domenica 19 Gennaio 2025

Baristi depressi e in crisi psicologica per il Covid: una testimonianza da Massa

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MASSA CARRARA – Il Covid ha messo in ginocchio i pubblici esercizi, mettendo alla prova la pazienza e gli spiriti di molti gestori e baristi che hanno dovuto confrontarsi con chiusure e restrizioni. Si parla spesso degli effetti collaterali sulle tasche di questi imprenditori, ma non altrettanto dell’aspetto più psicologico e umorale. Ma una domanda essenziale resta: come ci si sente ad essere barista in tempo di Covid? Troviamo la risposta da iltirreno.geolocal.it.

Baristi: il loro malessere raccontato da chi lo vive

«Non è soltanto la paura del futuro – racconta Francesco Bennati, presidente della Fiepet Confesercenti, ma soprattutto titolare del bar La Madonnina a Massa –, non è soltanto la preoccupazione dei soldi, degli affitti, dei costi fissi della tua attività; c’è anche un problema mentale e psicologico, che tanti di noi devono affrontare. Colleghi – dice Bennati – costretti a ricorrere alle terapie di specialisti per superare un crollo anche emotivo, oltre che economico. I problemi psicologici sono aumentati».

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Cinque anni fa Massa era la terza città italiana con il maggior numero di bar in rapporto alla popolazione. Oggi si parla di 99 attività chiuse (bar e ristoranti) su 1400 attive al 31 gennaio 2021.

Un aspetto da non sottovalutare:

«Il mio lavoro, soltanto un anno fa – racconta Bennati – era fatto di scambi, contatti, socializzazione; oggi posso anche fare 10 caffè da asporto e metterli fuori in mano al cliente, ma è diventato un semplice gesto meccanico, che toglie allegria e mette tristezza, quando dietro ogni caffè c’era una storia da raccontare, c’era uno sguardo, un pensiero, un amico, un nuovo cliente. C’è la nostra vita dentro i nostri bar. Adesso sono diventato solo uno che fa un caffè con una macchina più grande di quella che si ha a casa; abbiamo perso non soltanto soldi, ma anche tanta passione».

«Non ho potuto rinnovare il contratto del barista che mi aiutava – continua Bennati – sono rimasto solo al bar e non percepisco stipendio da sei mesi. Con i ristori abbiamo pagato una parte dei costi fissi, ma un bar ti costa anche quando è chiuso. E tanto. L’asporto non ci ha salvati e non ci salverà. Non siamo in America, dove la gente cammina con i bicchieri di cappuccino in mano e c’è una cultura del prendere e portare via».

Racconta anche la solidarietà. «Io ho notato che alcuni clienti storici sono tornati a prendere il caffè la mattina per farmi un piacere, per contribuire alla nostra causa. Gli avventori occasionali, quelli di passaggio, ora fanno colazione a casa. Il grosso è andato via e ogni volta dalla zona gialla a quella arancione subiamo una flessione del 50%».

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