domenica 22 Dicembre 2024
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Beraldi sul tè: “In Italia, è un mercato non enorme”

Il racconto interno alla Beraldi Caffè: “Ci sono una serie di aziende con cui siamo in contatto. Purtroppo sono pochi che si possono permettere l’acquisto di un container da 40 piedi - di solito è possibile farlo con il tè, che è molto leggero e che quindi trattano con le origini -. A parte Ferrero, Ristora e una volta Star, non sono in molti a poter lavorare in questo modo e quindi si punta a dei quantitativi ridotti per il contenitore da origine. Le industrie sono i nostri clienti, assolutamente.”

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MILANO – Pietro Beraldi, supervisor vendite e caffè verde dell’azienda di Casale Monferrato in provincia d’Alessandria, ci ha aiutato ad esplorare un settore complesso e poco seguito in Italia per ragiono radicate alla cultura del Paese, più legato ad altre bevande: il tè, gli infusi, hanno un loro mercato e origini che arrivano da lontano. Con lui ci siamo confrontati sui numerosi temi che girano attorno a questo prodotto che comunque ha delle similitudini con il caffè filtro e un consumo che richiede delle pause prolungate ed esperienze gustative ben più distese dell’espresso al volo al banco.

Beraldi, cominciamo dalla vastità dei prodotti che lei tratta: il caffè non è il solo, ma c’è anche il tè, lo zafferano. Cominciamo dal tè: come sta andando questo mercato e cosa fa lei in particolare?

“Noi lavoriamo con questo prodotto da una vita: dagli anni ’60 collaboriamo con un grosso gruppo tedesco specializzato nel tè da tutto il mondo, e anche negli estratti e varianti di questo prodotto. Il mercato della bevanda in Italia purtroppo non è enorme e un’altra cosa negativa è che la sua diffusione principale è quella nella bustina che si trova nel supermercato e di basso livello qualitativo.”

Che cosa consiglierebbe per innalzare il livello?

“Come possibilità per il monoporzionato, per non andare nello sfuso che è più complicato da mettere in teiera e da gestire per la pulizia (seppur sia il modo più corretto di preparare qualsiasi infuso o tisana) proporrei una bustina differente dalle classiche, che è quella piramidale, anche nei materiali ecologici: si possono metter dentro delle foglie più lunghe e tradizionali, impossibile in quella tradizionale che viene riempita con materia prima più fine, se non addirittura con polvere.”

Beraldi, chi sono i suoi clienti che con lei trattano il tè in Italia?

“Ci sono una serie di aziende con cui siamo in contatto. Purtroppo sono pochi che si possono permettere l’acquisto di un container da 40 piedi – di solito è possibile farlo con il tè, che è molto leggero e che quindi trattano con le origini -. A parte Ferrero, Ristora e una volta Star, non sono in molti a poter lavorare in questo modo e quindi si punta a dei quantitativi ridotti per il contenitore da origine. Le industrie sono i nostri clienti, assolutamente.”

Di recente sono state aperte alcune decine di negozi che si sono specializzati in tè e infusi

“Queste piccole realtà sono interessanti perché fanno un po’ da apripista per gli specialty e perché possono vendere prodotti più costosi. Però rappresentano una fetta di mercato davvero piccolo. Noi come struttura effettuiamo delle consegne ridotte per eventuali negozianti, di cartoni da un chilo. Naturalmente raggiungendo un ordine minimo. Per molti negozi però il chilo è un limite: è troppo. Allora si deve procedere tramite dei piccoli grossisti che possono operare tramite delle rivendite: è un mercato un po’ più difficile per noi che siamo abituati a fornire la materia prima alimentare a delle industrie.”

Quanti sono questi nuovi negozi che si sono affacciati?

Beraldi disegna un quadro interessante: “Ce ne sono abbastanza: soprattutto al Nord. Un altro fenomeno da tener d’occhio è la nascita anche dal punto di vista industriale, delle attività che producono una serie infinita di articoli legati alla salute, utilizzando anche altre materie prime come l’anice stellato e che stanno acquistando importanza. Come l’Incos Coswell, l’Angelica: hanno creato un nuovo mercato che è parallelo a quello del tè, di infusi di altro genere. Stanno aprendo un discorso interessante, senza però raggiungere ancora i numeri del caffè.”

Beraldi, che prospettive vede in Italia per il mercato del tè?

