MILANO – Torniamo a confrontarci con Pietro Beraldi, supervisor vendite e caffè verde per l’omonima azienda. Dopo aver affrontato con lui il tema delicato del tè e del suo mercato in Italia, si passa a un altro prodotto trattato dall’impresa in provincia di Alessandria: la camomilla l’infuso più diffuso in Italia. Da eccitante a rilassante, vediamo che cosa si può dire su quest’altra bevanda dedicata a chi vuole concedersi una distensione più completa. E una parentesi è stata dedicata anche alle spezie, in particolare allo zafferano.
Beraldi, parliamo di camomilla: che cosa ci può dire?
Beraldi: “La camomilla in fiore e biologica: il problema sta tutto nel reperire la giusta qualità, importabile. Molte volte, anche comprando dallo stesso fornitore e Paese, per esempio l’Egitto, ci sono variazioni notevoli. Accade un po’ come con il caffè: si hanno delle origini che una volta arrivano in maniera corretta, altre volte no. Tuttavia la variabilità è dettata dalla produzione, non dalla cattiva volontà dei paesi d’origine. Per questo non è facile trovarne una grande quantità e poter avere una continuità.”
Camomilla italiana?
Beraldi: “E’ poca. E’ come lo zafferano.”
E quindi deve arrivare dall’estero: quanti tipi ne importa lei Beraldi?
Beraldi: “Grossomodo non ce ne sono tanti, ma arrivano principalmente dall’Egitto. Però noi tante volte per evitare problemi di affidabilità dei venditori che si trovano in Africa o in alcuni paesi d’Oriente, preferiamo lavorare con questa nostra rappresentante del tè tedesca che ci garantisce di più il prodotto, anche se siamo più soggetti alla poca disponibilità. Ora ci sono ancora maggiori difficoltà per il post pandemia: sia per quanto riguarda la disponibilità in origine, che nella reperibilità, e nel trasporto.
Anche la clientela ha perso un riferimento che prima c’era: in precedenza si poteva stimare un’idea più precisa di quanti mesi sarebbero stati coperti, sapendo anche quando ordinare rispettando i tempi di raccolto. Questo è fenomeno ha interessato anche i torrefattori, soprattutto quelli legati all’horeca: non sanno più neppure loro le tempistiche e non riescono a fare delle previsioni. C’è anche il problema che i contenitori vuoti in origine, i prezzi alle stelle, il caos della logistica per cui oggi c’è ancora chi aspetta imbarchi di questa estate.”
Rispetto alla vendita del tè, la quantità di camomilla commercializzata in Italia, com’è?
Beraldi: “Sicuramente molto inferiore al tè.”
E la qualità? C’è il problema della polvere e del fiore?
Beraldi: “Ci sono differenti livelli qualitativi. E’ fondamentale la certificazione, senza quelle è problematico poi poterla vendere. Anche le aziende che lavorano con queste materie prime, chiedono i campioni del prodotto, la prova, le certificazioni. Poi vorrebbero averlo a disposizione anche per tutto l’anno, cosa che è impossibile per quello che ci siamo già detti.”
E per quanto riguarda lo zafferano, venduto in piccole quantità e a prezzi altissimi?
“E’ un prodotto molto particolare, indubbiamente costosissimo. Da origine possono costare da qualche centinaio di euro al chilo sino a 1300/1500 euro per l’importazione.”
A chi si rivolge per questo prodotto?
“Dalla Star alla Curti riso, ad altre aziende che producono differenti articoli legati però sempre all’uso dello zafferano in piatti già pronti. Ci sono anche le aziende che vendono spezie specializzate, anche per le bustine nel supermercato.”
Ci sono differenze di qualità?
Beraldi: “La qualità è data dalla capacità di colorazione, dall’aroma. Spesso sono però dei blend. Si può comprare assolutamente lo zafferano spagnolo, noi collaboriamo con una di queste aziende, ma spesso per vendere un prodotto più economico, taglia con dello zafferano prodotto dall’Iran, il più grande coltivatore di zafferano del mondo.”
Beraldi, cosa ci dice dello zafferano dell’Iran?
Beraldi: “Non è un cattivo prodotto. ha qualche caratteristica meno saliente di quelli coltivati con una maggiore attenzione. Non raggiungerà la raffinatezza delle piccole coltivazioni del Trentino e dell’Abruzzo, ma hanno una grande forza produttiva e sono in grado di esser competitivi sul prezzo.”
Sulle spezie lei Beraldi come si orienta?
Beraldi ammette: “Noi facciamo molto poco. Perché è un mercato che facciamo fatica a intercettare e seguire: è vero che ci sono alcune aziende che possono comprare per esempio un contenitore di pepe, ma è più difficile farne per la curcuma o per altre spezie. Ma non è la nostra specializzazione: ce ne occupiamo, ma non è per noi qualcosa su cui puntare anche per una questione organizzativa. Non abbiamo personale che possano seguire adeguatamente questo tipo di mercato.”
La domanda nasce perché la Beraldi Caffè si definisce come “droghe coloniali”
Beraldi spiega: “Questa era la vecchia dicitura che adottavamo nei tempi iniziali. Tutto è partito con mio bisnonno, nel 1875. All’epoca con le spezie si vendevano un po’ di più, ma era un mercato profondamente diverso. Trattavamo anche il cacao, ma poi lo abbiamo lasciato da parte: seguire tutti i mercati oggi non è fattibile. Bisogna specializzarsi.”
Mentre per i prodotti in porcellana per i bar: di che parliamo?
Beraldi: “Per vie traverse siamo venuti a contatto con questa realtà quando in Italia c’erano tre produttori che coprivano quasi tutte le esigenze del mercato italiano. Pian piano si è inserita la produzione cinese che ha soppiantato quelle nostrane. La porcellana è stata inventata da loro, quindi la sanno lavorare bene. L’unica cosa importante era trovare una fabbrica che potesse rispondere a determinati requisiti. Abbiamo trovato un partner company di Brescia, Club House, nata per la produzione di diversi articoli per la grande distribuzione, bicchieri e porcellane per la casa, e ci siamo specializzati insieme nel tempo sviluppando il canale bar.
Dopo la fase iniziale, la vendita dei prodotti Club House è stata affidata a mia sorella Carla, che ha sviluppato notevolmente: oggi abbiamo una buona presenza sul mercato italiano con le tazze. La maggior parte prodotte in Cina, anche perché il lavoro di personalizzazione è meglio effettuarlo in fabbrica per evitare di dover trovare qualcuno in Italia che debba rimettere in forno l’articolo bianco: un secondo passaggio che potrebbe esser un danno.”
Dal punto di vista igienico la Cina è una garanzia?
Beraldi: “Sì. Tutto sotto controllo: sono molto rigorosi. La fortuna è che abbiamo anche un quality control là ed evitiamo così possibili difettosità in fabbrica. Abbiamo selezionato nel tempo dei partner e oggi non abbiamo ritorni o problemi che in passato ci avevano creato problemi come è successo un po’ per tutti. Sappiamo che se si sbaglia la merce, non è consegnabile.”