PALERMO – Il bar del tribunale di Palermo, luogo che dovrebbe esser in qualche modo il simbolo della retta via, è stato preso di mira dalle telecamere, finendo sotto l’obiettivo del programma Le Iene. Un servizio che ha sottolineato alcune irregolarità denunciate da due dipendenti. Leggiamo la notizia dal sito ienemediaset.it.
Palermo: la giustizia fuori dal tribunale (almeno dal bar)
Ismaele La Vardera racconta la storia di due dipendenti del bar del tribunale di Palermo che sostengono di essere vittime di soprusi sul posto di lavoro. Un posto di lavoro di proprietà di un simbolo della lotta alla mafia: la Iena così è andata a parlare con la persona che gestisce questo bar, figlia di Giovanni Torregrossa
“Pizzo al bar del tribunale era un titolo che si leggeva per evidenziare quello che era successo all’imprenditore Torregrossa”. A parlare con Ismaele La Vardera è Maurizio Zoppi, giornalista de Il Sicilia. Era il 2012 quando un imprenditore palermitano, proprietario di tabaccherie e anche del bar dentro al tribunale di Palermo, denuncia e fa arrestare chi gli chiedeva il pizzo. Giovanni Torragrossa diventa così un simbolo della lotta alla mafia e all’illegalità. Nella nostra storia, però, non sembra essere così.
La Iena parla con due dipendenti del bar del tribunale di Palermo che raccontano:
“I clienti sono magistrati, carabinieri, polizia. Gente che ha che fare con la legge, quella che non si rispetta là dentro”. Rita e Valeria sono dipendenti del bar del tribunale di Palermo, di proprietà della famiglia Torregrossa. “Lavoriamo lì da 12 anni”, raccontano le due donne. Che sostengono di subire illegalità sul posto di lavoro, proprio nel luogo dove simili crimini si combattono. “Lavoro per nove ore, sono pagata per quattro”, raccontano. “Prendo uno stipendio di 600 euro al mese”.
Insomma, Rita e Valeria avrebbero un part time di 4 ore ma sostengono di lavorarne nove. Guadagnerebbero quindi circa 3,3 euro all’ora. Ma non è tutto: chi gestisce il bar le sfrutterebbe anche in un’altra maniera, cioè intaccando le loro buste paga. “Devo sempre restituire una certa cifra”, sostiene una di loro come potete vedere nel servizio qui sopra. Secondo il loro racconto dalla busta paga che ricevevano, avrebbero dovuto restituire una parte della cifra come la quattordicesima.
“Da dodici anni questo è il patto”, dicono
“Buste paga da milletrecento, millequattrocento. Ma il mio stipendio sempre 600 euro era. Dovevo sempre restituire”. Ma perché per 12 anni sarebbero state dentro questo gioco? “Per bisogno. O fai così o te ne vai”. A lavorare in quel bar sarebbero “una decina” di persone. “Con tutti ha sempre fatto così”, ci raccontano. Ma come potete vedere nel servizio di Ismaele La Vardera, non tutti i dipendenti sembrano disposti a denunciare questa situazione.
Per provare a dimostrare la veridicità del loro racconto, Rita e Valeria vanno a parlare con la persona che gestisce il bar di Palermo- Luisa Torregrossa – con una telecamera nascosta: lo stesso sistema usato dal padre Giovanni Torregrossa per smascherare i suoi aguzzini.
“Il contratto è di 4 ore e tu lo sai che non facciamo 4 ore. Io te ne faccio 9”, dice la nostra complice. “Sempre così è stato”, replica la Torregrossa. E anche ai dubbi sulla tredicesima e la quattordicesima la replica è “come sempre”. A questo punto la Iena va a parlare direttamente con Luisa Torregrossa, che – dopo un po’ di resistenze – se ne va promettendo di sistemare la situazione con le sue dipendenti. Noi comunque ci rivolgiamo al presidente del tribunale di Palermo, Salvatore Di Vitale: dopo averlo incontrato, abbiamo messo tutto nero su bianco con il magistrato di turno.