BERGAMO – Di recente abbiamo condiviso la classifica che racconta un Italia divisa quando si tratta dei prezzi della tazzina: se il più caro è a Trento, a Bergamo ci si allinea su costi più morigerati. Anche troppo bassi, se si vuole considerare l’altra faccia del bar, ovvero quella fatta di gestori che fanno fatica a far quadrare i conti a fine giornata. Leggiamo il punto di vista della categoria dalla voce di Giorgio Beltrami, presidente gruppo Caffè Bar e Gelaterie Ascom Confcommercio Bergamo e consigliere Fipe nazionale. Dal sito myvalley.it.
Bergamo ha bisogno di rivedere il costo dell’espresso
Quanto costa un caffè a Bergamo? In media meno di un euro. Il prezzo più basso di tutte le province lombarde e tra i più economici a livello nazionale.
Il dato emerge dal Rapporto annuale della ristorazione, edito da Fipe Confcommercio, secondo cui a dicembre 2020 il prezzo di una tazzina di caffè al banco a Bergamo si attestava a 0,98 euro. Un valore inferiore a quello registrato in diverse città del Nord e del Centro Italia, e ben al di sotto della rilevazione massima che vede, ad esempio, Trento con 1,21 e Bolzano 1,19.
Bergamo si piazza addirittura al primo posto in Lombardia dove a Milano il prezzo medio è di 1,03 euro e a Brescia di 1,12
In vent’anni l’incremento è stato troppo basso per ripagare i costi di gestione e l’aumento delle materie prime. «Fino all’entrata in vigore dell’euro il prezzo della tazzina è sempre rimasto ancorato al costo del quotidiano – sottolinea Giorgio Beltrami, presidente gruppo Caffè Bar e Gelaterie Ascom Confcommercio Bergamo e consigliere Fipe nazionale -. Poi il prezzo del caffè si è ‘congelato’, mentre i costi nel frattempo sono raddoppiati. Il risultato è che una giornata di espressi al banco risulta davvero poco remunerativa per gli esercenti».
A ciò si aggiunge un secondo rischio: quello di minimizzare l’importanza del servizio e della qualità del prodotto
«Bisogna sfatare il luogo comune secondo cui il prezzo di una tazzina di caffè dovrebbe essere uguale in tutti i bar – aggiunge Oscar Fusini, direttore di Ascom Confcommercio Bergamo -. Il caffè non è un prodotto ma un servizio e il suo prezzo è la risultante di moltissimi fattori che giustificano appunto la differenza di costo tra un bar e l’altro. Per non proporre un caffè sotto costo si rischia di penalizzare il servizio e la qualità del prodotto. Occorre, invece migliorare entrambe, come già avviene per il pane e il gelato artigianale, perché il consumatore è oggi più attento ed esigente e la qualità paga, sempre e comunque»
Il guadagno per una tazzina di caffè inferiore a 0,10 centesimi
Secondo uno studio di Ascom Confcommercio Bergamo che prende in considerazione il prezzo più alto di un caffè al bar (1,10 euro) emerge che il rapporto tra costi e ricavi è sbilanciato. «Al netto dell’Iva e dei costi (costo del caffè, costo dello zucchero/dolcificante/latte, costo del personale, spese per affitto/corrente/acqua), il barista guadagna infatti 0,08 centesimi a tazzina.
E ponendo l’esempio di un bar che consuma un chilogrammo di caffè al giorno, pari a circa 130 tazzine, il profitto giornaliero è di 10,40 euro. Se pensiamo, infine, che una miscela di media qualità costa 18 euro (+Iva) al chilo – ma può arrivare fino a 25 euro e oltre – emerge che un barista è destinato ad andare in perdita». Giorgio Beltrami, presidente gruppo Caffè Bar e Gelaterie Ascom Confcommercio Bergamo e consigliere Fipe nazionale.