che richiedeva la sostituzione di una parte in alluminio.
Lei mi parla di un processo di innovazione difficile nel suo settore. Molte aziende per innovare si affidano alle startup. Lei cosa ne pensa?
Io lo farei soltanto nel caso in cui trovassi una startup che sappia predirmi il futuro del mondo del caffè. Non mi interessano al momento innovazioni tecnologiche, voglio soltanto che mi si dica come e dove può andare questo settore fra dieci anni.
È una bella sfida! Bialetti intanto cerca di conquistare più clienti possibili con i negozi e lanciando le capsule di caffè.
Questa scelta è scaturita da un’indagine condotta sulla percezione del marchio da parte dei consumatori, che ha evidenziato come questi ultimi già da tempo associassero spontaneamente il brand Bialetti alla vera e propria produzione di caffè per caffettiere o macchine espresso. Per questo abbiamo lanciato miscele di caffè porzionate e racchiuse in capsule concepite per macchine elettriche da espresso.
Nei giorni scorsi Lavazza ha acquistato per 700 milioni la francese Carte Noire, azienda che, tra le altre cose, fa anche capsule di caffè.
È un modo per avvicinarsi al cliente, valutare i gusti e le modalità di degustazione delle persone, che differiscono da regione a regione. È comprensibile che Lavazza abbia deciso di fare questo passo.
L’Italia è la patria del caffè? È vero che il 90% delle famiglie italiane ha in casa una moka?
L’Italia è la patria del caffè espresso. Ci sono anche altre nazioni in cui sta crescendo la cultura del caffè espresso, ma in maniera lenta, perché comporta un cambio della cultura delle persone. Nel Nord Europa, ad esempio, bevono circa dieci volte il caffè che beviamo noi, ma è un caffè completamente diverso, gustato a orari diversi. Bevono un caffè come noi beviamo una coca cola. Per quanto riguarda il numero di moka, secondo la nostra analisi, ogni famiglia ha in casa almeno due caffettiere di taglie diverse.
Qual è il giro d’affari del caffè in Italia?
Enorme, direi miliardi. Non ho una cifra esatta, ma sicuramente parliamo di un giro d’affari enorme.
Miliardi dai quali mi sembra di capire che sono escluse le startup.
Non sono escluse a priori. Se una startup ha qualcosa di interessante da propormi che venga a trovarmi: io sono aperto al confronto.