VENEZIA – Il triestino Bernardo Bernie Della Mea (nella fotografia), proprietario del marchio “Caffè del Doge”, da quasi vent’ anni gira il mondo stringendo alleanze con piccoli produttori: «Faccio come gli chef che scelgono una certa farina o le carni di quel minuscolo allevatore».
Mi faccia qualche esempio.
Prosegue Bernie della Mea: «Nella mia caffetteria veneziana non si beve un espresso Origine Colombiana, ma una varietà Supremo 18+ della Fazenda Bachuè, che coltiva il corrispondente di 600 sacchi di caffè all’ anno, di cui uno arriva a noi, e l’ altro va negli Stati Uniti. Non il Jamaica Blue Mountain, ma la selezione Clifton Mount Estate della famiglia Sharp, che possiede quella piantagione da sette generazioni».
Non è una ricerca esasperata?
«Il made in Italy si basa sulla capacità di selezionare la Robiola di Roccaverano di latte crudo di capra. O le mandorle della valle di Noto.
Per me, la cultura dell’ espresso non passa solo dalla tostatura all’ italiana, che ci rende famosi, ma soprattutto dalla materia prima, il trionfo della biodiversità».
Quanti tipi di caffè propone?
Conclude Bernie della Mea: «Tre miscela un euroe nove singole origini con un supplemento da venti centesimia due euro. Dietro il banco, solo baristi SCAE, l’ associazione europea che certifica i migliori professionisti. In più, ogni tazzina bevuta contribuisce a comprare scuolabus per i figli dei raccoglitori grazie all’ente I bambini del caffè. I nostri clienti sono esigenti, curiosi. Così come al ristorante non si chiede “un piatto di pasta per favore”; mi piace sapere che nel nostro bar nessuno entra chiedendo semplicemente: “un caffè, grazie”.