“Sono sempre stato abituato a bere tè in famiglia la mattina, sempre almeno due tazze. Sarei per questo ben felice a portare avanti questo discorso: noi lavoriamo con una ditta dello Sri Lanka MJF, il cui fondatore ha compiuto 90 anni e ha creato un grossissimo canale soprattutto con i Paesi come l’Australia e Nuova Zelanda, e ha anche fatto nascere una marca che si chiama Dilmah. Da noi è difficile introdursi se non attraverso un investimento massiccio, con il rischio che la redemption sia bassa se il prodotto è troppo caro.”

Quali sono le origini del tè più gradite in Italia?

Beraldi ha in mente due nomi su tutti: “India e Sri Lanka. Quest’ultima ha perso un po’ per una questione di costi. C’è anche la Cina e per chi è più appassionato, c’è il Giappone. Molti dei loro tè sono molto costosi. Noi li facciamo arrivare attraverso la partner company tedesca, in confezioni da un chilo in su. C’è qualcosa che arriva anche dalla Tanzania così come altre origini, il Kenya e le Filippine, ma non sono di grande qualità, sono usati in alternativa dei tè economici per la produzione di bustine tradizionali.”

Il quadro della situazione dei prezzi: le quotazioni del tè sono introvabili, perché?

“Prima di tutto perché il tè non è una commodity e quindi non è quotata in Borsa come per esempio il caffè. Per questo non si hanno quindi dei dati precisi. Nello Sri Lanka si facevano delle aste che davano un’idea del costo però relativo al prodotto singalese e non al tè in generale. Ci sono delle variazioni notevoli legati al fatto che si tratta di un prodotto naturale che risente del racconto. C’è stata una volta in cui il Darjeeling era salito tanto di prezzo ed era anche scarsamente disponibile. Non c’è però un canone preciso: quando esisteva ancora l’Astrocaffè di Genova, facevano dei piccoli report sulla bevanda in base ai dati che condividevamo dall’Asta di Colombo, ma un vero e proprio rapporto scritto non c’è.”

Beraldi, ma chi li fa i prezzi del tè?

“I Paesi esportatori, in base all’annata agraria e agli andamenti del mercato. Sappiamo bene che il problema sull’industria che lavora con la grande distribuzione è questo canale spesso richiede un prezzo che sia fisso tutto l’anno e se si assiste ad un aumento, storce il naso.

Tanti supermercati in Italia accettano solo una variazione del 3%, cosa assurda per certe tipologie di prodotto come per il caffè solubile. Con gli aumenti della materia prima che è quasi raddoppiata, non è possibile. Ma la gdo cerca di imporre anche oggi questi limiti poco realistici.”

Esiste qualche catena di supermercati che propone anche caffè in foglia? O in Italia non esiste?

Beraldi non è molto possibilista: “E’ difficile. L’unico marchio che era inizialmente riuscito a introdurre queste scatole di metallo con il tè in foglie era stata Twinings. Ma altre aziende hanno provato timidamente: da Eataly si trova qualcosa. Purtroppo il tè, come il caffè, non è un prodotto nazionale e non abbiamo la possibilità di introdurre in queste aziende che curano molto questo aspetto, il tè.”

Com’è il tè della Cina? È costoso o abbordabile?

“È abbordabile. Il problema è che l’evoluzione del mercato ha creato dei limiti dal punto di vista più analitico che è sempre più importante: ormai si devono dare una serie di indicazioni precise richieste dalla legge e dai produttori d’Europa e del mondo. Certi tipi di tè più economici ci hanno dato problemi: ad esempio un grosso cliente italiano non riusciva a reperirne dalla Cina con un livello di pesticidi corretto affinché fosse importabile in Italia.

Per quanto riguarda ancora questo Paese c’è da dire ancora che un tempo c’erano dei capolavori vegetali che si mettevano in infusione che si aprivano come un fiore. Ora ci sono sempre meno, perché venivano utilizzati alcuni materiali che non sono riconosciuti da noi per l’alimentazione e per cui sono rimasti fuori dall’importazione.

L’arte del tè si è fermata di fronte all’igiene alimentare: ci sono questioni ormai fondamentali. I cinesi lo risolveranno, perché hanno capacità incredibili, nonostante le incongruenze del mondo occidentale che hanno fatto scaturire problemi come la pandemia, nell’aver convertito questo Paese nella fabbrica del mondo.”

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